Il 68 in chiave autobiografica, nel personale ricordo dell'autore del post. Sullo stesso tema sarà pubblicato, nei prossimi giorni, l'intervento di Rosario Grillo.
Post di Gian Maria Zavattaro.
“Questo è un libro a tesi. La
tesi è questa: sul Sessantotto sono state dette un sacco di bugie. E’ esistito
un Sessantotto Minore che tutti hanno snobbato. […] quel Sessantotto Minore
“che non ha mai avuto l’attenzione che ha meritato, e che invece ha
rappresentato nei confronti delle categorie deboli un modo di stare con di
carattere assolutamente innovativo, e ha anche contribuito a bonificare certe
zone equivoche del volontariato.”” (A. M. Fanucci, IO PADRE
SESSANTOTTINO NON PENTITO il sessantotto minore, Cittadella ed.,
Assisi,1999, p.5).
In questi ultimi mesi, in cui i media
di ogni colore e parte ci bombardano continuamente di rievocazioni,
demonizzazioni ed esaltazioni del ‘68, ero incerto se valesse davvero la
pena aggregarci al coro mediatico. Poi l’amico Rosario (che dopo questo post mi seguirà con la sua “memoria del ‘68”)
mi ha convinto ed ho deciso di narrare della mia partecipazione alla
contestazione 68ina e soprattutto fare riferimento ad un libro provocatorio di
p. Fanucci, edito nel 1999 (citato in epigrafe). Ne condivido innanzitutto la
tesi di fondo: le rievocazioni hanno ignorato“il sessantotto minore, contestazione che da subito si
saldò all’impegno radicale con i poveri, più che per loro. “Minore”: quando il
tempo avrà cancellato del tutto i volti inutilmente pensosi dei capocomici del
Sessantotto che si presume maggiore, allora risplenderà il contributo forte e
discreto che nell’associazionismo, nelle grandi battaglie civili, nel
rinnovamento delle più tradizionali tra le scelte di vita, la militanza di
milioni di persone serie ha dato alla storia di questo paese”(1). Pur con
qualche riserva sull’eccessiva ed a volte liquidatoria semplificazione
delle vicende 68ine, condivido le sue riflessioni graffianti, senza sconti
eufemistici per nessuno, in alcuni casi forse ingenerose, controbilanciate e
temperate dal “controcanto” nella postfazione critica di G. Pinna, al quale
rimando in nota (2).
E quale fioritura! Impossibile un
elenco completo od anche solo esauriente. Mi limito a citare in ordine
cronologico Sermig (E. Olivero, 1964), Mani Tese (1964), Enzo Bianchi (8
dicembre 1965 e 1968 Comunità di Bose a Magnano), Gr.Abele (d. Ciotti, 1965)
Capordarco (don Fr. Monterubbianesi, 1966), S. Egidio (A. Riccardi, 1968), Papa
Giovanni XXIII (d. Benzi, 1968), Comunione e Liberazione (don Giussani 1969,
dalla crisi di GS), Taizé (p. R. Schutz, Il Concilio dei Giovani 1970)…, le
tante comunità di base... e ancora l’esperienza dei preti operai (don Luisito,
don Alberto…) e l’azione di testimoni quali Martini Pellegrino Bettazzi (5)
Balducci Turoldo e - aggiungo per me - G. Girardi...
Un cammino che tanti, giovani ed
anziani, proseguono -“tenacemente, puerilmente attaccati al Cristianesimo di
liberazione”(6)- confortati e vivificati da papa Francesco, nonostante gli
ostacoli frapposti, ieri come oggi, da parte di certi strati di sedicenti
cristiani e anche – ahimè - di certa gerarchia ecclesiastica.
🌟Note.
🌟Note.
(2) o.c., Un controcanto,
postfazione di G. Pinna (pp. 179-193) in cui l’autore pone in evidenza
l’anima “maggiore” del 68 e la “pluralità di ispirazioni che non é il caso di
disperdere”: l’internazionalismo – i terzomondismo e la battaglia per i diritti
civili – la controcultura e la critica all’imperante e pervasiva american way
of live – la critica alla società dei consumi e alla tecnica – i lasciti
maggiori del ’68 (l’ambivalente rottura della cultura giovanile, le
diverse anime del movimento studentesco nella scuola di “massa” –
antiideologica ed ideologica – esperienza nuova antiautoritaria entrata nel
gioco politico – la nascita della cosiddetta "nuova sinistra" con
riferimento essenziale ai popoli del Terzo mondo, alle rivoluzioni cubana
algerina vietnamita e culturale cinese, assai diffidente nei confronti del
socialismo reale…). Conclude Pinna:” Perché non pentirsi del ’68? Perché il ‘68
è stato una cometa luminosa che ha permesso a moltissimi di cambiare il modo di
pensare e di vivere la propria vita. Esso fu davvero il tentativo di difendere
la capacità dell’uomo di esercitare un qualche controllo individuale sul
proprio destino, di riaffermare le ragioni dell’autonomia e dell’identità
individuale e sociale. Non pentirsi, anche perché, nei decenni successivi al
68, si radicalizzava la massificazione sociale che privava in misura crescente
gli individui dei margini minimi di identità, si realizzava la resa della
cultura alla tecnocrazia e rimaneva solo qualche rara possibilità, gestita
spesso nel silenzio e nel privato, per i soggetti resistenti alla società
dell’informazione, al sistema di dominio globale e monolitico che cancella la diversità
culturale dei singoli e dei gruppi. […] Forse è proprio la strada ancora da
percorrere questa incompiutezza del 68, che può saldare le sue due anime:
quella “minore” a quella “maggiore”. Ma la saldatura può avvenire solo a patto
che, accanto agli errori, si riconoscano anche i pregi, dell’una e dell’altra
anima”, senza peraltro dimenticare – aggiungo con p. Vanucci - la
sovradimensione politica del terrorismo, “il più tragico di tutti i dopo”
(cfr. pp. 35-60).
(3) Alcuni a Torino si sono giocati una
possibile, forse improbabile, carriera universitaria quando, al diktat di
Pareyson, rivolto a chi aderiva alla protesta studentesca, di lasciare
immediatamente l’Istituto di Filosofia di via Po, su 30 uscirono in tre: A. M.
(il migliore), M. B. (ha insegnato per tutta la vita professionale
nelle zone, prima di trincea poi malfamate, delle Vallette e Barriera Milano) e
un terzo.
(4) Così don Fanucci spiega
il termine:; “Fu l’incrocio dal quale nascemmo noi cattocomunisti. Il
neologismo è di Giorgio Bocca, che se lo sentì fiorire dentro il giorno in cui
la sua dichiarazione dei redditi superò i due miliardi. Entrato nel linguaggio
corrente, il termine indica una specie di giustapposizione pasticciata tra due
posizioni ideali irriducibili l’una all’altra, il Vangelo incollato
a Marx con lo scotch, o (se preferite) Marx fissato con le puntine da disegno
sul frontespizio della Bibbia. Se cattocomunista vuol dire questo, né io né i
miei amici lo siamo stati. […] Ma se cattocomunista vuol dire segnato da una
profonda simpatia
per il PCI, ridimensionata però in radice dal duro preambolo
antimarxista insito nella mia generosa e indefessa fedeltà alla Santa
Chiesa Cattolica Apostolica Romana, io sono stato cattocomunista. E non me ne
vergogno, neanche oggi che non posso esserlo più, per via che il comunismo si è
accartocciato su se stesso come un castello di carta bruciato dal di
dentro” (pp.92-93).
(5) Da leggere le pagine che don Fanucci dedica a mons. Bettazzi, “l’ultimo vescovo cattocomunista”: cfr. pp.95-98.
(5) Da leggere le pagine che don Fanucci dedica a mons. Bettazzi, “l’ultimo vescovo cattocomunista”: cfr. pp.95-98.
(6) o.c., p.161.
nata nel 64. allevata da giovani sessantottini e attorno, adulti sessantottini. le filastrocche gli slogan e le canzoni politiche commedie Dario Fo Franca Rame(se fate click recito a memoria) e le letture...ma sarei stata catocomunista segnata da profonda simpatia per il PCI (di Berlinguer ricordo il suo ultimo comizio a Cag.)....e indefessa fedeltà alla Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana. A quest'ultima, giunta in età adulta. Evangelo e Parola, cammino condiviso, mi hanno riscattata (Is 43,1)e sono vera liberazione. gli articoli sono bellissimi e vibranti. grazie
RispondiEliminaGrazie, gent.le Roberta. Ho conosciuto Dario Fo e Franca Rame una sera, mentre ero di turno con altri all'occupazione di palazzo Campana. Vennero a portare la loro solidarietà al movimento studentesco.
EliminaGrazie dei ricordi e della testimonianza personale. Buona domenica.
Protagonista il nostro Gian Maria ( e quanto avrei voluto conoscerlo allora !) nel solco del migliore ‘68 : quello della” Resistenza alla massificazione “ che comporta, come ci risulta chiaro oggi, violenza e sopraffazione a carico dei deboli.
RispondiEliminaCaro Rosario, anche a me sarebbe piaciuto. Ma va bene, anzi benissimo, camminare oggi insieme annunciando - la Resistenza alla massificazione - e denunciando, per quanto ci è possibile, "violenza e sopraffazione a carico dei deboli". Un abbraccio.
RispondiEliminaGian Maria, ciao buongiorno qui mi trovi? lo spero. ho sentito parte di un articolo su Marx tratto da Internazionale, letto a Pagina3 Radio3. ti ho pensato ho riacceso il pc per dirti questo...magari hai sentito anche tu o, se vuoi, puoi riascoltare dal sito. io, l'avrai capito, sono imbranata di link o cose del genere per poterti guidare.. ciao buona giornata
RispondiEliminaaspetta aspetta Gian Maria,
RispondiEliminai miei, sì, partivano per sentire Dario Fo Franca Rame. tornavano con LP Monologo di una ruffiana la dc cilena. "Mamma Togni mamma Togni i fascisti son giù in piazza Beccaria vogliono parlare in piazza... signora, lei il colpo di bastone sulla canna del microfono del senatore (?) l'ha dato così, per sbaglio,no?! no no, non l'ho dato per sbaglio l'ho dato giusto, mi, mirando di volontà....perché noi comunisti parliamo a tutte le ore e non siamo briganti e non abbiamo bisogno di gendarmi....avete capito?!....
Gent.le Roberta, ho seguito e sentito radio tre (la seguo tutti i giorni, se non ho impegni di servizio).Una delle proteste che a Torino noi iscritti a Filosofia portammo avanti fu quella di far riconoscere Marx (in specie il giovane Marx) come filosofo (in particolare i Manoscritti, a mio avviso una possente opera filosofica,nel clima della sinistra hegeliana e del suo superamento) fino ad allora messo al bando dall’olimpo universitario. Riuscimmo a spuntarla, portammo i Manoscritti all’esame (se ben ricordo Filosofia Morale), ma non una domanda su Marx… Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti… Io lo feci senza naturalmente né essere o professami marxista (o marxiano), ma semplicemente - sull’esempio del mio “maestro” Girardi (v. Marxismo e Cristianesimo) e di Mounier (che critica senza mezzi termini il marxismo , ma dialoga senza riserve, riconoscendo che il comunismo “portava la speranza dei poveri”), desideroso di dialogare, anzi bisognoso di scrollarmi da ogni pregiudiziale acritica, faziosa e, peggio, bigotta.
EliminaAnch'io nel mio piccolo penso di aver attraversato e vissuto quel '68 minore, condividendolo fortunatamente con dei compagni di strada coerenti, coraggiosi e, per questo, indimenticabili. Tu ricordi e ci riporti a tanti grandi maestri...Tra questi io vorrei aggiungere anche te, che, come in una staffetta, hai saputo prenderne il testimone.
RispondiElimina Caro Dino, io ti rammento come battistrada ed esempio a tutti. Forse allora eravamo tutti allo stesso tempo alunni ed insegnanti e già si sperimentava a nostro modo che insegnare è imparare e viceversa. Giorni indimenticati ed indimenticabili quelli a Cluny e Taizè (di cui conservo qualche foto…). Un abbraccio.
EliminaGrazie, Gian! Non solo un bel ricordo ma un invito a continuare. Grazie!
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