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giovedì 22 dicembre 2016

La città sommersa. Racconto di Natale.

Una favola inventata, tra il sacro e il profano, tra il serio e il faceto.

🖊 Racconto di Gian Maria Zavattaro
🎨 Le immagini riproducono opere del pittore di arte naif Marino Di Fazio (qui il sito) 
Anche le città credono d'essere opera della mente o del caso, 
ma né l'uno né l'altro bastano a tener su le loro mura. 
D'una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, 
ma la risposta che dà a una tua domanda
(Italo Calvino, Le città invisibili, Einaudi, Torino 1972, p. 50).

Marino Di Fazio, 
Angolo di città ligure
C’era una volta una città, Erebos,  in riva al mare, ad un tiro di schioppo dalle montagne - città triste, tenebrosa, ingannevole (nomen omen!) -, dove tutti, (uomini, donne, vecchi, bambini, gatti, cani e canarini) non facevano altro che lavorare e calcolare i loro guadagni alla faccia degli altri: stipendi, conti in banca, spese, interessi, affitti e profitti, probabilità pro e  contro, vantaggi e svantaggi. Non solo. Animati da una furia contagiosa, in parossismo collettivo passavano il tempo a calcolare tutto: larghezza, lunghezza, peso, distanze, cibi, bevande, cielo e terra, conoscenti, amici, stranieri, figli, scuola, lavoro, ferie e festività, serre, fiori, carciofi, asparagi, pomodori, trombette… Tutto.
Forse che la vita non è altro che un calcolo continuo? Così la gente trascorreva i suoi  oscuri giorni ad Erebos e per svagarsi, in file interminabili, rivisitava - perché c’è sempre da imparare! - la mostra permanente “calcolare è sognare, calcolare è vincere” e, ovunque ci si incontrava, gli sguardi non miravano le persone ma scarpe-vestiti-gioielli-cellulare e con fulmineo calcolo ognuno capiva quanto valeva chi aveva di fronte e.... beh, un'idea ve la siete  fatta, no?  
Marino Di Fazio, 
Temporale
Così si susseguivano i giorni, i mesi, gli anni:  i bimbi crescevano, gli adulti invecchiavano, i vecchi morivano. E tutti sfoggiavano un’ipocrita allegria, cioè erano infelici, ma era la prassi (dicesi procedura abituale, consuetudine, in greco “praxis”).
Poi un giorno - era l’antivigilia di Natale e tutti erano a calcolare regali come pesi e controregali come contrappesi - il sindaco della città (boh, è trascorso  troppo tempo e non ricordo il nome!) passando per via dei Mille, all’improvviso capì che c’era qualcosa che non andava: non erano mille nella spedizione di Garibaldi,  lo sapevano tutti, eppure si era continuato imperterriti a calcolarne mille e  i conti non tornavano. Possibile che nessuno ci avesse  fatto caso? Bisognava assolutamente provvedere. Convocò con procedura d’urgenza una seduta straordinaria del consiglio comunale e fu la fine.
Marino Di Fazio, 
Gufo e civetta
Arrivarono tutti ancora con i loro pacchetti e pacchettini in mano ed ognuno seguiva con la calcolatrice incorporata al cellulare i conti che il Sindaco snocciolava, gravemente assentendo con la testa. Poi si aprì il dibattito. Che c’era da dibattere? Silenzio assordante: ognuno faceva i suoi conti. 
Sola, prese la parola una giovane consigliere (o si dice consigliera?), fresca della maturità al Liceo della città, eletta quasi per caso - la solita storia dell’asino che sostituisce il cavallo –, si guardò in giro impacciata, poi decisa si mise tranquilla a declamare una poesia che ben conosceva. Una poesia? Sì, anche una preghiera, anzi un’invocazione che saliva dal cuore profondo della città.  Questa:

“Vieni di notte,
ma nel nostro cuore è sempre notte:
e, dunque, vieni sempre, Signore.
Vieni in silenzio,
noi non sappiamo più cosa dirci:
e, dunque, vieni sempre, Signore.
Vieni in solitudine,
ma ognuno di noi è sempre più solo:
e, dunque, vieni sempre, Signore.
Vieni, figlio della pace,
noi ignoriamo cosa sia la pace:
e, dunque, vieni sempre, Signore.
Vieni a liberarci,
noi siamo sempre più schiavi:
e, dunque, vieni sempre, Signore.
Vieni a consolarci.
noi siamo sempre più tristi:
e, dunque, vieni  sempre, Signore.
Vieni a cercarci,
noi siamo sempre più perduti:
e, dunque, vieni sempre ,Signore.
Vieni, Tu che ci ami:
nessuno è in comunione con il fratello
se prima non è con Te, Signore.
Noi siamo lontani, smarriti,
né sappiamo chi siamo, cosa vogliamo:
vieni ,Signore,
vieni sempre, Signore.” (1)

Marino Di Fazio, 
Presepe
Fu come scoperchiare il vaso di Pandora e togliere  il velo di Maya: reconditi bisogni e nascoste speranze prima represse e rimosse saltarono fuori, l’oscuro  divenne chiaro e ciò che prima era scontato apparve invece stupido ed insignificante. La forza delle parole: troppo spesso vuoti rumori, ma a volte pietre vive che infrangono ogni barriera.
Sorpresi, increduli i consiglieri si accorsero che erano tante, troppe le cose che non si potevano calcolare:  il silenzio, la solitudine, la tristezza, la gioia, la pace, la libertà, la comunione, il cuore delle persone che si amano, la fede…, insomma i sentimenti, le emozioni, le scelte di vita  che ti cambiano dentro e il tuo incalcolabile sorriso. Come si fa a calcolare le cose che ti cambiano dentro? Come calcolare il Signore che viene sempre?
Marino Di Fazio, 
L'albero di Natale
Fu così che  il consiglio comunale riscoprì il Natale attraverso  la   poesia (dal greco “poiesis”, “creazione”, azione appunto che ti trasforma dentro). E dal consiglio comunale - come un’epidemia, una spirale inarrestabile, anzi una travolgente valanga - la poesia-preghiera  dell’ultima arrivata invase la città: tutti vedevano tutto in una luce diversa e si respirava un’aria musicale mai provata.
C’era chi per strada leggeva (pensate: leggeva!!) scambievolmente quella ed altre poesie di Natale, c’era chi  cantava, chi interpellava di notte la luna e le stelle erranti con struggenti sonetti caudati, chi all’alba del 25 dicembre contemplava l’aurora del mare ed il sorgere del sole, qualcuno addirittura pregava ed invocava “Vieni sempre, Signore”. 
Marino Di Fazio, 
Serata in osteria
Il bello era che non si era mai soli, ma insieme si gustava lo stupore e  la gioia del Natale, della vita.  E non è che non si calcolasse più, anzi, ma era diverso: tutto sembrava cambiato, tutto e niente. I mali, i lutti, le sofferenze, i conti da pagare, l’Imu e la Tasi continuavano come prima, i problemi  rimanevano tali, ma era diverso: per esempio i conflitti trovavano soluzione, le incomprensioni finivano per svanire, le rese dei conti si liquidavano con una risata. 
C’era l’aria festante di nuovi giorni che consacrassero il vivere tutti insieme nella concordia delle differenze, come in attesa di una rinascita cittadina, di un’alba che suggellasse la crescita delle speranze di ognuno. Pensa e ripensa, l'idea venne ancora una volta all’ultima arrivata (una patita del greco antico, oltre che di Calvino!): basta con Erebos, nome tetro e funereo,  chiamiamo la città Megalelpia. Nome un po' complicato (ah, i grecisti...), ma pregno di speranza. E così fu.

(1) David Maria Turoldo, Vieni, Signore (in L’incanto del Natale nella poesia e nell’arte, ed. Paoline, 1996, pp.227-228).

Marino Di Fazio, 
 Paese della riviera ligure.

6 commenti:

  1. Bella semplice e calda, la luce delle opere del pittore Di Fazio. Grazie del regalo.

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  2. La poesia non si commenta! Nel linguaggio universale dice l'arcano.
    Nella magia di Natale tutti diventiamo bambini e riacquistiamo la
    Verità "senza veli": la musica (agreste) della zampogna ci circonda
    e gli angeli della purezza volteggiano.
    Fantasia? Sogno?
    Fede e Speranza!

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  3. Forse per entrare nel vero spirito del Natale è necessario essere un po' fanciulli, ridiventare bambini nel cuore.

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