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lunedì 31 agosto 2020

Divertissement, fuga dai problemi.

Risvegliare e risvegliarci per un nuovo inizio post coronavirus.
Post di Gian Maria Zavattaro
Immagini delle illustrazioni di Ale Giorgini (qui il sito instagram

Ale Giorgini, #danza #dolcevita
B. Pascal: “Gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, la miseria, l’ignoranza, hanno risolto, per essere felici, di non pensarci”(Pensieri, a cura di P. Serini, Einaudi, To,1967, 348 pag. 150).
S.Weil: “La capacità di  prestare attenzione  a uno sventurato è cosa rarissima, difficilissima; è quasi un miracolo, è un miracolo. Soltanto chi è capace di attenzione è capace di questo sguardo.  E’ quindi vero, sebbene paradossale, che una versione latina, un problema di geometria, anche se sbagliati, purché si sia dedicato ad essi lo sforzo adeguato, possono in un giorno lontano renderci meglio capaci di portare a uno sventurato l’aiuto che può salvarlo nell’istante dell’estremo sconforto. Per un giovane capace di cogliere questa verità e abbastanza generoso per desiderare questo frutto più di ogni altro, gli studi saranno pienamente efficaci  dal punto di vista spirituale, anche al di fuori di ogni credenza religiosa. Gli studi scolastici sono come il campo che racchiude una perla: per averla, vale la pena di vendere tutti i propri beni, nessuno eccettuato, al fine di poter acquistare quel campo.” (Riflessioni sull’utilità degli studi scolastici al fine dell’amore di Dio, in  Attesa di Dio,  Rusconi, Mi,1991, pp.83-84).

Nel dilagare del covit a ferragosto l’Italia pare aver rimosso immagini e storie del primo semestre del 2020: mortali solitudini di tanti anziani, file di camion che trasportavano anonime bare, volti sguardi pianti disperati dei familiari, calvario degli intubati, costellazioni di persone e di famiglie costrette alla quarantena, speranze e progetti stroncati, donne e uomini (medici infermieri operatori sociosanitari volontari…) sfiniti ma capaci dell’ultima carezza al paziente sconosciuto, solo nel suo morire separato.
Ale Giorgini, Quarantena, la lettura
Non so che cosa resti di tutto ciò nella memoria di chi si è abbandonato all’ottundimento delle discoteche, divenute prelibati festini del covit, ed all’incauto sovraffollamento balneare e montano. Pur costretti a scoprire la nostra fragilità e precarietà, non so quanto sia mutata la percezione del nostro vivere: tutti sospesi nell’incertezza sul futuro sfuggito al nostro controllo (si aprirà la scuola o si chiuderà subito? Quanto perdurerà la pandemia? Ci sarà lavoro per tutti? Quando finirà lo strangolamento delle nostre individuali libertà?); perplessi di fronte alla lacerazione della nostra vita comune ed all’esasperante scissione delle nostre relazioni (obbligo della mascherina, distanza di 1 metro); tentati dalla “cultura dello scarto e del menefreghismo” a misconoscere gli altri, i “diversi” ed i migranti, ed a rifiutare ogni corresponsabilità ed ancor più le alternative consigliate dal buon senso.
Ferragosto come divertissement (“distrazione diversione divertimento”), stordimento che rende insensibili alle questioni fondamentali della nostra esistenza in questo tempo ferito. Devastante egocentrico masochismo corale, forse inconsapevole certo colpevole, bisogno compulsivo di negare l’evidenza del covit (esiste poi?) e di rifiutare il disagio sociale in esso annidato, insieme invocazione disperante celata nel gregale meccanismo di formazione reattiva, quasi esorcizzazione tanatofobica, a conferma del pensiero 348 di Pascal.
Ale Giorgini, #estate
Sicuramente altri fattori completano la spiegazione del sincronico ricorso alla movida su scala non solo nazionale: ludica protesta legata alla globalizzazione, alla facilità di spostamenti, all’incapacità di rinviare realisticamente il sacrosanto principio del piacere a tempi migliori, al fattore mimetico, a sollecitazioni sociopsicologiche variamente diffuse dai social e, non ultima, alla sfiducia indotta nei riguardi delle limitazioni sociali imposte, che il narcisismo solipsista, dai mestatori esasperato, equipara a violenza coercitiva dubbiosamente legittima.  
Così assistiamo esterrefatti all’assurda contraddizione, frutto del grave squilibrio economico mondiale, di una duplice diffusione del covit: da una parte la pandemia tragicamente galoppante in tutti i paesi indifesi perché “poveri”, carenti o mancanti di strutture e strumenti di protezione individuale e collettiva; dall’altra nei paesi tecnologicamente ed economicamente progrediti l’esplosione ferragostana del covit, già controllato con fatica, sconsideratamente disseminato in miriadi di focolai dalla sollazzevole incoscienza di greggi - non solo i giovani - decisi a sacrificare gli altri ed il buon senso sull’altare della “cultura del qui-e-subito e della fretta”.
Ale Giorgini, #vino
In questo quadro l’andamento del covit ferragostano acquista un rilievo  che va al di là delle intemperanze gaudenti e spensierate del divertissement:
- fa emergere il problema profondo ed irrisolto di chi vive rifiutando qualsiasi responsabilità;
- fa emergere ciò che si nasconde dietro il rifiuto delle misure considerate repressive: conformismo gregario contrabbandato come anticonformismo (in realtà massificazione sociale e deprivazione della propria identità) indotto dai professionisti della persuasione occulta e della  menzognera seduzione abboccante;
- fa emergere la dilagante povertà culturale trasversale a tutte le generazioni, sballottate nella marea della società liquida e del consumo (1). 
Vera e propria emergenza educativa che riguarda tutte le generazioni:  problema di ogni tempo, ma soprattutto di questo momento con la sua specifica assenza di educazione alla cittadinanza. La quale si dovrebbe costruire a scuola.
Ben prima del covit e della retorica di tanti  affabulatori dell’ultima ora P. Dominici, professore all’Università di Perugia, parlava di grave ritardo culturale: “non bastano “cittadini connessi”, servono cittadini criticamente formati e informati, educati al pensiero critico ed alla complessità, educati alla cittadinanza e non alla sudditanza. […]
Ale Giorgini, #Dante
Occorre agire e intervenire, con una certa urgenza. E istruzione ed educazione devono preoccuparsi di formare Persone e Cittadini in grado di sfruttare le opportunità determinate dall’innovazione tecnologica ma anche, e soprattutto, di contribuire ad un cambiamento sociale e culturale che non può non fare i conti con la famosa “questione culturale” e l’assenza di un’etica pubblica condivisa” (2).
Riuscirà la scuola, intrappolata in mille incombenze covit, ad assolvere questo compito impossibile alla didattica a distanza od integrata, ma solo in presenza e nell’intensità delle lezioni di qualsiasi disciplina?  Aprire intelligenza e cuore alle conoscenze e competenze, alle relazioni interpersonali, agli incontri tra culture diverse; trasmettere non solo il “pensiero convergente” ma promuovere il “pensiero divergente; educare alla corresponsabilità e non al conformismo gregario; lievitare con l’I Care dei docenti la speranza in una umanità meno sofferente e più solidale; promuovere la vera giovinezza, incarnata nel mondo, che non evade e riconosce la vocazione di ognuno di noi (l'attenzione!) a “portare a uno sventurato l’aiuto che può salvarlo nell’istante dell’estremo sconforto”. (3)
E’ la sfida che l’incosciente dilagare del covit pone ad ognuno di noi: riorganizzare la speranza, ricercare insieme il senso comunitario, scegliere ciascuno la  conversione (e non la diversione!), risvegliarci e risvegliare per un nuovo inizio, camminare insieme e “insieme arrivare alla verità”.  

Note.
Ale Giorgini, #nutrice
1. A suo tempo  Bauman ci aveva messo in  guardia dalla “cultura dell’adesso e della fretta” che mette in crisi anche le dimensioni costitutive più intime della personalità e del comportamento, come le aspirazioni e le potenzialità di costruirsi persone, cioè soggetti capaci di pensare, di aderire a principi e obiettivi di autoregolazione e soddisfazione, di instaurare relazioni interpersonali gratificanti e portatrici di un equilibrio emotivo non effimero. Un perenne e trafelato presente in cui tutto è affidato all’esperienza del momento sembra ormai la condizione umana generalizzata nella società postmoderna e globalizzata, che egli preferiva definire liquida, con una suggestiva connotazione metaforica che in opere successive riferirà  alla vita, alla paura, all’amore.   Viene facile vedervi più o meno riflessi aspetti della vita di persone e gruppi sociali che si lasciano trascinare da una sorta di coazione consumistica che sospinge verso un ruolo ineluttabile di consumatori (vacanze estive comprese), mettendo in crisi la possibilità di esercitare spazi ragionevoli di autonomia, di decisione soggettiva, di rapporti umani significativi e di interessarsi a problemi comuni e collettivi. Un conformismo di massa che ha gravi conseguenze rapportate alla libera manifestazione della  persona. Ci si conforma in tutto, nei pensieri e nelle azioni, negli interessi e nei gusti, nel comportamento e nel linguaggio, nella vita domestica e in quella pubblica, nei bisogni e nelle aspirazioni. Non ci si accorge di aver perso ogni possibilità di essere veri, autentici, senza personalità, senza  voce propria, distinta dal contesto, il quale tuttavia non è unico, non è sempre e dovunque uguale ma distinto, frazionato in un’infinita serie di gruppi e fasce della popolazione: quella dei bambini, dei giovani, degli adulti, degli anziani ed ognuna mostra come anche in questo tempo di covit  si obbedisca oggi a quanto giunge dall’esterno, dalle mode e dai media: visione desolata di un’umanità attuale divisa in tante sezioni, in tanti comportamenti, in tanti linguaggi, tutti imposti dalle circostanze e tutti accolti passivamente.
2. Si legga il lucido articolo del prof. P. Dominici “I rischi di un’innovazione tecnologica senza cultura e l’illusione di una relazione meno asimmetrica con il potere” 27.03.17 blog “fuori dal prisma-Il sole 24 ore”.
3. Nulla a che fare ovviamente con la giovinezza contrabbandata dai media con il nome di successo, consumo, conformismo, evasione dal pensare, oblio della povertà, rimozione della morte, emarginazione della vecchiaia. Scriveva Mounier: “Io non difendo qui la nostra giovinezza, non quella determinata dall’età della carne, ma quella che trionfa sulla morte delle abitudini ed alla quale accade che si pervenga se non lentamente con  gli anni. E’ questa che fa il pregio dell’altra giovinezza, che  ne giustifica, di quando in quando, la sua irruzione un po’ violenta nei ranghi calmi degli adulti. Se a quest’età l’uomo che nasce non nega con tutte le sue forze, non s’indigna con tutte le sue forze, se si preoccupa  di note critiche e un po’ troppo di armonie intellettuali prima di aver sofferto il mondo in se stesso, fino al grido, allora è un povero essere, un’anima bella che già odora di morte” (cfr. Rivoluzione personalista e comunitaria, Mi, ed. Comunità).

16 commenti:

  1. Davvero un articolo pregevole che sottoscrivo in ogni sua parte. Grazie per averlo scritto.

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    1. Grazie a Lei, gent.le Valeria, sempre generosa nei riguardi del nostro blog.

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  2. Grazie, una riflessione che condivido pienamente. Un pensiero forte, per iniziare il nuovo anno scolastico. Condivido in rete.

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    1. Faccio nostro il suo auspicio per un anno scolastico nuovo, rinnovato.

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  3. Grazie Gian Maria di questo intervento fondamentale, lucido, veritiero.

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    1. Gent.le e cara Laura, questo giudizio ci è particolarmente gradito, nella speranza che il messaggio del post non si riduca ad essere solo voce che grida nel deserto, ma possa, senza clamore, umilmente, essere almeno un po’ virale…

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  4. Alla fine la febbre vacanziera è esplosa più forte dell'epidemia, all'insegna dell'irresponsabilità, del " non me passa manco pe la capa", cioè non ci voglio proprio pensare, me la voglio godere tutta, rinforzata da quelli che " è tutta una montatura", " la mascherina limita la libertà", oppure a sproposito " si muore più di cancro, di infarto o di fame nel terzo mondo"..di cui prima non si sono mai occupati...
    Vorrei dar ragione a Simone Veil ma avendo 74 anni, conosco tanti anziani che pur essendosi concentrati a suo tempo su versioni di latino e problemi di algebra, oggi non prestano alcuna attenzione al povero, all'immigrato, anzi ne sono infastidi e semmai strizzano l'occhio a chi vorrebbe
    "prima gli italiani", perché "non è giusto che pretendano la roba nostra" e simili amenità. Non saprei dire qual è il segreto che fa distinguere e optare per un "I care" piuttosto che per un
    " me ne frego"; vedo però che quelli che scambiano per libertà " fare quello che mi pare alla faccia degli altri" sono moltissimi.

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    1. Ha ragione: non basta lo studio asettico del latino o della geometria se il contesto che lo connota non è l’I Care, ovvero l’attenzione di cui parla S. Weil: … E questo dovrebbe essere il respiro, il clima educante di ogni scuola , “al di là di ogni credenza religiosa”, chiamata a rendere libero nelle scelte ogni alunno e nel contempo a testimoniare “la perla” dell’attenzione verso il prossimo sofferente. Grazie.

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  5. Non siamo Cassandra! La tua vibrante esortazione al senso morale, alla cifra della cittadinanza, al “ segno spirituale “ ( riassunto con le parole di Pascal e della Weil), la riuscita sinergia tra iconografia e parole mettono alla gogna la superficialità del “ gregge” che, dietro alla scusa dello spirito vacanziero, ha voluto sfidare la pandemia, lo stato di salute della comunità, inneggiando al “ menefreghismo “. Si potrebbero richiamare le omelie del Papa, mettere in evidenza “ l’indifferenza “ ee “ l’economia dello scarto “... su tutto aleggia l’irresponsabilità. Educazione, cultura, meditazione, prossimità aiutano ad uscirne. Una grande lezione morale, Gian Maria!💫💫💫

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  6. Caro Rosario, leggo nelle tue espressioni il tuo preciso impegno e quanto insieme a Rossana in ogni post tentiamo di testimoniare con gioiosa libertà di parola e sofferta speranza. Grazie.

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  7. Grazie davvero di tutto cuore per questa riflessione, Gian Maria, che condivido appieno e che sino ad ora è mancata, forse per incuria e impotenza, o forse per timore.

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    1. Temo, gentile Patrizia, che sia prevalente il timore di compromettersi in posizioni scomode e impopolari. Tanto più, quindi, la ringrazio per la sua condivisione. Resta il problema drammatico del compito della scuola, in questo momento affannata in mille altre questioni contingenti (si spera contingenti).

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    2. Gian Maria proprio questo temo sia il punto dolente della questione. Se non si concrescono, genitori e istituzioni, persone consapevoli e informate, capaci di sostenere le difficoltà temporanee in vista di un bene comune, quale la salute, e in attesa del superamento di una gravissima calamità, allora la speranza fatica a farsi strada. Ecco perché ho percepito le parole di Simone Weil come profetiche e da tenere come preziose per tutti noi.

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  8. Trovo questa riflessione molto attenta e dettagliata. Grazie, è davvero toccante.

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  9. Grazie a lei per il commento che esprime una forte sensibilità sociale che ci auguriamo possa coinvolgere il maggior numero di persone.

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  10. Riflessioni magistrali, che sottoscrivo integralmente. Grazie. E ... speriamo bene, essendo la speranza virtù teologale. Saluti cordiali.

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