Commento alla "favola del gallo e del pipistrello che aspettavano entrambi la luce".
Post di Rossana Rolando.
Le immagini riproducono opere del pittore francese Odilon Redon (1840-1916).
Il gallo dice al pipistrello:
“Io aspetto la luce
perché la luce mi è familiare,
ma a te cosa serve la luce?”
(b.Sanhedrin, Capitolo XI, Talmud babilonese)
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Odilon Redon,
Uomo alato |
Il gallo e il
pipistrello rappresentano due simboli dell’umano rapporto con il tempo e con la
storia. Il gallo è l’attesa, è la capacità di cogliere nel buio della notte le
prime avvisaglie del giorno. Il pipistrello è la cecità, non raggiungibile da alcun raggio luminoso.
Per l’uccello notturno la luce può anche arrivare, ma egli non ha sensori pronti
a vederla. Entrambi vivono nella notte e nel buio, entrambi ne soffrono, ma il
primo si fa figura “profetica” di un’alba che sta per venire o di una luce che può
filtrare nel tempo, il secondo è tutto chiuso nelle sue tenebre senza poter
immaginare alcun bagliore: i giorni si rincorrono come gli anni...
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Odilon Redon,
Il cuore rivelatore |
nella ruota del
tempo la ripetizione del circolo appare l’unica verità, senza buchi e feritoie,
senza tagli da cui lasciar entrare alcunché di nuovo. Due categorie di uomini o, forse, due aspetti
antropologici interni allo stesso uomo (l’attesa e l'indifferenza del disincanto).
Per certi
versi la figura del pipistrello sembra meglio interpretare la contemporaneità,
con la perdita non solo del senso, ma anche della ricerca del senso (il
nichilismo compiuto di cui ha parlato Nietzsche), per altri versi la figura del
gallo e la nostalgia della luce, del valore, dell’avvento messianico (qualunque
sia il volto che ciascuno vuole conferire al nuovo che attende) sembra
riemergere come insopprimibile desiderio dell’umano.
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Odilon Redon,
Profilo e fiori |
In una sua pagina stupenda, a commento del passo sopra riportato, scrive
Emmanuel Lévinas: «Il Messia viene solo
per colui che attende. Non esiste una liberazione oggettiva. Non vi è
messianismo per il pipistrello! Il gallo e il pipistrello: il gallo è lo “specialista” della luce, essa è il suo elemento. Il gallo non ha solamente gli
occhi per riceverla, ma – per così dire – “ha naso” per la luce. L’allodola che
saluta il sole, tutti possono far questo; tutti sono capaci di salutare
l’aurora. Ma distinguere nella notte oscura l’alba, l’avvicinasi della luce
prima del suo intenso splendore, questo è forse intelligenza. […] Il gallo che
avverte l’alba, che nella notte qualche istante in anticipo sente l’avvicinarsi
della luce, è un simbolo stupendo dell’intelligenza. Intelligenza che conosce
il senso della storia prima che accada e non lo indovina semplicemente dopo.
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Odilon Redon,
Testa su un gambo |
Il
pipistrello è considerato un animale che non vede la luce. I commentatori
dicono: il pipistrello non ha la luce, è immerso nell’oscurità. L’oscurità gli
pesa e lo rende infelice. Ma la luce non gli dice nulla purtroppo! E’ l’immagine
stessa della dannazione, di una dannazione che però non si aggiunge al male
come sanzione esterna imposta dalla violenza, ma che è più profondamente
tragica di una violenza. Il pipistrello soffre per l’oscurità ma la luce non
gli darà nulla. Messianismo crudele. Il Messia si rifiuta a coloro che non sono
più capaci di luce, anche se l’oscurità è per loro un peso». (E. Lévinas, Il
messianismo, a cura di Francesco Camera, Morcelliana, Brescia, 2002,
pp. 109-110).
Grazie mille.
RispondiEliminaDel gallo di Pietro che cosa dici?
Non aspettare che canti tre volte...
ad esempio... oppure?
RispondiEliminaVolevo dire: ricominciare subito e non rinviare l'impegno e la fedeltà ai propri valori.
Comincio con un grazie immenso a Rossana, che mi fa incontrare con Levinas e con Redon. Continuo evidenziando la necessità, ancor più forte, del dialogo delle religioni. Il Cristianesimo, molto spesso, si adagia su l'assunto della venuta, già compita, del Messia. L'ebraismo, in chiaroscuro, suggerisce la pregnanza dell'attesa del Messia.Il tema del Dio nascosto e la teologia negativa sono dei tentativi di recupero di questa " veglia ", perenne.
RispondiEliminaLévinas è un filosofo che amo molto e che mi pare capace di parlare alla coscienza dell’uomo di oggi. La centralità dell’etica e del concetto di alterità – di ascendenza biblica – assume la valenza di un discorso filosofico condivisibile anche a partire da una lettura laica. E poi c’è l’aspetto più propriamente religioso del dialogo ecumenico e del reciproco arricchimento sulle tracce del Deus absconditus di cui tu parli. Grazie, un abbraccio, Rossana.
EliminaIntelligenza, preveggenza...: due parole piene, feconde, che sembrano essere sparite dall'orizzonte, umano, sociale, civile, politico, oscurate dalla sterile "filosofia" dell'"hic et nunc". Quanta nostalgia!
RispondiEliminaCredo anch’io che l’intelligenza e la preveggenza del gallo siano antitetiche rispetto alla filosofia e alla pratica dell’hic et nunc, del tutto racchiuso nel presente. La capacità di attendere richiede pazienza e perseveranza e quindi un diverso rapporto con il tempo (individuale e collettivo). Grazie per questo commento che sicuramente ci trova in un comune orizzonte di pensieri.
Eliminavediamoli metaforicamente come componenti della stessa personalità, la vocazione alla luce con presagio e preveggenza e la cecità alla luce con nidificazione nell'oscuro, i vissuti differenti, la compensazione, l'asimmetria, la durezza dei ruoli assegnati: nascere pipistrello piuttosto che cinciallegra o allodola e il gallo solerte zelante istintuale per contratto...come parti di noi, componenti d'una diversificazione possibile che ci fanno sperimentare le possibilità dell'anima.
RispondiEliminaE’ interessante questa sorta di conflittualità che stabilisci tra le due possibilità dell’anima – gallo e pipistrello – affidando al gallo un ruolo più esterno, di un’apparenza rassicurante prima di tutto per il soggetto che la vive e portando all’estremo il notturno: non come spensieratezza – forse più adatta alla cinciallegra e all’allodola – né come semplice indifferenza alla luce (ed è questa l’interpretazione da me espressa nel post), ma come opposizione alla luce e coltivazione di pezzi oscuri di sé. Un doppio lacerante, alla ricerca di “compensazione”. Non so se ho interpretato correttamente il tuo pensiero, comunque mi ha suggerito queste riflessioni. Grazie, un caro saluto a te e a tuo marito, buon anno.
Eliminanon penso a conflittualità tra le due componenti bensì convivenza della dualità, sperimentazione esperenziale duplice e riflessione sul molteplice esistente in noi.
EliminaGrazie degli auguri.
Anche a Voi auguro che il Nuovo Anno sia propizio, che porti salute e buona volontà che permettono tutto il resto
prendiamo la parabola del seminatore: anche qui si dice chiaramente che la salvezza non è per tutti e solo la buona terra produce frutto. Quando sento leggo questa parabola non penso a varie categorie umane, mi chiedo quale stoffa prevalga in me e non capisco bene e mi metto in una posizione di difesa. E' difficile accettare l'idea che la salvezza sia preclusa ad alcuni quasi per natura. E l'amore di Dio? Non può tutto? ... Sono discorsi che mi confondono non poco.
RispondiEliminaTormento – fatto di inquietudine, dubbio e speranza – di tanti, anche il mio, il nostro. Troppo facile dare per scontata la “salvezza”. Non mi sento di aggiungere altro, solo un passo di E. Bianchi, persona che ci è molto cara: “Ora che sono vecchio, il paradiso o l’esito contrario dell’inferno sono sempre più prossimi: non nascondo una certa paura che mi abita al pensiero della morte, perché credo nel giudizio di Dio sulle mie responsabilità, sul mio operare che è stato buono o cattivo. Spero soprattutto che nessuno vada all’inferno; ma se qualcuno ci va, allora – mi dico – rischio di andarci anch’io, che non mi sento tanto diverso dagli altri nell’acconsentire all’egoismo che mi abita […]. Nella mia fede è solo una cosa: una grande comunione in Gesù Cristo, in cui regnerà l’amore. Sono convinto che chi ho amato qui sulla terra, lo ritroverò anche di là, e così continueranno il nostro amore e la nostra amicizia.
EliminaSe pensassi di andare di là e di non trovare più i miei amici, preferirei allora non andarci! Spero di ritrovare questa terra che tanto ho amato, certamente da Dio trasfigurata, ma ancora questa terra con le sue colline, le sue vigne, i suoi boschi… Sì, vorrei che continuassero le “storie d’amore” vissute qui; anzi, che riprendessero quelle che si sono interrotte e, senza gelosie né concorrenze, potessimo tutti insieme bere alle coppe del vino dell’amore. Per farvi sorridere, cari lettori, vi confesso che ho un’altra paura: di finire sì in paradiso, ma vicino a persone che non mi piacevano, sebbene fratelli o sorelle nella fede e magari anche di rinomata santità. No, questo proprio no! Ma forse, se Dio mi salverà, sarò cambiato tanto da sopportare anche questo. Purché il Signore non mi faccia perdere gli amici, quelli che ho amato bene e quelli che ho amato male: li vorrei con me” (Il fatto quotidiano, 18 maggio 2015).
Grazie per la risposta rasserenante. La profonda semplicità e l'amore di Enzo Bianchi per la vita e per il prossimo sollevano.
EliminaCara Rossana, leggere le vostre suggestive riflessioni è sempre un piacere che arricchisce la mia anima. Grazie. Buon 2017.
RispondiElimina@Mari da solcare. Siamo davvero felici di poterle condividere con lei e di poter leggere sul suo blog interventi sempre arguti, interessanti, profondi. E' stato un bel dono incontrarla attraverso il suo blog. Per chi - tra i nostri amici - volesse leggere il blog "Mari da solcare",
RispondiEliminaQuesto il link.