Una lettura filosofica de "La vie" di Marc Chagall, sulla scorta delle osservazioni di Raïssa Maritain e del pensiero di Henri Bergson.
🖊 Post e fotografie di Rossana Rolando.
🎨 L'analisi dettagliata dell'opera “La vie” - rispetto allo sviluppo interpretativo dell'articolo - è scritta in viola.
Marc Chagall, “La vie”, particolare |
Marc Chagall, “La vie”, particolare |
🎨 Il grande astro – giostra, ruota, caleidoscopio di luce e colori che genera energia e che, non a caso, si ritrova già in “La creazione dell’uomo” - ne costituisce il simbolo.
Il suo universo pittorico – dice Raïssa Maritain – «ignora l’odio e la discordia, proclama la grazia e la gioia, la fraternità e l’amore» (3). Certo non mancano il dolore e il tormento che abitano la terra:
🎨 ne “La vie”, in alto, vediamo la rappresentazione dei pogrom antisemiti e del drammatico viaggio della nave Struma (1941) in cui morirono quasi 800 ebrei alla ricerca di una patria (4).
Ma la tristezza cupa si addolcisce nel sentimento della “pietà”, della com-passione (patire, sentire insieme) che tutti affratella.
Scrive Chagall:
«L’arte
mi sembra essere soprattutto uno stato d’animo.
L’anima
di tutti è santa, di tutti i bipedi in tutti i punti della terra.
Soltanto
il cuore onesto è libero, il cuore ha la sua propria logica e la sua ragione» (5).
Il suo misticismo è già tutto qui, in
questa sovralogica immedesimazione con la vicenda di tutta l’umanità, in un
movimento che supera i confini dell’io per riconoscere se stesso nell’altro: «gli
avvenimenti universali mi apparivano unicamente da dietro la tela (6)».
🎨 Gli stessi animali sono inseriti originariamente in questo flusso vitale cosmico, come attesta la presenza di quel grande ibrido blu in alto a sinistra - che si ritrova anche ne “La creazione di Eva” -, archetipo genetico di tutto il mondo animale in parte ad esso sovrapposto, con piccole sagome appena visibili, in parte raffigurato nel resto dell’opera.
Ma è soprattutto leggendo Henri Bergson (1859-1941) – contemporaneo del pittore (1887-1985) nonché “maestro” di Raïssa e Jacques Maritain – che si può forse comprendere l’atteggiamento spirituale di Chagall: mistico, infatti, non è chi si estranea dal reale, rifugiandosi in un sovramondo illusorio e fantastico, invece è colui che agisce e, così facendo, si innesta nello “sforzo creatore” della vita: «Il grande mistico è una individualità, che varca i limiti assegnati alla specie dalla sua materialità, e che è in grado di continuare e di prolungare in tal modo l’azione divina» (7). Il misticismo è “azione, creazione, amore” (8). Così si comprende quel “quando lavoro prego” di Chagall oppure ancora: «Chiamatemi pure sognatore. Tutt’altro: io sono un realista. Amo la terra» (9).
Il chassidismo può aver suggerito all’artista
questa presenza del divino in ogni pezzo di realtà, questa unione di sacro e
profano, di naturale e soprannaturale (come Apollinaire definì la sua pittura).
🎨 Molti, infatti, sono i simboli religiosi che compaiono ne “La vie”, come in tutto il resto dell’opera: Mosè con la tavola della legge in alto, il candelabro ebraico, il grande pesce blu, inequivocabile segno cristologico...
La loro presenza però non ha un carattere confessionale, depurata com’è di ogni dogmatismo. La ricerca di Chagall vuole avere una portata universale, al di sopra di qualsiasi fede. La Bibbia - rappresentata e interpretata - viene considerata alla stregua di un testo poetico letterario capace di suggerire significati spirituali validi per tutti.
🎨 Ne “La vie” lo stesso sviluppo pittorico del passo biblico di Gn 28,12-13, con la scala di Giacobbe che poggia sulla terra e sale fino al cielo e l’angelo di Dio che si appresta a salire, raffigurato in forma umana con testa d’uccello, diventa il simbolo umanissimo della lotta di ciascuno con se stesso, del tentativo di elevare il proprio sguardo e il proprio essere oltre se stesso.
Perciò “La vie” e tutti i dipinti di Chagall - nel loro nucleo mistico - sono in grado di toccare e coinvolgere chi guarda, permettendo a ciascuno di essere a propria volta, in qualche misura, mistico. Bergson è nuovamente illuminante: «Se tutti gli uomini, se molti uomini potessero salire in alto come questo uomo privilegiato [il mistico], la natura non si sarebbe fermata alla specie umana, poiché quello è più di un uomo. La stessa cosa si può dire, d’altronde, delle altre forme di genio… » (10).
Di questa rarità del dono – che
innalza, ma nello stesso tempo isola - Chagall è ben consapevole,
rappresentando se stesso come un “folle”, comunque sempre un soggetto strano, estraniato
ed estraniante:
🎨 ne “La vie” il giocoliere e tutta la tematica circense, il violinista, il gallo, l’angelo, la mucca [«“beheieme” nella lingua madre di Chagall non significa soltanto mucca, ma ha anche un significato simile a “idiota” o “stupido” (11)»].
Si tratta però di un isolamento fecondo, come ancora ricorda Bergson: «il vero misticismo è eccezionale. Ma quando parla vi è in fondo alla maggior parte degli uomini, qualche cosa che gli fa impercettibilmente eco» (12). Non tutti quindi possono essere mistici, ma tutti possono sentire in sé il richiamo, il fascino, l’interiore risonanza dell’azione mistica.
Ed è forse questa la fonte segreta della gioia che i quadri di Chagall comunicano, perché vi si coglie il sentimento della vita che si rinnova, come una creazione continua - mai racchiudibile in schemi, formule, rigide separazioni - cui si può partecipare e che si può continuamente incrementare: «Gioia sarebbe in realtà la semplicità di vita sparsa nel mondo da un’intuizione mistica diffusa» (13).
Marc Chagall, “La vie”, particolare |
🎨 Gli stessi animali sono inseriti originariamente in questo flusso vitale cosmico, come attesta la presenza di quel grande ibrido blu in alto a sinistra - che si ritrova anche ne “La creazione di Eva” -, archetipo genetico di tutto il mondo animale in parte ad esso sovrapposto, con piccole sagome appena visibili, in parte raffigurato nel resto dell’opera.
Ma è soprattutto leggendo Henri Bergson (1859-1941) – contemporaneo del pittore (1887-1985) nonché “maestro” di Raïssa e Jacques Maritain – che si può forse comprendere l’atteggiamento spirituale di Chagall: mistico, infatti, non è chi si estranea dal reale, rifugiandosi in un sovramondo illusorio e fantastico, invece è colui che agisce e, così facendo, si innesta nello “sforzo creatore” della vita: «Il grande mistico è una individualità, che varca i limiti assegnati alla specie dalla sua materialità, e che è in grado di continuare e di prolungare in tal modo l’azione divina» (7). Il misticismo è “azione, creazione, amore” (8). Così si comprende quel “quando lavoro prego” di Chagall oppure ancora: «Chiamatemi pure sognatore. Tutt’altro: io sono un realista. Amo la terra» (9).
Marc Chagall, “La vie”, particolare |
🎨 Molti, infatti, sono i simboli religiosi che compaiono ne “La vie”, come in tutto il resto dell’opera: Mosè con la tavola della legge in alto, il candelabro ebraico, il grande pesce blu, inequivocabile segno cristologico...
La loro presenza però non ha un carattere confessionale, depurata com’è di ogni dogmatismo. La ricerca di Chagall vuole avere una portata universale, al di sopra di qualsiasi fede. La Bibbia - rappresentata e interpretata - viene considerata alla stregua di un testo poetico letterario capace di suggerire significati spirituali validi per tutti.
🎨 Ne “La vie” lo stesso sviluppo pittorico del passo biblico di Gn 28,12-13, con la scala di Giacobbe che poggia sulla terra e sale fino al cielo e l’angelo di Dio che si appresta a salire, raffigurato in forma umana con testa d’uccello, diventa il simbolo umanissimo della lotta di ciascuno con se stesso, del tentativo di elevare il proprio sguardo e il proprio essere oltre se stesso.
Perciò “La vie” e tutti i dipinti di Chagall - nel loro nucleo mistico - sono in grado di toccare e coinvolgere chi guarda, permettendo a ciascuno di essere a propria volta, in qualche misura, mistico. Bergson è nuovamente illuminante: «Se tutti gli uomini, se molti uomini potessero salire in alto come questo uomo privilegiato [il mistico], la natura non si sarebbe fermata alla specie umana, poiché quello è più di un uomo. La stessa cosa si può dire, d’altronde, delle altre forme di genio… » (10).
Marc Chagall, “La vie” |
🎨 ne “La vie” il giocoliere e tutta la tematica circense, il violinista, il gallo, l’angelo, la mucca [«“beheieme” nella lingua madre di Chagall non significa soltanto mucca, ma ha anche un significato simile a “idiota” o “stupido” (11)»].
Si tratta però di un isolamento fecondo, come ancora ricorda Bergson: «il vero misticismo è eccezionale. Ma quando parla vi è in fondo alla maggior parte degli uomini, qualche cosa che gli fa impercettibilmente eco» (12). Non tutti quindi possono essere mistici, ma tutti possono sentire in sé il richiamo, il fascino, l’interiore risonanza dell’azione mistica.
Ed è forse questa la fonte segreta della gioia che i quadri di Chagall comunicano, perché vi si coglie il sentimento della vita che si rinnova, come una creazione continua - mai racchiudibile in schemi, formule, rigide separazioni - cui si può partecipare e che si può continuamente incrementare: «Gioia sarebbe in realtà la semplicità di vita sparsa nel mondo da un’intuizione mistica diffusa» (13).
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🗂 Note.
1. Marc Chagall, La vie, Forte di
Bard editore, Aosta 2016, Saggio introduttivo di Markus Müller.
2. Ferdinando Castelli, Con Raïssa e
Jacques Maritain attraverso il Novecento, La civiltà cattolica, anno 156, vol.
III, quaderno 3726, 17 settembre 2005, p. 505.
3. Ivi, p. 504.
4. Per leggere un articolo relativo
al tema cliccare qui (Nel caso in cui la pagina non si aprisse il link per esteso è questo: http://michelemedda.blogspot.it/2016/01/la-tragedia-della-struma.html).
5.
Marc Chagall, La mia vita, Se, Milano 1998, p. 118.
6.
Ivi, p. 120.
7.
Henri Bergson, Le due fonti della morale e della religione, Ed. di Comunità,
Milano 1962, p. 216.
8.
Ivi, p. 221.
9. Marc Chagall, La vie, Forte di Bard
editore, Aosta 2016, Saggio introduttivo di Markus Müller.
10.
Henri Bergson, Le due fonti della morale e della religione, cit., p. 209.
11.
Marc Chagall, La vie, Forte di Bard
editore, Aosta 2016, Saggio introduttivo di Markus Müller.
12.
Henri Bergson, Le due fonti della morale e della religione, pp. 209-210.
13.
Ivi, p. 311.
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Un commento "a caldo": Rossana guida alla lettura dell'opera di Chagall e alla poetica che la sostiene. Con maestria e con partecipazione entra nei particolari, ne esamina la motivazione e li ricollega alla "intuizione" dell'artista. È così capace di far trasparire lo "spessore" umano, intellettuale, mistico di Chagall, profondo testimone dell'anima ebrea, nello stesso tempo in cui è anticipatore dell'abbraccio ecumenico. Quanta cultura russa, al di sotto, vibra!
RispondiEliminaUn grazie specifico per la lettura della filosofia morale di Bergson così consona al tema, quanto universale nella sostanza.
Grazie a te Rosario per il sostegno e l’amicizia. Sono contenta che l’accostamento con Bergson ti abbia convinto. Un abbraccio, Rossana.
EliminaSempre mto interessante leggervi. Gradito anche il doppio colore per collegare i temi. A me non si apre l'articolo nelle note relativo al tema dell'articolo. Che dire? Sempre grata.
RispondiEliminaGrazie di cuore, anche per la segnalazione: ora si dovrebbe vedere. Un caro saluto, Rossana.
EliminaE'sempre un piacere e un arricchimento leggervi. Anche questo post è un gioiello. Grazie.
RispondiEliminaMolto bello poter condividere - con chi ha la pazienza di leggere - le nostre piccole elaborazioni, le idee e gli interessi. Buon fine settimana.
RispondiEliminaGrazie, Rossana... per come scegli di "mostrare" la tua sensibilità.
RispondiEliminaUn caro saluto a te e GianMaria.
Grazie, Rossana... per come scegli di "mostrare" la tua sensibilità.
RispondiEliminaUn caro saluto a te e GianMaria.
Grazie a te cara Nele nele. Sono molto contenta di rivederti qui con la tua capacità di cogliere sfumature e di percepire sottigliezze. A presto (ci faremo gli auguri di Natale), un abbraccio da parte mia e di Gian Maria.
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