Insegnare non è istruire in modo asettico, è educare alla scuola dei valori costituzionali, perciò è, per sua natura, un atto politico (e non partitico).
Post di Rossana Rolando.
Immagini delle illustrazioni di Angelo Ruta (qui il sito) per gentile autorizzazione.
La vicenda dell’insegnante Rosa Maria
Dell’Aria (rientrata a scuola ieri 27 maggio, dopo la sospensione di 15 giorni) ha suscitato molte
discussioni, adesioni, distanze. Basta aprire su youtube il video “incriminato”
(qui sotto riportato) – quello preparato dagli alunni della II
E dell’Istituto industriale Vittorio Emanuele III di Palermo, in cui si
costruisce un parallelo tra le leggi razziali del 1938 e l’odierno Decreto
sicurezza - per capire la varietà delle reazioni, espresse in commenti di
diverso segno, in alcuni casi con un linguaggio violento, come purtroppo accade
troppo spesso in rete.
Immagini delle illustrazioni di Angelo Ruta (qui il sito) per gentile autorizzazione.
Angelo Ruta, Il suono del pensiero |
Non entro nel merito del lavoro svolto, degli
accostamenti operati dai ragazzi, della loro libera ricerca condotta senza
preventive censure.
Mi soffermo invece su un’affermazione
che ritorna spesso nei commenti al video e che si può sintetizzare negli slogan:
“fuori la politica dalla scuola”, “[I professori] devono insegnare e basta”, “la
scuola non deve essere di parte”, “La scuola deve fare la scuola e la politica
deve essere fatta nelle sedi giuste”…
Ora proprio questo è il punto su cui vorrei riflettere, nella personale convinzione che insegnare - nel senso più autentico della parola - è sempre un atto politico. Credo non si possa davvero educare – nel significato latino di e-ducere, tirar fuori, far nascere - senza “fare politica”. Non solo per chi è docente di storia e filosofia - come la sottoscritta -, ma per qualsiasi altro insegnante, tanto di discipline umanistiche quanto di materie scientifiche.
Ora proprio questo è il punto su cui vorrei riflettere, nella personale convinzione che insegnare - nel senso più autentico della parola - è sempre un atto politico. Credo non si possa davvero educare – nel significato latino di e-ducere, tirar fuori, far nascere - senza “fare politica”. Non solo per chi è docente di storia e filosofia - come la sottoscritta -, ma per qualsiasi altro insegnante, tanto di discipline umanistiche quanto di materie scientifiche.
Angelo Ruta, In cerca di giustizia |
Intendiamoci: se politica vuol dire
indottrinare, orientare in senso partitico, manipolare le menti, come è
accaduto storicamente nei regimi novecenteschi, anche di segno opposto (dal
fascismo al nazismo allo stalinismo) allora è bene che la politica rimanga
fuori dalle aule scolastiche e dagli altri ambiti educativi.
Ma se la politica è lo spazio in cui si
organizza la possibilità della convivenza tra le diversità, se è amore per la
comunità umana e per il suo destino sulla terra, se è volontà di liberare gli
uomini dalle molteplici catene, se è esercizio della parola come mezzo per
risolvere i conflitti e come strumento di comunicazione, se è luogo di
condivisione della memoria, se è palestra in cui esercitare i valori della
Costituzione… allora la scuola è momento politico per eccellenza e insegnare è preparare
le giovani menti ad essere protagoniste consapevoli dei processi democratici, in
modo tale da poter assumere in futuro la propria fetta di responsabilità nei
confronti di se stessi e degli altri.
Questo senso altamente politico (e non
partitico) non è disgiungibile in nessun modo dalla scuola, nella sua natura di
scuola educante, non semplicemente quando si occupa di temi storico politici ma
sempre. Per questo la cultura può incutere paura al potere costituito e può
entrare in conflitto con esso, come è accaduto nel corso dei secoli a quegli
intellettuali che hanno promosso il pensiero autonomo. La lezione di Socrate
rimane esemplare e, non è un caso che Platone abbia definito il suo maestro, Socrate,
come il vero politico.
Angelo Ruta, Passato e futuro |
Certo, dice Hannah Arendt, nel suo
scritto dedicato a La crisi dell'istruzione, si può abdicare a questa vocazione
politica e quindi “insegnare senza educare” come “si può continuare a imparare
fino alla fine dei propri giorni senza per questo diventar colti”. In questo
caso l’insegnamento si riduce a semplice istruzione, trapasso di nozioni che non
crea cultura e non forma persone adulte, in grado di usare la propria
intelligenza senza lasciarsi guidare da qualcun altro (direbbe Kant).
Nello stesso saggio sopra citato la
Arendt conclude così: “L’educazione è il momento che decide se noi amiamo
abbastanza il mondo da assumercene la responsabilità e salvarlo così dalla rovina,
che è inevitabile senza il rinnovamento, senza l’arrivo di esseri nuovi, di
giovani. Nell’educazione si decide anche se noi amiamo tanto i nostri figli da
non estrometterli dal nostro mondo lasciandoli in balia di se stessi, tanto da
non strappargli di mano la loro occasione di intraprendere qualcosa di nuovo,
qualcosa di imprevedibile per noi; e prepararli invece al compito di rinnovare
un mondo che sarà comune a tutti”.
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I testi citati di Hannah Arendt sono tratti da Tra passato e futuro, Garzanti, Milano 2011, pp. 254-255.
grazie per questa analisi che condivido pienamente
RispondiEliminaUn abbraccio, cara Roberta.
EliminaNon aggiungo nulla perché condivido parola per parola il senso di questo tuo post. Esiste un significato più alto di politica che purtroppo è stato dimenticato riducendola a propaganda di partito. La politica è ben altro, è ciò che tu hai così ben delineato nella tua esperienza di insegnante, che è stata in passato anche la mia.
RispondiEliminaGrazie di cuore, Rossana, di questa lucidità e un abbraccio di buona giornata!!!
Oggi più che mai mi sembra necessario recuperare il senso autentico della scuola (che rischia di perdere la propria specificità, sottoposta com'è a mille pressioni interne ed esterne) come luogo di formazione della coscienza e della cittadinanza, nella necessaria complementarietà tra istruzione ed educazione. La Arendt lo dice così: "la scuola non è affatto il mondo e non deve pretendere di esserlo; è semmai l'istituzione che abbiamo inserito tra l'ambito privato, domestico, e il mondo, con lo scopo di permettere il passaggio dalla famiglia alla società". Ciao Annamaria, un grande abbraccio.
EliminaPrendiamolo , il tuo prezioso post Rossana, come tassello di “ un nuovo edificio “ che ci metta al riparo dalla “ aggressività “ ( non tanto tempo fa Alessandro Baricco parlava di “ nuovi barbari”) di queste contingenti scelte politiche. La politica, dice giustamente Annamaria, è altra cosa! La scuola, ovvero l’avventura della “ formazione” è frutto di RELAZIONE! E dove c’è relazione, c’ è politica. La delicatezza, la responsabilità, il “ progetto di futuro” immanente alla formazione di nuovi giovani, di giovani coscienze è trascurato, misconosciuto dai politici tecnici. Per questi se la politica è una tecnica, e non dovrebbe, parimenti l’educazione dev’esere solo Tecnica. Assurdità e barbarie!
RispondiEliminaQuello che tu dici riguardo al misconoscimento del ruolo delicatissimo della scuola, per il futuro delle nuove generazioni e del mondo, fa parte della miopia del nostro tempo e della perdita di autorevolezza dell'Istituzione scolastica. Per questo la vicenda dell'insegnante di Palermo è risultata esemplare, ha mosso qualcosa, ha ridestato il senso di una dignità che va coltivata e mantenuta. Un caro saluto.
EliminaCondivido tutto, e’ il mio vissuto per 45 anni d’insegnante che tanto ho dato e tanto ho imparato.
RispondiEliminaProfondamente vero l’intreccio tra dare ed imparare. Per me questo vuol dire – sul piano intellettuale - che si può efficacemente insegnare soltanto se si continua a studiare e quindi ad imparare, ma vuol dire anche – sul piano relazionale - che si impara nella misura in cui ci si mette in gioco, donando tempo ed energie. Grazie per la bella testimonianza.
EliminaParlare del presente e del futuro dell’Italia significa parlare della scuola, stretta tra la sua funzione di rispondere ai bisogni del presente ed insieme di preparare il futuro. Da essa dipendono i beni supremi della vita delle donne e degli uomini: la libertà, l'autonomia, la possibilità di essere a pieno titolo cittadini capaci di esercitare con responsabilità i propri diritti e doveri, capaci di pensare, contro ogni tentativo, a destra o a manca, di clonazione. La scuola che pretende di essere “apolitica” è una scuola tragica: quella che non prepara al futuro, si perde nella dipendenza verso gli interessi del presente, spesso di parte, svuota l’insegnamento dall’attitudine a giudicare ed impegnarsi. La scuola che fa “politica” nel senso anti ideologico chiarito da Rossana è volere che ciascun alunno acceda al pensiero personale di fronte alle questioni principali che pone e gli porrà la vita. Essa si vieta ad ogni insegnamento dottrinario e mai dimentica che i giovani si educano solo se ci si riferisce agli ideali e valori della Costituzione.
RispondiEliminaCara Rossana, non avresti potuto dire meglio. Una volta di più.
RispondiEliminaGrazie di cuore per la condivisione di pensieri! Buona serata.
EliminaSottoscrivo parola per parola. Grazie Rossana.
RispondiEliminaDalla tua Sicilia questa pagina di "resistenza" della scuola che tanti sentimenti ha mosso. Un abbraccio.
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