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sabato 20 marzo 2021

Unicità. Vocazione.

"E' dunque questo che chiamiamo vocazione: la cosa che fai con gioia, come se avessi il fuoco nel cuore e il diavolo in corpo?"
Post di Rossana Rolando
Immagini di Carlo Brenna (qui il sito instagram).

Carlo Brenna, In cerca di luce
Ci sono momenti in cui, improvvisamente, intuitivamente, può apparire chiaro “il motivo” per cui si vive o si potrebbe vivere¹, la “cosa che si fa con gioia, come se si avesse il fuoco nel cuore”, la tensione verso “ciò che è proprio”. In questa intuizione, capace di raccogliere tanti segnali in un lampo, si comprende il significato della “vocazione”.

Daimon, angelo, eredità, destino, chiamata… sono alcuni dei termini utilizzati da James Hillman (1926-2011) in Il codice dell’anima per indicare la spinta di fondo della vita di ciascuno, il desiderio che fa vivere. Quelle parole, a ben vedere, rimandano ad una attrazione non voluta, ma trovata, indicano un comando che supera chi lo riceve: essere chiamati a pensare, a suonare, a dipingere, a costruire, a danzare.., essere destinati, aver ereditato un compito. Vi è per tutti una vocazione profonda che caratterizza l’unicità di ciascuno: essa non si sceglie, ad essa si aderisce, si risponde.

Nelle persone eccezionali appare con chiarezza la vocazione, la lealtà nel raccoglierne gli indizi, la convinzione di fondo nel lasciarsi guidare e proprio questo fa sì che tali personalità presentino un fascino particolare. Nei grandi musicisti, per esempio, il richiamo risulta particolarmente esplicito, fin dall’infanzia: da Mozart a Mendelssohn, da Mahler a Verdi. Lo stesso vale per i grandi pensatori, scienziati, artisti.

Carlo Brenna, Labirinti dell'anima
Robin George Collingwood, filosofo inglese (1889-1943), racconta la sua esperienza di bambino, nella biblioteca del padre, attratto da un libro sulla cui costola è scritto “L’etica di Kant”. Inizia a leggere, preso da una iniziale eccitazione, poi comprende con sgomento di non poter capire nulla, pur presagendo l’importanza vitale di quanto in esso è scritto. Da quel momento sa che quel libro lo riguarda, è affar suo, anche se per ora non lo capisce, è il se stesso futuro. In un attimo si alza un velo sul suo destino, un imperativo che lo accompagnerà per tutta la vita: “devo pensare”.

La vocazione non coincide però con i destini di uomini famosi, né si può parlare viceversa di una vocazione alla mediocrità, che implicherebbe una uniformità senza distinzione.

Nelle persone apparentemente comuni, che svolgono normali attività - senza celebrità o talento particolari - il daimon si realizza nel carattere, nel modo in cui si esegue la propria attività, per quanto umile e nascosta essa sia: tutti conosciamo quel particolare postino, quel bravo macellaio, quel barista sotto casa: “il carattere non è quello che faccio, ma il modo in cui lo faccio”.

Il concetto di vocazione dunque è utilizzato da James Hillman in senso laico, pur affondando le radici nelle profondità del mito e nella potenza del linguaggio immaginifico.

Carlo Brenna, Oltre il conosciuto

In particolare, il racconto di Er, nella Repubblica di Platone, costituisce un assiduo rimando, poiché descrive una situazione che precede l’esistenza e ne spiega miticamente il significato: ciascuna anima dopo aver scelto la propria essenza, il proprio destino, avrà come compagno il genio (daimon) che la guiderà nella realizzazione del suo specifico compito.

In consonanza con questo mito, James Hillman sviluppa la famosa immagine della ghianda in cui è già inscritta la possibilità della quercia, l’attualizzazione della ghianda, quello che essa deve diventare.

“…la vocazione, il destino, il carattere, l’immagine innata: le cose che insieme sostanziano la “teoria della ghianda”, l’idea, cioè, che ciascuna persona sia portatrice di una unicità che chiede di essere vissuta e che è già presente prima di poter essere vissuta”.

In quest’ottica Hillman legge i malesseri, i disturbi, i sintomi di bambini, adolescenti, adulti: non si tratta di malattie da rimuovere, ma di segni che rimandano ad ostacoli nella realizzazione della propria vocazione.

Nella stessa prospettiva si inserisce il discorso sulla scuola, nel suo duplice volto:

Carlo Brenna, Fratture

- In senso negativo, come luogo in cui si sperimenta la contrapposizione tra intuizione del proprio intimo sentire ed istruzione, come attestano le esperienze sofferte di geniali personalità: da Thomas Mann che definisce la scuola “stagnante e deludente” a Tagore che interrompe gli studi a 13 anni, fino a Gandhi che ricorda gli anni di scuola “come i più infelici della sua vita” e molti altri ancora…¹⁰

- O, al contrario, in senso positivo, la scuola come luogo privilegiato in cui l’individuo matura la propria vocazione e in cui l’insegnante ha il ruolo di mentore, capace di intravedere l’invisibile nelle pieghe del visibile ovvero quel qualcosa di essenziale che caratterizza l’allievo, la sua unicità, in nessun modo racchiudibile in una generica tipicità.¹¹

Note.
1. Citazione di Gustav Carl Jung posta in apertura al testo di James Hillman, Il codice dell'anima, Adelphi, Milano 1997, p. 10: "In ultima analisi, noi contiamo qualcosa solo in virtù dell'essenza che incarniamo, e se non la realizziamo, la vita è sprecata".
2. Epigrafe di Josephine Baker trascritta nella prefazione al testo di James Hillman, Il codice dell'anima, cit., p. 13: "E' dunque questo che chiamiamo vocazione: la cosa che fai con gioia, come se avessi il fuoco nel cuore e il diavolo in corpo?"
Carlo Brenna, Spiragli dell'anima
3.
Cfr. James Hillman, Il codice dell'anima, cit., p. 47.
4. Cfr. Ibidem,  p. 312.
5. Cfr. Ibidem,  p. 31-32.
6. Cfr. Ibidem,  pp. 313-314.
7. Cfr. Ibidem,  pp. 10; 67-69; 87-88; 260-261; 337-338.
8. Cfr. Ibidem,  p.21.
9. Cfr. Ibidem,  p.30.
10. Cfr. Ibidem,  pp. 134 e seg.
11. Cfr. Ibidem,  pp.155 ("Il mentore è una persone che vede qualcosa di essenziale"; 160-161 ("L'invisibile è perfettamente visibile in ogni punto e momento della quercia e non è altrove o prima della quercia, ma si comporta come un ordine implicito tra le pieghe del visibile... invisibile, ma non letteralmente tale, bensì l'invisibile fatto visibile").

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14 commenti:

  1. La Vocazione è presupposto dell' Ispirazione ?

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  2. Per Hillman vocazione e ispirazione sono colte entrambe intuitivamente, quindi si danno alla coscienza in un attimo privilegiato di interiore "rivelazione", improvvisa illuminazione.
    Il concetto di vocazione è, per certi versi, più ampio - perché riguarda ogni individuo - rispetto a quello di ispirazione, che appartiene a vocazioni straordinarie (ispirazione poetica, artistica, inventiva matematica... sono gli esempi di Hillman). In questo senso eccezionale, perché ci sia ispirazione è necessario presupporre una specifica vocazione.
    Per altri versi però, Hillman sembra fare riferimento ad una perdita d'anima - nella società moderna e borghese - una perdita di ispirazione che deriva dalla incapacità di seguire la propria vocazione uscendo da schemi prefissati. In questa seconda accezione vocazione ed ispirazione coincidono e l'elusione della propria vocazione si identifica con l'assenza di ispirazione. Dice per esempio: “Non dimentichiamo che le società sono elevate e arricchite da coloro che sono ispirati: l’infermiera del pronto soccorso, la maestra dell’anno, la guardia che fa canestro con uno stupendo tiro da tre punti” (p. 332, Il codice dell’anima).

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  3. Un post interessante e stimolante, che , tenendo a riferimento J. Hillman, un tardo platonico che ha importato concetti come “ anima mundi “ e “ genius loci “ nella psicologia, illustra la Vocazione.
    Oltre all’urgenza di seminare “ inquietudine e ricerca” nel piatto universo sociale odierno, lo scopo di Rossana, a mio avviso, è: di prendere la “ misura” al rapporto pedagogico, quello vero, per introdurlo in una scuola “ rinnovantesi”. Il “ cruccio” morale del vero maestro è proprio la corrispondenza con la vocazione di ciascun alunno. Grazie, un abbraccio 🤗

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  4. Sì, il tema della scuola, oltre ad essere tematizzato nel libro in un capitolo specifico e in altri punti, è sempre nel cuore.
    Ricordo il "mio" professore di teoretica, nelle sue stupende lezioni universitarie, quando affermava che un docente deve vedere nell'alunno quello che non è ancora, l'invisibile nel visibile, appunto.
    Grazie Rosario! Un abbraccio a te.

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  5. Hillman traduce col termine divulgativo ghianda il concetto junghiano del Sè, cioè la nostra essenza individuale, la nostra totalità. Per Jung se l'Io (ciò che conosciamo di noi) si mette in relazione con il Sè, si genera un dinamismo psichico che porta all'individuazione, cioè a divenire consapevoli di chi siamo veramente, ed è un processo di autoconoscenza che dura tutta la vita. Nella rinuncia all'Io come centro ultimo e conosciuto di noi, c'è il superamento dell'egocentrismo, del narcisismo e dell'individualismo, c'è la tensione continua verso l'ignoto, ciò che non conosciamo di noi, alla ricerca di un'integrazione tra conscio e inconscio, un processo psicologico ma anche spirituale, tanto che Jung afferma che "l'anima (la nostra psiche autentica) è naturaliter religiosa".

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    1. Grazie per questo riferimento a Jung che arricchisce la comprensione della teoria della "ghianda" e ne illumina l'origine. Buona domenica e buon inizio di primavera!

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  6. grazie dell'articolo, bellissimo. per me sulla scuola vale come per Ghandi "i più infelici"...ascolterò volentieri il video di Hilllman. grazie buona domenica

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  7. Sì, purtroppo, la scuola può diventare - per motivi soggettivi e oggettivi - luogo di sofferenza, anziché di liberazione. Buona domenica e buona primavera!

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  8. Interessante articolo cui non mi sento di aggiungere niente se non il mio GRAZIE a Rossana, anche per le considerazioni vere sulla scuola e il suo ruolo talora liberante, ma talora soffocante in relazione all'unicità del singolo.
    Buona primavera a te!!!!

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  9. Grazie a te, Annamaria, sei sempre cara. Buona primavera e buona giornata della poesia!

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  10. Cara Rossana, grazie per questa riproposizione del pensiero di Hillman con la suggestione del suo daimon, che ti 'afferra', ti scuote, ti si squaderna a volte attraverso la difficoltà, l'oscurità oppure con il suo evidente splendore. Dacia Maraini ha detto che per lei scrivere era come andare a un incontro con l'innamorato. Credo che 'servire' la propria vocazione sia trovare l'isola perduta, il tesoro nascosto... Grazie. Un abbraccio.

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    1. Ciao cara Maria. Come dice Dacia Maraini, che tu ricordi, quando si sente questo fuoco che infiamma il desiderio per qualcosa - la scrittura è la stessa vocazione di cui parla Hillman, anche se in una forma tormentata - si comprende e si testimonia che la vita può avere senso e bellezza. Un abbraccio.

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  11. Grazie Rossana. Ho letto e riletto questo post e devo dire che mi ha illuminato. Lo condivido con una mia quinta del liceo artistico...credo che ai ragazzi che si stanno avviando verso l’esame di maturità, possa essere una riflessione interessante.
    Sento interessanti anche per me queste parole: vi ho ritrovato la mia passione per la scuola, la mia scelta controcorrente di 40 anni fa, in cui decisi di insegnare religione per stare con i ragazzi e non chiudermi in un ufficio a fare conti...
    Grazie per la preziosa riflessione. A presto

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  12. Grazie a te, cara Patrizia, per questo pensiero che mi onora. Con te condivido la passione per la scuola e la trepidazione per i ragazzi a cui spesso è difficile comunicare il vero significato della cultura, come via per conoscere se stessi e trovare il proprio "posto" nel mondo. In molti casi gli alunni percepiscono la scuola - l'apprendimento, l'istruzione - in contrasto con la ricerca di sé (la propria vocazione)... e questo genera grandi problemi di disaffezione, abbandono, svogliatezza.
    Ti abbraccio.

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