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venerdì 6 luglio 2018

Il pastore innamorato. David Maria Turoldo.

Le riflessioni di Padre Turoldo sulle parabole della misericordia.
Post di Rosario Grillo

Davide Maria Turoldo, 
Il pastore innamorato
L’immagine del pastore domina la lunga riflessione di padre Turoldo e si concretizza nel titolo dell’opera  da lui scritta (1).
Il titolo recita: Il pastore innamorato, dove l’aggettivo si salda perfettamente al sostantivo, qualificandone l’essenza.
Pastore di anime, ma non solo… Perché l’intento è di dimostrare la relazione tra cielo e terra e di leggere la verità dell’incarnazione.
Per questo si comincia dalla parabola del “figliol prodigo” dopo aver evidenziato il valore del silenzio racchiudendolo nel deus absconditus, comprovandolo con il lungo silenzio del Bambin Gesù durante la sua crescita, finché non ebbe inizio la sua vita pubblica.
Da quel momento Gesù parla, (insegna) attraverso la Parola, messa prevalentemente in Parabola, e attraverso gli atti di carità.
Chiosa padre Turoldo: “è proprio della parabola essere una allegoria di cose vere, un racconto simbolico. E anzi, proprio della parabola è il raffigurare una storia che non finisce mai, una storia che rimane sempre contemporanea” (p. 78).
Viene rielaborata così una dottrina che ebbe rilievo in Platone, quando il filosofo greco affrontò il problema del “come scrivere” l’universale, il Bene, e si servì del mito. Nello stesso tempo si dà una versione dei nodi problematici: l’attendibilità dei Vangeli scritti dagli evangelisti; composizione del conflitto tra l’eterno e la storia contingente.
Il buon pastore, 
Mausoleo di Galla Placidia, mosaico V secolo, Ravenna
Il pastore, dunque: “quest’uomo della solitudine e del silenzio, un uomo che veglia giorno e notte per difendersi da mercenari ladri, per amore dei suoi agnelli” (p.59).
Il pastore conosce uno per uno gli agnelli del suo gregge e naturalmente - regola d’amore - va alla ricerca della pecorella smarrita. Così nella parabola il Padre attende in ansia il ritorno del figliol prodigo e vistolo arrivare, gli va incontro a braccia aperte tra l’invidia del fratello maggiore e la sorpresa dei servitori.
È la messa a punto dell’identikit del cristianesimo: non siamo noi ad amare Dio, è Dio che ama gli uomini, uno per uno.  “Per Dio non esiste la massa, la quantità, per Dio esistiamo uno ad uno, ed è l’uno che conta infinitamente” (p.62).
Ecco l’inconfondibile istanza del cristianesimo, che nello stesso tempo in cui costruisce l’unità dei fedeli, comunità, custodisce la “perla” della singolarità (2).
La cifra di questo universo non è l’interesse e il diritto di proprietà, è invece l’amore come dono.
Il buon pastore, Mausoleo di Galla Placidia, 
mosaico V secolo, Ravenna, particolare
Il singolo, dotato di libertà, che rifiuta  l’amore di Dio, segugio invece di amori terreni, ovvero beni materiali e ricchezze, è simboleggiato dal ricco epulone, circondato di beni che non sa distribuire, che non ama condividere. Disattento davanti ai tanti Lazzaro, che popolano l’uscio del suo palazzo, sfamati dalle briciole e dagli scarti.
Nessuna comprensione per la figura dell’epulone! Cala la disapprovazione per il maneggio dei beni e si richiama la radice economica del bene comune, mentre si rinvia al filo ininterrotto che va dei padri della Chiesa alla più recente dottrina sociale della Chiesa.
Il primato dell’amore contraddistingue ed agita il cammino della fede, che, come dice San Paolo, è dovizie di opere di carità.
Padre Turoldo insiste, esigente, a circoscrivere la societas degli uomini pii deducendone la statura dell’umanità.
“L’umanità non è un fatto avvenuto una volta per sempre, è un evento, un farsi sempre umanità; un realizzarsi sempre: un continuo rivelare Dio al mondo” (p. 107).
A questa stregua si affronta la domanda cruciale: chi è il mio prossimo, guidati dal comandamento principe: “Amate Dio come io vi ho amato”; “Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra”.
Il buon pastore, 
mosaico IV secolo, Aquileia
La parabola del buon samaritano è rivelatrice di tutto ciò. Scendendo nella analisi (esegesi), istantanea per istantanea, emerge l’ipocrisia e il conformismo del prete, che passa oltre (Chiesa chiusa in un profilo istituzionale e dogmatico); del levita, che osserva soltanto.
La figura del levita rappresenta il sistema, cristallizzato su leggi di principio, frenato da equilibri di potere, appesantito da modalità pedanti e perbeniste. Turoldo frusta questa società codificata, alzando il livello oltre l’hic et nunc, prefigurando così le finzioni delle autorità civili odierne davanti ai poveri dell’immigrazione, preoccupate del decoro sociale.
Il buon samaritano è fuori di tale circuito: è mosso da pietà, si china sul malcapitato, presta le sue cure, lo conduce alla pensione per la cura delle ferite, si espone finanziariamente.
Gesù immette nella parabola così lo scardinamento di regole consunte, di una morale “vuota e cieca”, offre il destro alle autorità del sinedrio di accusarlo, vista la diversità del levita, abituale nemico di Israele.
Il buon pastore, 
dall'abito singolare, mosaico, Aquileia,
fotografia di Gianluca Baronchelli

Si riassume qui, con un tocco di novità scandalosa, la pratica dell’ospitalità, già presente nel vecchio testamento, sostanziata ed arricchita dall’amore divino, exemplum di amore filiale e fraterno.

Note.
1.Il libro è una raccolta di diversi brevi articoli che egli pubblicò tra il 1987 e il 1989.
2.Si potrebbe dire individualità, se la parola non fosse consunta dopo l'appropriazione da parte del liberalismo borghese.

9 commenti:

  1. Mi pare il tuo post, caro Rosario, bello e buono (“kalòs”) come il Pastore innamorato e misericordioso che descrivi tramite p. Turoldo. Solo praticando il senso delle parabole che riproponi nel tuo commento, a cominciare da ognuno di noi, solo dando ascolto al grido dei tanti Lazzaro di oggi (“uno per uno”), solo guardando con intelligenza (intus-legere) la parabola del buon samaritano e del figliol prodigo, si può avere il coraggio di denunciare in noi stessi e nei nostri sinedri l’ipocrisia di “regole consunte” e il conformismo dominato dalla preoccupazione “del decoro sociale”, esporsi nel vivere quotidiano alla pratica dell’ospitalità e così avvicinarsi a comprendere “la verità dell’incarnazione”.

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    1. Ho un intenso ricordo di padre Turoldo. In lui vedevo la tempra combattente del friulano. In lui la fede vissuta era provocazione continua per svelare le ipocrisie, per esigere Verità e Testimonianza.
      Mi è piaciuto poggiare queste caratteristiche su una paziente esegesi, tessuta di varie parabole e confermante la purezza dell’Amore che “ muove da Dio” e che è la vera Speranza, la Salvezza. Grazie ! 🙏🎻

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  2. Grazie per quest'intenso riferimento. Buona settimana.

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  3. GRAZIE. VERO, MEGLIO -SINGOLARITà-

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