"Persona e Comunità" è un blog di riflessione culturale, filosofica, religiosa, pedagogica, estetica. Tutti gli articoli sono scritti da: Gian Maria Zavattaro, Rossana Rolando, Rosario Grillo.
Sul momento che stiamo vivendo e sulla scelta tra le due strade del bivio che ci troviamo a percorrere, di cui siamo responsabili.
Post di Gian Maria Zavattaro
Immagini di Fuad Aziz (dalla pagina facebook, per gentile concessione).
“Maledetto chi calpesta il diritto
del forestiero, dell’orfano e della vedova” (Deuteronomio 27:19).
Fuad Aziz
Quale pena sentire il
ministro dell’Interno rispondere al monito del cardinal Ravasi (“ero straniero e non
mi avete accolto”) ribattendo di aver fatto una “bella cosa”! Se
l’indifferenza circa la “pacchia” dei cosiddetti migranti di oggi è già in sé
tremenda, insopportabile è la tracotanza di chi fa del calvario dei
disperati il suo trofeo con una retorica comunicativa finalizzata non solo alla loro
esclusione, ma a svilirne l’esistenza sulla base delle convenienze elettorali e
di meschine ipocrisie (1).
Non siamo usciti
dall’inverno sociale, come auspicava poco tempo fa il card. Bassetti, anzi
l’ombra del gelo si sta allungando a dismisura. E provo, non rabbia, solo
accorata mestizia per il vasto gregge di truppe cammellate e di bulletti
digitali smarriti nell’esplosione della incomunicabilità tra le persone,
storditi e sedotti dalle blandizie del mondo virtuale dove le ingiurie sono
lecite e permesse, si approntano liste di proscrizione, si minacciano (e si
iniziano a praticare) linciaggi non solo verbali. Semmai la mia rabbia va
contro i burattinai, quelli visibili e quelli celati dietro le quinte a
dirigere il traffico ed a manovrare marionette, agitando lo spauracchio di
mille paure, rinfocolando un reale malessere ed indirizzando cieco risentimento
e sordo rancore contro comodi capri espiatori. E’ la stagione dei mestatori,
dei predatori, dei ladri dell’altrui fragilità e credulità.
Fuad Aziz
Rischiamo
di assistere - indifferenti, incoscienti, impotenti - al progressivo
involgarimento della parola (verbum, logos) e sgretolamento del pudore
(democratico), quasi preambolo a regimi illiberali. “Fare parola” non
significa più intessere dialogo con chi ha visioni diverse dalle nostre, ma
sfornare monologhi e soliloqui, trappole di
formule ritrite, frasi ad effetto che negano ogni discussione ma offrono
rassicuranti trinceramenti delle proprie incrollabili emozioni. E siamo
al problema dei cosiddetti migranti. La parola
non è più fattore di incontri: non “ci parliamo” più, trainati e
traviati da modelli “urlanti”, suoni e rumori,
ampliati a dismisura dai media, comprensibili
solo ai propri omologati, incomprensibili per gli altri. Una Babele di
flatus vocis invasivi, segno biblico non solo della nostra frantumazione e
schizofrenia sociale, ma del mascheramento e smarrimento della “parola”
come verbum
e logos. Eppure in
ogni presa di posizione, anche in quella di non prendere posizione, dovrebbe
essere la “parola” a chiarire la scelta o la non scelta di campo: “parola” che
“parla” alla mente, riconoscendo e rispettando le ragioni degli altri, che
ascolta e che fa proprie le ragioni del cuore: “parola viva, quella che
si relaziona con gli altri, quella che ci conferisce un posto nel mondo, quella
che mormora al tuo orecchio” (2).
Fuad Aziz
Soprattutto
oggi, mentre si discute di profughi (ovvero di vita e di morte, di inclusione
integrazione accoglienza e al contrario di indifferenza rifiuto esclusione, in
sintesi di ospitalità o di ostilità), in realtà si discute di noi, del nostro
mondo e modo di relazione con noi stessi e gli “altri”. Si discute insomma del
nostro presente e del nostro futuro prossimo, al
bivio tra due opzioni: o ricostruire la parola ed il dialogo e con ciò
ribaltare l’ostilità in ospitalità; oppure sommergerci nella Babele
dell’incomunicabilità ed inospitalità reciproche, che ci porterà…dove? 💢 1. La prima opzione, il
cammino dell’ospitalità, mi pare ben puntualizzata dalla CEI: accoglienza intesa come presa in
carico dall’intera comunità, non relegata al lavoro e all’impegno di
piccoli gruppi che già se ne occupano, nella prospettiva di un vero “welfare di
comunità”. Sentite che cosa scriveva nel 1951 Daniélou
(1905-74): “Si può dire che la civiltà
abbia compiuto un passo decisivo, e forse il passo decisivo per eccellenza, il
giorno in cui lo straniero da nemico (hostis) è divenuto ospite,(hospes)”
(3). Siamo ben lungi da questo passo decisivo. Eppure l’ospitalità è sempre
stata nell’occidente l’abc della civiltà e della
cultura. Sul versante greco-romano val la pena citare per tutti Omero, il grande trasmettitore del valore dell’ospitalità
(Nausicaa…) ma insieme della gravità della sua profanazione (Antinoo…; Polifemo, emblema di inciviltà e disumanità che invece di accogliere divora gli ospiti). Non a caso la guerra di Troia, che nasce dalla violazione
dell’ospitalità, è il mitico paradigma di tutte le guerre. Sul versante
giudaico-cristiano, la Bibbia è continua ammonizione del valore assoluto
dell’ospitalità ed accoglienza dei forestieri (4). Insomma ieri come
oggi l’ospitalità è la prima parola per uscire dalla barbarie che, non
riconoscendola, pratica
la guerra.
Fuad Aziz
💢 2. La seconda opzione è il cammino
alternativo della globalizzazione dell’indifferenza e dell’inospitalità. Non
solo ci riporta indietro al mondo della barbarie e delle guerre, ma rischia di
riproporci, oltre Babele, le rovine di Sodoma e Gomorra.
Pierre Levy, teorico del cyber-spazio, nel terzo
capitolo di “Intelligenza
collettiva”(5), edita più volte a partire dagli anni 90, offre la sua
interpretazione “laica” della Genesi,18-19.
Dio ha deciso di distruggere la città. Abramo
si cimentain
uno straordinario tentativo di testarda contrattazione: alla fine la città sarà
salva se in essa si troveranno dieci “giusti”. Ne trova solo uno, il nipote
Lot, con la sua famiglia. La colpa di Sodoma è appunto quella di negare
l’ospitalità: invece di accogliere gli stranieri ne abusa. I giusti invece si
riconoscono proprio dall’ospitalità, eminente garanzia del legame sociale
nella forma della reciprocità: l’ospite è indifferentemente colui che è
ricevuto o colui che riceve e ognuno può diventare a sua volta straniero.
Grazie all’ospitalità colui che è separato, diverso, straniero viene accolto,
integrato, compreso in una comunità. Al contrario dell’esclusione il
giusto include e in una società di giusti ciascuno si impegna a includere gli
altri, nel rispetto delle reciproche differenze ed identità.
Fuad Aziz
Perché Lot non basta a salvare
Sodoma, ma ci vogliono almeno dieci “giusti”? Risponde Levy: c’è bisogno di
com-unione per sostenere una città, il 10 simbolicamente rappresenta il minimo
necessario di persone perché si possa vivere in società, sopportarsi, aiutarsi,
valorizzarsi reciprocamente. Nella nostra società globale tecnologica –
conclude Levy - i “giusti” riescono a garantire la sopravvivenza di una società
solo se costituiscono una “intelligenza collettiva”. E' quanto già sosteneva e praticava don Milani: cultura è “possedere la parola” (quella
“viva”) e appartenere alla comunità. Un impegno ed una
responsabilità di ognuno di noi perché l’ospitalità
è un bene comune, fragile, che deve essere sostenuto da una “intelligenza
collettiva” che supera interessi individuali e di parte. Se la si distrugge, l’ospitalità non è più un bene per nessuno. Quante generazioni saranno necessarie per la sua ricostruzione?
🎇Note.
(1) Come ad es. giurare sul Vangelo
o dichiararsi devoti di Padre Pio o baciare la teca di S. Gennaro, perché tutto
fa brodo. (2) cfr. A.
Jenni, Il volto di
tutti i volti, Ed. Qiqajon, Comunità di Bose, 2017, pag.99. (3) cfr. Jean
Guènolé Marie Daniélou, Pour une théologie de l’hospitalité, 1951. (4) M limito a citare alcuni versettti veterotestamentari: “Ci
sarà una sola legge per il nativo e per lo straniero che risiede in mezzo a voi”
(Esodo 12:49) - “Ci sarà una sola legge presso di voi, sia per il
forestiero che per il nativo del paese” (Levitico 24:22) - “Se
verrà a stabilirsi presso di voi un immigrante, non molestatelo. Chi
viene a stabilirsi presso di voi lo tratterete come colui che è nato fra voi. Lo
amerai come te stesso, perché anche voi
siete stati forestieri nella terra d’Egitto” (Levitico 19:33-34) … Tutte
le citazioni sono tratte da LA BIBBIA,
ed. S. Paolo, 2010.
(5) cfr. P. Levy, L’intelligenza
collettiva. Per un’antropologia del cyber-spazio, Feltrinelli, varie
edizioni.
Ok....la parola deve convincere e determinare la scelta di campo...si assiste al fenomeno inverso faziosità e mancanza di giudizio obiettivo...ne discendono urla...insulti...rivalità pura...rovina...si deve riprendere il filo della sensatezza . ..tramite benevolenza...
Grazie. Solo nel dialogo La parola può esprimersi. Le condizioni del dialogare si ritrovano nel riconoscere identità ed alterità, io e l’altro, ascoltare l’altro, prenderlo sul serio e con fermezza e “benevolenza” sostenere le proprie convinzioni.
Sacralità della persona e sacralità della parola sono "una cosa sola"... Il linguaggio abusato e svilito ormai dominante è drammatica icona della persona sfigurata, svuotata di umanità. Mi ritrovo in tutti i passaggi della riflessione e condivido l'urgenza di una "intelligenza collettiva"... Impegnarsi per un NOI dei "giusti".
"Condivido sia il rapporto stretto tra persona e parola, “una cosa sola”, sia l’urgenza di ritornare al “noi”. Nell’ultima intervista rilasciata ad Assisi nel 2016 Bauman dichiarava che “imparare a praticare l’arte del dialogo dovrebbe essere una delle scelte da inserire tra i compiti più urgenti con i quali dobbiamo confrontarci”.
“Verbum caro factum “ : basterebbe questo! Mi sono trovato a scrivere anche della “ glossolalia “! Oggi si deturpa la Parola, che, come sopra, nell’essenza, è sacra, piegandola all’offesa....e le stesse fake news sono una realtà peccaminosa. Accetto quindi il tuo invito, Gian Maria, a creare la “ società dei giusti”,nuova intelligenza collettiva , per resistere e ricreare.
Accetto anch’io volentieri la tua sollecitazione, entrambi consapevoli che si tratta di vera rivoluzione culturale rispetto al mondo in cui oggi viviamo, rispetto a quanto globalmente si è abituati a fare si muore prima ancora di crescere: per “resistere e ricreare”. Ovvero ripensare nella teoria e nella prassi la nostra epoca con pazienza, perseveranza, profondità. Ciao.
Non è la prima volta che ci troviamo di fronte ad un bivio del genere: sono cicli perenni, corsi e ricorsi -per dirla con Vico- e questo è il nostro inferno. Quando supereremo il contingentismo saremo umani.
Mi è molto caro Vico che nei miei studi liceali mi ha in qualche modo conquistato, grazie in particolare agli studi dell’Amerio (più che di Croce). Lego anch’io i corsi e ricorsi al fatto, ricorrente, che ogni generazione è chiamata a scegliere, in continuità o rottura con chi l’ha preceduta, la strada da praticare, da migliorare o peggiorare. Proprio come noi oggi. Buona serata.
Gent.mo Gian Maria, mi trovo in sintonia piena con le sue riflessioni. La ringrazio di cuore per avere posto all'attenzione anche il saggio di Levy. Aggiungo una mia emozione: ho molta paura del mare aperto, dell'essere in balia delle onde (nonostante il mio blog si chiami "mari da solcare") e considero quanta e quale debba essere la disperazione dei migranti se - uomini, donne, anche incinte, con bambini - pur di fuggire da fame, guerre, violenze, futuro nero, affrontano il rischio di una morte atroce in mare ... Come si fa a non provare compassione e misericordia? Certo, la questione è anche pratica, politica, economica e come tale deve essere affrontata. Ma lo sguardo iniziale deve essere umanamente misericordioso ... Grazie ancora. Buon fine settimana.
Gent.ma Maria, Le confesso che anch’io ho molta paura del mare: non so nuotare (a differenza di mia moglie, provetta nuotatrice) e, da piccolo in colonia POA, un bagnino un po’ spregiudicato mi buttò in acque profonde senza alcun preavviso e solo all’ultimo momento si accorse che non venivo a galla … Motivo personale in più per “provare compassione e misericordia”, sguardo che tutti possiamo donare. Grazie a Lei. E buona settimana spero molto calorosa intus, ma non in cute…
Articolo molto interessante. Grazie.
RispondiEliminaLa ringrazio
EliminaOk....la parola deve convincere e determinare la scelta di campo...si assiste al fenomeno inverso faziosità e mancanza di giudizio obiettivo...ne discendono urla...insulti...rivalità pura...rovina...si deve riprendere il filo della sensatezza . ..tramite benevolenza...
RispondiEliminaGrazie. Solo nel dialogo La parola può esprimersi. Le condizioni del dialogare si ritrovano nel riconoscere identità ed alterità, io e l’altro, ascoltare l’altro, prenderlo sul serio e con fermezza e “benevolenza” sostenere le proprie convinzioni.
EliminaSacralità della persona e sacralità della parola sono "una cosa sola"... Il linguaggio abusato e svilito ormai dominante è drammatica icona della persona sfigurata, svuotata di umanità.
RispondiEliminaMi ritrovo in tutti i passaggi della riflessione e condivido l'urgenza di una "intelligenza collettiva"... Impegnarsi per un NOI dei "giusti".
"Condivido sia il rapporto stretto tra persona e parola, “una cosa sola”, sia l’urgenza di ritornare al “noi”. Nell’ultima intervista rilasciata ad Assisi nel 2016 Bauman dichiarava che “imparare a praticare l’arte del dialogo dovrebbe essere una delle scelte da inserire tra i compiti più urgenti con i quali dobbiamo confrontarci”.
EliminaInteressante! Da meditare!
RispondiEliminaGrazie.
EliminaGrazie Gian Maria per questo articolo davvero interessante. Buon venerdi.
RispondiEliminaBuon fine settimana.
Elimina“Verbum caro factum “ : basterebbe questo!
RispondiEliminaMi sono trovato a scrivere anche della “ glossolalia “!
Oggi si deturpa la Parola, che, come sopra, nell’essenza, è sacra, piegandola all’offesa....e le stesse fake news sono una realtà peccaminosa.
Accetto quindi il tuo invito, Gian Maria, a creare la “ società dei giusti”,nuova intelligenza collettiva , per resistere e ricreare.
Accetto anch’io volentieri la tua sollecitazione, entrambi consapevoli che si tratta di vera rivoluzione culturale rispetto al mondo in cui oggi viviamo, rispetto a quanto globalmente si è abituati a fare si muore prima ancora di crescere: per “resistere e ricreare”. Ovvero ripensare nella teoria e nella prassi la nostra epoca con pazienza, perseveranza, profondità. Ciao.
EliminaNon è la prima volta che ci troviamo di fronte ad un bivio del genere: sono cicli perenni, corsi e ricorsi -per dirla con Vico- e questo è il nostro inferno. Quando supereremo il contingentismo saremo umani.
RispondiEliminaMi è molto caro Vico che nei miei studi liceali mi ha in qualche modo conquistato, grazie in particolare agli studi dell’Amerio (più che di Croce). Lego anch’io i corsi e ricorsi al fatto, ricorrente, che ogni generazione è chiamata a scegliere, in continuità o rottura con chi l’ha preceduta, la strada da praticare, da migliorare o peggiorare. Proprio come noi oggi. Buona serata.
EliminaGent.mo Gian Maria, mi trovo in sintonia piena con le sue riflessioni. La ringrazio di cuore per avere posto all'attenzione anche il saggio di Levy. Aggiungo una mia emozione: ho molta paura del mare aperto, dell'essere in balia delle onde (nonostante il mio blog si chiami "mari da solcare") e considero quanta e quale debba essere la disperazione dei migranti se - uomini, donne, anche incinte, con bambini - pur di fuggire da fame, guerre, violenze, futuro nero, affrontano il rischio di una morte atroce in mare ... Come si fa a non provare compassione e misericordia? Certo, la questione è anche pratica, politica, economica e come tale deve essere affrontata. Ma lo sguardo iniziale deve essere umanamente misericordioso ... Grazie ancora. Buon fine settimana.
RispondiEliminaGent.ma Maria, Le confesso che anch’io ho molta paura del mare: non so nuotare (a differenza di mia moglie, provetta nuotatrice) e, da piccolo in colonia POA, un bagnino un po’ spregiudicato mi buttò in acque profonde senza alcun preavviso e solo all’ultimo momento si accorse che non venivo a galla … Motivo personale in più per “provare compassione e misericordia”, sguardo che tutti possiamo donare. Grazie a Lei. E buona settimana spero molto calorosa intus, ma non in cute…
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