Una favola inventata, tra il sacro e il profano, tra il serio e il faceto.
🖊 Racconto di Gian Maria Zavattaro
🎨 Le immagini riproducono opere del pittore di arte naif Marino Di Fazio (qui il sito)
Anche
le città credono d'essere opera della mente o del caso,
ma né l'uno né l'altro
bastano a tener su le loro mura.
D'una città non godi le sette o le
settantasette meraviglie,
ma la risposta che dà a una tua domanda
(Italo
Calvino, Le città invisibili, Einaudi, Torino 1972, p. 50).
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Marino Di Fazio,
Angolo di città ligure |
C’era una volta una città, Erebos,
in riva al mare, ad un tiro di schioppo dalle montagne - città triste, tenebrosa, ingannevole (nomen omen!)
-, dove tutti, (uomini, donne, vecchi, bambini, gatti, cani e canarini) non facevano altro che lavorare e calcolare
i loro guadagni alla faccia degli altri: stipendi, conti in banca, spese,
interessi, affitti e profitti,
probabilità pro e contro,
vantaggi e svantaggi. Non solo. Animati
da una furia contagiosa, in parossismo collettivo passavano il tempo a calcolare
tutto: larghezza, lunghezza, peso, distanze, cibi, bevande, cielo e terra, conoscenti, amici, stranieri, figli, scuola, lavoro, ferie e festività, serre,
fiori, carciofi, asparagi, pomodori, trombette… Tutto.
Forse che la vita non è altro che un
calcolo continuo? Così la gente trascorreva i suoi oscuri giorni ad Erebos e per svagarsi, in
file interminabili, rivisitava - perché c’è sempre da imparare! - la mostra permanente “calcolare è sognare, calcolare è
vincere” e, ovunque ci si incontrava, gli sguardi non miravano le persone
ma scarpe-vestiti-gioielli-cellulare e
con fulmineo calcolo ognuno capiva quanto valeva chi aveva di fronte e.... beh,
un'idea ve la siete fatta, no?
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Marino Di Fazio,
Temporale |
Così si susseguivano i giorni, i mesi,
gli anni: i bimbi crescevano, gli adulti invecchiavano, i vecchi morivano.
E tutti sfoggiavano un’ipocrita allegria, cioè erano infelici, ma era la prassi
(dicesi procedura abituale, consuetudine, in greco “praxis”).
Poi un giorno - era l’antivigilia di
Natale e tutti erano a calcolare regali come pesi e controregali come
contrappesi - il sindaco della città (boh, è trascorso troppo tempo e non ricordo il nome!) passando
per via dei Mille, all’improvviso capì che c’era qualcosa che non andava: non
erano mille nella spedizione di Garibaldi,
lo sapevano tutti, eppure si era continuato imperterriti a calcolarne
mille e i conti non tornavano. Possibile
che nessuno ci avesse fatto caso? Bisognava assolutamente
provvedere. Convocò con procedura d’urgenza una seduta straordinaria del
consiglio comunale e fu la fine.
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Marino Di Fazio,
Gufo e civetta |
Arrivarono tutti ancora con i loro pacchetti e pacchettini in mano ed
ognuno seguiva con la calcolatrice incorporata al cellulare i conti che il
Sindaco snocciolava, gravemente assentendo con la testa. Poi si aprì il
dibattito. Che c’era da dibattere? Silenzio assordante: ognuno faceva i suoi
conti.
Sola, prese la parola una giovane consigliere (o si dice consigliera?), fresca della maturità al
Liceo della città, eletta quasi per caso - la solita storia dell’asino che
sostituisce il cavallo –, si guardò in giro impacciata, poi decisa si mise tranquilla a declamare una poesia che
ben conosceva. Una poesia? Sì, anche una preghiera, anzi un’invocazione che
saliva dal cuore profondo della città.
Questa:
“Vieni di notte,
ma nel nostro cuore è sempre notte:
e, dunque, vieni sempre, Signore.
Vieni in silenzio,
noi non sappiamo più cosa dirci:
e, dunque, vieni sempre, Signore.
Vieni in solitudine,
ma ognuno di noi è sempre più solo:
e, dunque, vieni sempre, Signore.
Vieni, figlio della pace,
noi ignoriamo cosa sia la pace:
e, dunque, vieni sempre, Signore.
Vieni a liberarci,
noi siamo sempre più schiavi:
e, dunque, vieni sempre, Signore.
Vieni a consolarci.
noi siamo sempre più tristi:
e, dunque, vieni
sempre, Signore.
Vieni a cercarci,
noi siamo sempre più perduti:
e, dunque, vieni sempre ,Signore.
Vieni, Tu che ci ami:
nessuno è in comunione con il fratello
se prima non è con Te, Signore.
Noi siamo lontani, smarriti,
né sappiamo chi siamo, cosa vogliamo:
vieni ,Signore,
vieni sempre, Signore.” (1)
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Marino Di Fazio,
Presepe |
Fu come scoperchiare il vaso di Pandora
e togliere il velo di Maya: reconditi
bisogni e nascoste speranze prima represse e rimosse saltarono fuori,
l’oscuro divenne chiaro e ciò che prima
era scontato apparve invece stupido ed insignificante. La forza delle parole: troppo
spesso vuoti rumori, ma a volte pietre vive che infrangono ogni barriera.
Sorpresi, increduli i consiglieri si
accorsero che erano tante, troppe le cose che non si potevano calcolare: il silenzio, la solitudine, la tristezza, la
gioia, la pace, la libertà, la comunione, il cuore delle persone che si amano,
la fede…, insomma i sentimenti, le emozioni, le scelte di vita che ti cambiano dentro e il tuo incalcolabile
sorriso. Come si fa a calcolare le cose che ti cambiano dentro? Come calcolare
il Signore che viene sempre?
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Marino Di Fazio,
L'albero di Natale |
Fu così che il consiglio comunale riscoprì il Natale
attraverso la poesia (dal greco “poiesis”, “creazione”, azione appunto che ti
trasforma dentro). E dal consiglio comunale - come un’epidemia, una spirale inarrestabile, anzi una travolgente valanga - la
poesia-preghiera dell’ultima arrivata
invase la città: tutti vedevano tutto in una luce diversa e si
respirava un’aria musicale mai provata.
C’era chi per strada leggeva (pensate: leggeva!!)
scambievolmente quella ed altre poesie di Natale, c’era chi cantava, chi interpellava di notte la luna
e le stelle erranti con struggenti sonetti caudati, chi all’alba
del 25 dicembre contemplava l’aurora del mare ed il sorgere del sole, qualcuno
addirittura pregava ed invocava “Vieni sempre, Signore”.
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Marino Di Fazio,
Serata in osteria |
Il bello era che non si era mai soli, ma
insieme si gustava lo stupore e la gioia del Natale, della vita. E non è che non si calcolasse più, anzi, ma
era diverso: tutto sembrava cambiato, tutto e niente. I mali, i lutti, le
sofferenze, i conti da pagare, l’Imu e la Tasi continuavano come prima, i
problemi rimanevano tali, ma era
diverso: per esempio i conflitti trovavano soluzione, le incomprensioni finivano per svanire, le rese
dei conti si liquidavano con una risata.
C’era l’aria festante di nuovi giorni
che consacrassero il vivere tutti insieme nella concordia delle differenze, come in attesa di una
rinascita cittadina, di un’alba che
suggellasse la crescita delle speranze di ognuno. Pensa e ripensa, l'idea venne ancora
una volta all’ultima arrivata (una patita del greco antico, oltre che di
Calvino!): basta con Erebos, nome tetro
e funereo, chiamiamo la città Megalelpia. Nome un po' complicato (ah, i grecisti...), ma pregno di speranza. E così fu.
(1)
David Maria Turoldo, Vieni, Signore
(in L’incanto del Natale nella poesia e
nell’arte, ed. Paoline, 1996, pp.227-228).
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Marino Di Fazio,
Paese della riviera ligure. |
Bella semplice e calda, la luce delle opere del pittore Di Fazio. Grazie del regalo.
RispondiEliminaUn abbraccio Gianni e buona serata!
EliminaGrazie. Pace.
RispondiEliminaPace sempre da riconquistare. Un saluto.
EliminaLa poesia non si commenta! Nel linguaggio universale dice l'arcano.
Nella magia di Natale tutti diventiamo bambini e riacquistiamo la
Verità "senza veli": la musica (agreste) della zampogna ci circonda
e gli angeli della purezza volteggiano.
Fantasia? Sogno?
Fede e Speranza!
Forse per entrare nel vero spirito del Natale è necessario essere un po' fanciulli, ridiventare bambini nel cuore.
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