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domenica 6 settembre 2020

Ritorno della scuola. Sarebbe stato diverso.

Che cosa si chiede oggi ad un insegnante e alla scuola.
Post di Rossana Rolando
Immagini di Andrea Ucini (qui il sito).


“Io amai in lei qualcosa di più che il professore”
(Lettera di Cesare Pavese ad Augusto Monti, agosto 1926)¹.

Andrea Ucini
Sarebbe stato diverso parlare di ritorno della scuola anziché di semplice ritorno a scuola. La preposizione “della” avrebbe cambiato tutto il significato: non soltanto ritorno “a” scuola in presenza – che è una delle condizioni per poter davvero in-segnare, nel senso di imprimere segni – ma ritorno “della” scuola al centro dell’agenda politica e sociale, in quanto obiettivo prioritario per la costruzione del futuro di ciascuno e di tutti.
Non è così nella prospettiva politica, ma soprattutto - mi sembra di capire - nel sentire di molta parte della società.

✴️ Negli ultimi giorni di agosto si è scatenata, su twitter (e non solo), un’ondata d’odio nei confronti degli insegnanti descritti come nullafacenti: «solo cinque ore al giorno, gite gratis, 7 mesi di “lavoro”, 3 mesi di vacanza estiva, in ferie da febbraio 2020, con lo scoppio della pandemia e lo stipendio garantito…». Sono solo alcune delle invettive rimbalzate in rete.
Andrea Ucini
Non ho intenzione di confutare la falsità di queste affermazioni, molto lontane dalla realtà della maggior parte degli insegnanti, frutto di luoghi comuni estranei al mondo della didattica odierna, tanto più in questo difficile periodo inaugurato dal coronavirus con la scuola a distanza. Non è su questo tipo di accuse che vorrei soffermare l’attenzione. Piuttosto mi concentrerei sull’idea di insegnante e di scuola che si cela dietro queste dichiarazioni e che coinvolge anche chi non si esprime in questo modo: tutta quella parte di società che vuole docenti sempre in aula, sempre coinvolti in attività con gli studenti, intrattenitori cui è affidato il ruolo di sostegno alle famiglie, funzionari di un sistema economico, fondato sul successo che la scuola deve sempre garantire ecc… Questo si vuole dalla scuola, questo si chiede agli insegnanti.

Andrea Ucini
✴️ E la richiesta nasconde e rivela ad un tempo la convinzione di fondo, quella che non crede affatto nel ruolo autonomo della cultura (indipendente dall’economia e dal futuro professionale), per nulla convinta che la formazione della mente possa salvare le persone e, con esse, l’intera società, dalla disumanità, dalla semplificazione, dalla barbarie, dall’inconsapevolezza, dalla manipolazione. “La letteratura è una difesa contro le offese della vita”, diceva Cesare Pavese, ne Il mestiere di vivere.² Ma si potrebbe aggiungere - alla letteratura - anche l’arte, la filosofia, la poesia, la matematica, la scienza…

Andrea Ucini
✴️ Il diffuso disprezzo per la cultura e lo studio, che molti giovani - specie i più fragili e influenzabili - respirano e fanno proprio, è cosa che appartiene al nostro tempo così come a tempi passati. Basti ricordare quanto affermava Dostoevskij nel suo Diario di uno scrittore e applicarlo all’oggi: 
“…la incomprensione di un certo genere di cose si riteneva prima una vergogna perché testimoniava direttamente della ottusità del soggetto, della sua ignoranza, dell’insufficiente sviluppo della sua mente e del suo cuore, della debolezza delle sue capacità intellettuali. Adesso invece la frase: “Io non lo capisco”, viene pronunziata quasi con superbia, per lo meno con solennità. Come se uno con questa frase salisse subito sopra un piedistallo agli occhi degli ascoltatori e, quel che è più comico, anche ai propri occhi, senza vergognarsi.  Adesso le parole: “Io non capisco nulla di Raffaello”, oppure “Ho letto a bella posta tutto Shakespeare e confesso di non avervi trovato niente di speciale”, queste parole adesso possono essere prese non soltanto come segno di una mente profonda, ma perfino come qualche cosa di lodevole, quasi come un’azione morale. La superbia degli ignoranti è divenuta davvero smisurata.”³

Andrea Ucini
✴️ Diciamolo: se si fosse convinti del ruolo centrale dello studio per la vita delle persone (e non semplicemente per il lavoro che faranno o per il ruolo sociale che assumeranno) si pretenderebbe qualcos’altro dagli insegnanti e dalla scuola.
Ad un docente si chiederebbe di essere un presidio di cultura, si domanderebbe una preparazione fatta di continui aggiornamenti personali (letture, studio, elaborazione), ben al di là del sapere acquisito con la laurea. Da lui si dovrebbe esigere la capacità di trasmettere la passione per il sapere, la tensione verso la conoscenza, credibile perché coltivata ogni giorno; da lui si dovrebbero reclamare lezioni preparate con cura, nei pomeriggi che precedono le lezioni mattutine e non percorsi improvvisati al momento (spesso per le troppe altre mansioni da svolgere) …
Andrea Ucini
In altre parole: ad un docente si dovrebbe chiedere di saper tenere quell’ora di lezione che “può cambiare una vita”, si dovrebbero affidare i propri figli perché crescano culturalmente e umanamente, per essere i cittadini del domani…
Per questo un insegnante che fosse totalmente assorbito da impegni scolastici, spesso distanti dalla didattica in senso stretto (adempimenti burocratici, progetti di ogni genere, gestione alternanza scuola lavoro, attività di orientamento e molto altro… mi riferisco, in particolare, alla scuola secondaria di secondo grado) non sarebbe auspicabile, perché finirebbe per essere del tutto svuotato, alla stregua di un inutile ripetitore di formule, incapace di rinnovamento e di fascinazione culturale. Allora si capirebbe che la fiamma del sapere accende se si tiene accesa, perciò si valorizzerebbero i tempi di sospensione della didattica, quelli in cui un insegnante può dare nuova energia al proprio impegno scolastico, continuando ad imparare, approfondendo, leggendo, scrivendo.

Andrea Ucini
✴️ Se questo si chiedesse ad un insegnante e alla scuola il coronavirus non sarebbe passato invano, anche dal punto di vista delle politiche scolastiche e dell’investimento economico ad esse correlato. Rappresenterebbe piuttosto l’occasione per rimettere la scuola al centro, tirandola fuori dall’angolo in cui è stata relegata da anni: significherebbe dare alla scuola gli spazi che non ci sono mai stati, vorrebbe dire assumere il personale necessario per una didattica di qualità, al fine di rendere compatibile il numero degli studenti con l’insegnamento - e oggi con il distanziamento - e con la crescita individuale di ciascun alunno.

✴️ Ma non è questo che si chiede oggi ad un insegnante e alla scuola.

Note. 
1. Cesare Pavese, Vita attraverso le lettere, Einaudi, Torino 1996, p. 9.
2. Cesare Pavese, Il mestiere di vivere, Einaudi, Torino 2014, p. 135.
3. Il brano è stato recentemente (29 agosto 2020) ripreso nella rubrica "Piccola posta", curata da Adriano Sofri, ne Il foglio (vedi qui).
4. Massimo Recalcati, L'ora di lezione, Einaudi, Torino 2014, p. 98.

6 commenti:

  1. Non posso che essere d'accordo con la tua analisi ampia e puntuale, cara Rossana. Certo: più importante è il ritorno DELLA scuola!
    Mi permetto di aggiungere solo una piccola cosa.
    La scuola di questi ultimi anni...forse anche decenni, si è focalizzata su saperi e competenze immediatamente spendibili in rapporto agli interessi economici della società. Non dico che ciò sia sbagliato, ma l'errore di fondo è stato - in nome di questo - trascurare e ritenere inutile ciò che concorre invece alla FORMAZIONE di una persona, lavoro molto più lento e che talora non dà immediato riscontro. Parlo dell'educazione al bello attraverso l'arte, la poesia, al rigore del ragionamento attraverso la filosofia, la matematica, il LATINO!!!! La conoscenza delle nostre radici con la storia, la lingua greca! E potrei continuare.
    Certo, sono discipline che si studiano ancora e non mancano fior di insegnanti lodevolmente impegnati su questo fronte e capaci di "fascinazione culturale"...ma occorrerebbe anche una politica, uno sguardo dall'alto che puntasse ai valori e non solo ad assecondare la mentalità comune e ad approfondire il baratro in cui la scuola oggi sta finendo.
    Grazie!!!

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    1. Annamaria cara, hai colto perfettamente il punto. C'è un bel libro di Nuccio Ordine, che forse conosci, dal titolo "L'utilità dell'inutile" (Bompiani), proprio centrato su questo, con riferimento anche alle politiche miopi che tagliano le risorse finanziarie a scuola e università: "Proprio quando la crisi attanaglia una nazione è necessario raddoppiare i fondi destinati ai saperi e all'educazione dei giovani, per evitare che la società precipiti nel baratro dell'ignoranza" (p. 121).
      Il fatto che oggi la scuola non abbia spazi adeguati alle necessità del distanziamento rispecchia, in termini fisici,l'assenza di uno spazio progettuale sulla scuola e sui giovani, con il trionfo di una logica tesa a risparmiare sull'inutile (nel doppio significato di ciò che non dà profitto e di ciò che non porta voti e non crea immediato consenso...).
      Grazie a te.

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  2. La supponenza non ti appartiene, come non appartiene ai veri educatori. Con garbo, circondata dalla fantasia immaginativa delle icone, anche con piglio: nel graffio di quella modifica basilare ( della, invece di a ), cara Rossana, metti a fuoco il ruolo universale della scuola: sede istituzionale della cultura. Cultura in itinere , perché sentiero ininterrotto di intuizioni, fascinazioni, bisogno di emancipazione, dialogo e diffusione di idee: fucina,come ben hai detto. Lo sviamento, per effetto di modelli che non ci appartengono, ha dato il destro a politiche fondate su principi di “ ragioneria del risparmio “ ed è andata incontro ad umori “ populistici “ di famiglie illuse. Se la fermata ha avuto un senso, la riflessione per il recupero dello “spirito della comunità educante “ dovrebbe prevalere. Anche chi ha lasciato la scuola per motivi di età si accoda. Grazie 😊

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  3. Bellissima la definizione di "cultura in itinere", intesa come "sentiero ininterrotto di intuizioni, fascinazioni, bisogno di emancipazione, dialogo e diffusione di idee", una cultura che la scuola dovrebbe custodire. In particolare sottolineo il "bisogno di emancipazione" (dall'ignoranza, dall'odio, dalla violenza, dalla strumentalizzazione, dalla demagogia...) che mi pare particolarmente urgente oggi e che segna il carattere spirituale e morale della crisi che attraversiamo.
    Un caro saluto.

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  4. Sottoscrivo le tue riflessioni, tra le cui righe avverto la sofferenza di una docente seria, competente e appassionata. Forza! Il tuo/nostro mestiere - sebbene incompreso, sottovalutato o addirittura vituperato - può cambiare in meglio il mondo. Un abbraccio affettuoso.

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  5. Grazie,cara Maria. So che le tue sono parole vere, vissute in profondità nella tua esperienza di insegnante per scelta e vocazione. Ti sentirò vicina in questo anno sicuramente complicato, che mi auguro comunque significativo per la mia scuola e per tutte le scuole, "per cambiare in meglio il mondo". Un abbraccio affettuoso a te.

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