Iscriviti ai Feed Aggiungimi su Facebook Seguimi su Twitter Aggiungimi su Google+ Seguici tramite mail

Iscriviti alla nostra newsletter!

domenica 18 luglio 2021

Chi è straniero?

Fenomeno migratorio e lungimiranza che manca.
Post di Gian Maria Zavattaro
Fotografie di Oliviero Masseroli (con gentile autorizzazione, qui il sito).
 
Oliviero Masseroli, La vita in dettaglio, Bangladesh
“Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora io dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati ed oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri”. (Documenti del processo di don Milani, L’obbedienza non è più un virtù, LEF,1977, p.12)
 
Forzati o meno, assistiti o meno, impauriti o impaurenti, ci saranno ovunque milioni e milioni di migranti in cammino per tutto il pianeta. Non c'è norma o violenza che li fermerà. E saranno comunque in futuro come già in passato un fattore evolutivo primario per continenti stati popoli ecosistemi”. (V. Calzolaio - T. Pievani, Libertà di migrare. Perché ci spostiamo da sempre ed è bene così, Einaudi, To, 2016, p. 130)
 
Oggi “l’altro” non è solo chi appartiene alla mia nazione razza lingua cultura religione, è soprattutto l'”estraneo”, lontano dal mio modo di vedere e vivere la vita, colui che ha la pelle di colore diverso, che parla una lingua incomprensibile.
La sfida del nostro tempo è incontrare questo altro, avendo chiaro il senso della propria cultura e valori, della propria identità per rispettare quella altrui: “Io è un altro e, per quanto diverso e molteplice, anche l’altro è un Io”.
 
Oliviero Masseroli, Sotto i ponti - Isfahan, Iran
Proviamo prima di tutto a sgombrare il campo da equivoci ed ambiguità linguistiche.
1. inserimento/integrazione/inclusione/interazione: che significano?
Sono parole di largo uso che sembrano sovrapponibili o intercambiabili soprattutto quando sono usate in relazione agli stranieri. Soffermarsi sui significati non è ozioso: la riflessione sulle parole e sulle loro ricadute operative ci aiuta a livello sia concettuale sia comportamentale. In Italia si parla di integrazione a partire dal 1977 a proposito degli alunni portatori di handicap. Integrazione sostituiva “inserimento”: significava uguaglianza  di accesso alla scuola per tutti, voleva eliminare ghettizzazioni discriminazioni. Con l’arrivo massiccio degli immigrati dall'integrazione si passa all’inclusione. Ci si accorge che lo straniero porta con sé un patrimonio culturale-linguistico: relazioni familiari, riferimenti comunitari, religione, tradizioni, usanze, modi di essere vestire cucinare… “Integrazione” a questo punto sottolineava solo l’accesso per tutti alla scuola, ma trascurava la dimensione culturale, di fatto promuovendo una sorta di omologazione ed assimilazione. Ecco allora la parola inclusione, derivata dalla terminologia anglofona (inclusion-integration) che ha significati diversi dai corrispondenti vocaboli italiani. Per i nostri dizionari includere = inserire, mettere dentro; integrare = rendere completo dal punto di vista sia quantitativo sia qualitativo. Inclusione è di sicuro il contrario di esclusione, ma deve essere intesa “non come mettere dentro”, bensì estesa a tutte le persone e soprattutto riferita ad ognuna con le sue specifiche diversità e/o difficoltà (nella scuola ciascun alunno) (1). Dunque un processo costante che coinvolge tutti, perché mirato a ciascuno. Oggi, nella scuola in particolare, l’inclusione vuole sottolineare il passaggio da una scuola per tutti a una scuola per ciascuno. Altrimenti meglio evitare il termine...
 
Oliviero Masseroli, Tra le case di fango dei Santal - Kuelani Village, Bangladesh
2. Straniero: che cosa mai significa oggi?
Quando si parla di migranti non si è mai neutrali: dico chiaro, nel rispetto di ogni persona che la pensa diversamente, che noi di “persona e comunità” rigettiamo come inaccettabile ogni ideologia razzista o sovranista. Partiamo allora dall’etimologia per chiarire l’ambiguità di "straniero", dall’affine assonanza con estraneo-strano. Deriva dal lat. ex-extra (fuori, all’esterno), in greco xènos (da ἐξ, equivalente di ex) non appartenente alla comunità; donde xenofobia (xenos=straniero, phòbos=paura): paura dello straniero e rifiuto che si palesano attraverso comportamenti, atteggiamenti, pregiudizi e stereotipi diffusi. Da qui il percorso storico e semantico di identificazione con estraneo forestiero diverso intruso...
Analogo il rapporto etimologico assonante che intercorre tra i termini latini hospes, che indica indifferentemente l’ospitato e l’ospitante, e hostis, il nemico ‘esterno’. (2). 
 
Oliviero Masseroli, Biciclette in primo piano, Bangladesh
3. Clandestino extracomunitario? La parola “clandestino” - cito lo scrittore di origine algerina Tahar Lamri - indica chi si nasconde di giorno, chi si intrufola, è in agguato per nuocerci in qualche modo. È persona che non ha documenti (in Francia “Sans papiers”), identikit verbale senza connotazioni, che nulla dice di persone tra loro diversissime per storie traversie aspirazioni progetti… Etichettarle come “clandestini” riduce uomini e donne a non-persone: non chiamarle con il loro nome è l’ultimo affronto alle loro sofferenze. Anche il termine extracomunitario è manifestamente equivoco: geografico, fuori della comunità? Che significa comunità? Quale comunità? La sua da cui proviene? La nostra? Davvero noi siamo comunità? l’Europa è comunità? Rimane chiaro solo “extra”, alieno di un altro mondo…
4. Forestiero? Il suo significato denotativo indica semplicemente  chi  proviene da un altro paese (dal fr. ant. forestier, a sua volta  dal  lat. ris ‘fuori’). Ben altra valenza  può assumere il significato connotativo che il contesto ideologico e sociopolitico può stravolgere. 
 
Oliviero Masseroli, Gente di Bangladesh
5. Migranti sono quei profughi che, scampati alle guerre e alla traversata del Mediterraneo, sono in questo momento oggetto delle paure, delle sensazioni di allarme e angoscia di buona parte della popolazione, peraltro già ben segnata dal covid, come sempre accade nelle situazioni che sfuggono al nostro controllo.
Emblematica la risposta alla domanda ”Chi è il migrante” di Matteo Salvini, il 4.6.2015 su Rai 2: “Il migrante è un gerundio”. Ho tuttora ben presente il commento di Marco Aime (torinese, docente di antropologia culturale a Genova), per il quale il peggio non è l’ignoranza che confonde il gerundio con il participio presente, ma lo svilimento dell’esistenza altrui, la riduzione di persone a errore grammaticale: bagaglio lessicale tipico dei movimenti xenofobi, le cui retoriche comunicative non solo sono finalizzate all’esclusione dell’altro, ma sono anche mirate alla riduzione-ridiscussione della sua umanità, perché omnia licet sulla base delle convenienze elettorali.
 
Oliviero Masseroli, Niente di grave, India
Perché ne abbiamo paura? “Perché - scriveva Bauman - sembrano spaventosamente imprevedibili nei loro comportamenti, a differenza delle persone con cui abbiamo a che fare nella nostra quotidianità e da cui sappiamo cosa aspettarci. Gli stranieri potrebbero distruggere le cose che ci piacciono e mettere a repentaglio i nostri modi di vita. Degli stranieri sappiamo troppo poco per essere in grado di leggere i loro modi di comportarsi, di indovinare quali sono le loro intenzioni e cosa faranno domani. La nostra ignoranza su che cosa fare in una situazione che non controlliamo è il maggior motivo della nostra paura”. La paura porta a creare capri espiatori, ad es. portatori di malattie, ladri usurpatori dei nostri posti di lavoro, avanguardie di un esercito ostile, al servizio di forze misteriose…:metafore del nostro disagio sociale e del nostro fragile benessere. E ci sono partiti abituati a trarre il loro capitale di voti in questo clima di disagio e di paura. Concludeva Bauman: “Tutto questo è il contrario all’imperativo kantiano di non fare ad altri ciò che non vogliamo sia fatto a noi… Siamo chiamati a unire e non dividere. Qualunque sia il prezzo della solidarietà con le vittime delle forze della globalizzazione che regnano secondo il principio Divide-et-Impera, a lungo termine la solidarietà rimane l’unica via possibile per arginare future catastrofi” (3).
 
Oliviero Masseroli, Mani
6. Allora proviamo a riflettere sulle migrazioni forzate, sfogliando insieme il citato saggio di Calzolaio e Pievani.
Di migrazioni sono piene la storia e la geografia: il migrare dei nostri progenitori fa parte del patrimonio genetico e culturale di ognuno di noi (4). Fenomeno sociale da migliaia di anni, ancor oggi si colloca tra costrizione forzata e libertà di singoli e di gruppi. Ogni comunità, ogni luogo hanno conosciuto migrazioni libere accanto a quelle forzate: tutte fanno parte della nostra evoluzione, con effetti di meticciato universale. Anche in futuro, liberi o forzati, miliardi di umani migreranno.
Non è certo auspicabile un'assoluta libertà dei singoli che non tenga conto sia della sostenibilità globale sia di chi vive nei territori che ricevono immigrazione. Gli organismi nazionali ed internazionali dovrebbero proteggere il diritto di poter restare e vivere con dignità nel territorio dove si è nati ed insieme garantire “una collettiva e responsabile libertà di migrare, affinché ciascuno appartenga a ecosistemi e comunità che non neghino gli altri e le altre”(5).  E’ il grave peccato odierno di omissione: la mancanza sia di pensiero politico che contrasti stereotipi o pregiudizi sia di azione politica capace oggi di decisioni tali da essere apprezzate dalle generazioni future. 
 
Oliviero Masseroli, Venditore di avanotti, Bangladesh
La virtù necessaria in questa impresa è anche una delle più scarse al momento: la lungimiranza. Verso il passato e verso il futuro”. In realtà oggi trionfa la disuguaglianza del diritto a migrare. Il fenomeno migratorio è una confusa congerie di antitetiche tipologie (6) e di abissali differenze di reddito, che definiscono gradi di libertà enormemente disuguali di mobilità all'interno degli stati e tra gli stati. Se i migranti forzati sono impediti e/o bloccati alle frontiere, migliaia di turisti girano a zonzo per il mondo, possessori di passaporti che consentono l'accesso ad una moltitudine di paesi: “pensionati benestanti occidentali (la specie migratoria dell’estate qua e l'inverno al caldo), professionisti migranti, nomadi professionisti che vivono di cento mestieri in decine di patrie” (7). Un business che muove enormi capitali e genera nuove disuguaglianze.
Oggi i migranti forzati fuggono da comportamenti umani violenti (guerre massacri terrorismo), “non violenti” (all'apparenza ma distruttivi dell'equilibrio degli ecosistemi), disastri “naturali” (troppe volte indotti dall'uomo) idrometeorologici (inondazioni cicloni tempeste temperature estreme siccità incendi), geofisici (terremoti eruzioni tsunami, valanghe e frane) e climatici, sempre più connessi ai biologici (epidemie e infestazioni). 
 
Oliviero Masseroli, Sundar Bramaputra
C‘è un chiaro intreccio sempre più allarmante tra migrazione forzata e contesto climatico: “concentrazione di anidride carbonica, perdita di biodiversità, crescita della siccità e zone desertiche, innalzamento del mare e fusione dei ghiacci polari, acidificazione degli oceani, riduzione della fascia d’ozono della stratosfera, modificazione dei cicli biogeochimici dell'azoto e del fosforo, ridotta disponibilità di acqua dolce rinnovabile e non rinnovabile, degrado del suolo, diffusione di aerosol atmosferici, inquinamento di prodotti chimici. Precisamente i confini entro cui interagisce il fenomeno migratorio”.
Migrante ambientale è termine divenuto di uso ufficiale da più di 30 anni per distinguerlo dal migrante economico o politico. In realtà le migrazioni forzate sono sempre e comunque ambientali: migrazioni da ecosistemi divenuti inospitali a causa di comportamenti umani non violenti o violenti. Eppure questi nuovi rifugiati climatici ed ambientali non hanno riconoscimento. A seguito dei focolai di guerra sparsi ai quattro venti, è in corso il più grande e doloroso esodo di migliaia di persone:, profughi interni o refugees richiedenti asilo. Donne uomini bambini/e anche non accompagnati scappano, semplicemente per non morire, dalla Siria, Messico, America Latina, Gambia Costa d'Avorio Nigeria, Senegal, Guinea, Somalia, Eritrea Etiopia, Mali…
 
Oliviero Masseroli, Erosioni nell'Akakus, Libia, Maghreb
La distinzione amministrativa tra rifugiato da guerre-persecuzioni e migrante economico (chi è solo povero) non regge (8). Chiudere frontiere, innalzare muri, pattugliare confini e mare, pagare Libia e Turchia perché impediscano l’espatrio e li recludano nei loro lager, oltre ad assorbire ingenti risorse, sono inique, soprattutto non risolvono nulla.“Ciò provoca clandestinità, traffici criminali, ulteriori disuguaglianze di fame e di sete, non minori migrazioni” (9).
Eppure migliaia di studi spiegano e ripetono che dal punto di vista economico le migrazioni sono positive, generatrici di redditi privati e di benefici pubblici: non producono quasi mai conflitti, miseria, inquinamento; fanno crescere il PIL; non sottraggono lavoro ai locali, anzi garantiscono occupazione laddove non si trova più disponibilità; aiutano attraverso le rimesse a sopravvivere nei paesi poveri.
Conclusione. L’unica verace nostra  paura dovrebbe essere generata dall’insensata miopia di troppi politici europei ed italiani, dalla sorda ipocrisia di chi è indifferente al futuro delle nuove generazioni sulle quali peseranno le nostre colpe.
Si può sperare nella “lungimiranzae accogliere  lo “straniero” come Abramo sotto le querce di Mamre (Genesi18)? Saremo capaci, noi che ci professiamo cristiani, di trasformare noi  stessi e gli stranieri in ospiti, nella sorprendente fusione dei due termini antitetici hostis-hospes?
Mi sovviene sia il “Timeo Dominum transeuntem et non revertentem” di S. Agostino sia la Lettera a Diogneto: “I cristiani abitano ciascuno nella propria patria, ma come immigrati che hanno il permesso di soggiorno… Ogni terra straniera per loro è patria, ma ogni patria è terra straniera” (10).
La civiltà nasce e si sviluppa in primis con atti di ospitalità ed accoglienza; solo dopo si esprime nello sviluppo tecnologico ed economico. Scelta non facile, frutto di reciproco appassionato impegno tra due interlocutori, noi -“l’altro”. Entrambi, ospiti su questa terra, possono renderla davvero ospitale, lenire il dolore del mondo e salvare la civiltà.
 
Oliviero Masseroli, Angola deserto
Note.
1. Oggi nella scuola italiana si presta particolare attenzione agli alunni con Bisogni Educativi Speciali (BES), ossia in generale a coloro che per vari motivi, anche temporanei, richiedono una forma di aiuto aggiuntivo (v. D.L.66 del 13.4.17 a norma della legge 13.7.15 n 107). Il Miur ne ha fatto troppo spesso e con frettolosa faciloneria un’insegna dai risvolti spesso discutibili o non condivisibili e forse contradditori … 
2. Interessante il concetto legato alla parola araba che indica lo straniero (al ajnabi/al aja’ni:l’ospite come “quello di fianco” anziché “quello dal di fuori” delle derivazioni linguistiche indoeuropee. Anche la lingua ebraica presenta la dicotomia zar/sar (cioè straniero/nemico) similmente al latino hospes/hostis.
3. Z. Bauman, Stranieri alle porte, Laterza, trad. di M .Cupellaro, 2° ed. 2018, prefazione di Donatella Di Cesare (1° ed. 2016).
4. Pensiamo anche solo per un momento alla storia d’Italia (e di tutte le sue regioni, nessuna esclusa) degli ultimi 3.000 anni ed in particolare alla massiccia emigrazione italiana tra fine ‘800 e primi ‘900 e, non ultima, l’attuale migrazione dei “giovani talenti”…
5, V. Calzolaio e T. Pievani, o.c., pp. 128-130 e p.29.
6.o.c., p.97.
7. C'è grande disparità tra l'essere nati in Europa o nel Nord del mondo e potersi spostare ovunque per qualsiasi ragione e l'essere nati in Africa o nel Sud del mondo e potersi spostare solo nel proprio paese e nella stessa parte del mondo. Il grado di libertà è molto disuguale all'interno degli stati e tra gli stati: differenze di reddito limitano la libertà di esercitarla, divieti militari impediscono di superare i confini. Se il diritto di uscita in pratica ovunque vige, non così invece per il diritto di entrata: la libertà di migrare è sottoposta alla sovranità degli stati di ingresso o dell'unione tra stati (es. l'Europa). Avere un passaporto occidentale dà diritto a entrare in un numero di paesi molto alto (144 se si è Italiani)… cfr. o.c., p.125.
8. Secondo gli autori del saggio bisogna assistere ogni profugo per un tempo definito; dotare di specifico status i rifugiati climatici; avviare con urgenza un negoziato climatico che definisca il modo in cui riconoscerli; definire le priorità riguardanti il diritto di fuga e ciò che può accadere prima e dopo; specificare l'assistenza internazionale (ben diversa dal campo profughi!), gli obiettivi (chiari, condivisi, scadenzati) per evitare disastri; prevenire la fuga, organizzare gli spostamenti, valutare quelli irreversibili, nel rispetto delle attese familiari socioculturali lavorative di chi è a rischio. cfr. o.c., p.113.
9. o. c., p. 110 Secondo l'Unccd dell'Onu entro il 2025 fino a 2,4 miliardi di persone in tutto il mondo potrebbero vivere in aree soggette a perdita di intensa siccità e ciò potrebbe indurre entro il 2030 almeno 700 milioni di persone a migrazioni forzate, interne ed esterne. In particolare circa 60 milioni si riverseranno in Europa. Nel 2030 la certezza di essere rifugiati climatici o la probabilità di diventare tali riguarderà almeno 250 milioni di donne ed uomini Entro il 2050 200 milioni di persone potrebbero diventare in modo permanente profughi ambientali, mentre il Mediterraneo diventerà sempre più il principale incrocio di inuguaglianze multiple. Cfr. pp. 104, 113, 121.
10. “I cristiani non si distinguono dagli altri uomini né per territorio né per lingua né per il modo di vestire. Non abitano mai città loro proprie, non si servono di un gergo particolare né conducono uno speciale genere di vita. La loro dottrina non è dovuta a una intuizione geniale o alle elucubrazioni di spiriti che si perdono dietro a vane questioni. Essi non professano, come tanti altri, dottrine umane insegnate dall’uno o dall’altro caposcuola. Sono sparpagliati nelle città greche e barbare, secondo che a ciascuno è toccato in sorte. Si conformano alle usanze locali nel vestire, nel cibo, nel modo di comportarsi; e tuttavia, nella loro maniera di vivere, manifestano il meraviglioso paradosso, riconosciuto da tutti, della loro società spirituale. Abitano ciascuno nella propria patria, ma come immigrati che hanno il permesso di soggiorno. Adempiono a tutti i loro doveri di cittadini, eppure sopportano i pesi della vita sociale con interiore distacco. Ogni terra straniera per loro è patria, ma ogni patria è terra straniera. Si sposano e hanno figli come tutti, ma non abbandonano i neonati. Mettono vicendevolmente a disposizione la mensa, ma non le donne. Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Dimorano sulla terra, ma sono cittadini del cielo. Obbediscono alle leggi statali, ma con il loro modo di vivere vanno ben al di là delle leggi. Amano tutti e tutti li perseguitano.” (Lettera a Diogneto,V,1-11). 
 
Oliviero Masseroli, Le mani di Mitù

2 commenti:

  1. Potremmo dire che il tema sia quasi usurato dalla ricorrenza delle analisi. Si potrebbe pensare che già tutto è stato provato e procurato…Ma non è così! L’indifferenza ed anche la “ serpe dell’egoismo, del tornaconto “ connotano il pensare comune, soprattutto quello della politica nazionale europea ed internazionale, su un asse, architrave della società.
    Come tu spieghi, Gian Maria, nell’origine della Civiltà, come rivela la Parola, l’accoglienza dello straniero è “ pre-liminare “ : soglia d’ingresso alla Famiglia e alla città e allo Stato.
    Hai condotto in completezza, con competenza, con partecipe accoratezza, il discorso, offrendo ragioni spunti riflessioni, mentre Rossana ha suggellato ogni passaggio con foto che sono più di un commento : immagini che parlano.
    Riusciremo a smuovere l’indifferenza e il tetragono egoismo?!
    Grazie di averci provato e riprovato 💫💫💫🎆

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sì, caro Rosario:il post vuole essere denuncia dell’indifferenza - anche della nostra – e soprattutto della “serpe dell’egoismo, del tornaconto“ connotato dal “pensare comune, soprattutto quello della politica nazionale europea ed internazionale”. Rimane la speranza che la denuncia possa essere letta e vissuta anche come annuncio di un possibile non utopico altrimenti essere.

      Elimina