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sabato 15 ottobre 2022

Salvare la scuola.

E’ la sua intensità imprevedibile che fa della scuola un avvenimento vivo e un’ora di lezione può valere una vita, come ci ricorda Recalcati.
Post di Gian Maria Zavattaro.
Illustrazioni di Monica Barengo (qui il sito instagram).

Illustrazione di Monica Barengo
“Tutto il problema si riduce qui, perché non si può dare che quello che si ha. Ma quando si ha, il dare viene da sé, senza neanche cercarlo, purché non si perda tempo. Purché si avvicini la gente su un livello da uomo, cioè a dir poco un livello di parole e non di gioco. E non una parola qualsiasi di conversazione banale, di quelle che non impegna nulla di chi la dice e non serve a nulla in chi l’ascolta. Una parola come riempitivo di tempo, ma parola scuola, parola che arricchisce”. (don Lorenzo Milani, in Esperienze pastorali)
 
"Avanti la Brigata Leggera!" C'era qualcuno sgomento? No, anche se i soldati sapevano che qualcuno aveva sbagliato. Loro non fecero domande, loro non si chiesero perché, loro non fecero altro che farlo e morire. Nella valle della Morte cavalcarono i seicento. (Tennyson Alfred)
 
La scuola non ha bisogno dell’antitesi tra scienza, tecnologia e studi umanistici. Il mondo è un enigma che ogni scuola dovrebbe esplorare tramite plurime letture tra loro complementari, base del futuro bagaglio di tutti gli studenti: capacità di pensiero convergente e divergente, stupore e pragmatismo, poesia e prosa, arte e formule matematiche, affermazione personale e solidarietà, gratuità ed utilità, humanitas e tecnologia. Ci vogliono docenti dal doppio coraggio: non rinchiudersi nel mala tempora currunt e non cadere nella spirale delle sirene di moda, destinate a svaporare nel cimitero del demodè. Il rinnovamento della didattica, l’aggiornamento tecnologico sono imprescindibili doveri dei docenti, ma non sono fini a se stessi, bensì strumenti per conseguire le finalità della scuola: insegnare (da insĭgnare) imprimere segni nella mente e nel cuore, istruire (da in-struere) inserire/portare dentro conoscenze e competenze, educare (da ex-ducere), condurre fuori dalla frammentazione, dal caos, dall’insignificanza uomini e donne consapevoli di sé e del mondo).
Strada da fare. Camminando insieme.
Illustrazione di Monica Barengo
Proprio per questo la lezione faccia a faccia detta “frontale” non rientra e non rientrerà mai nel “demodé”. Semplicemente è “amodè”, costante presenza da almeno 25 secoli come l’aria che si respira, testimonianza della compresenza irrinunciabile tra generazioni che nel presente trasmettono ai giovani il testimone culturale sociale valoriale del passato perché in futuro facciano altrettanto.
L'aggettivo "frontale" è ambivalente: può significare essere su fronti opposti di due schieramenti oppure essere ben presenti nel volgere la fronte verso qualcuno. Anche nella pratica la lezione “frontale” è stata ed è vissuta in duplice significato: sguardo fiduciario e conviviale oppure rapporto antagonista conflittuale. In effetti per non pochi docenti la lezione era ed è monologo-soliloquio senz’anima, parodia della vera lectio. Ovvio il rifiuto di questa modalità. Ed ecco la proposta (e dietro le quinte interessi più o meno nobili), panacea di tutti mali: capovolgere la classe, risolvere il fronte dell’insegnante in istruttore tecnologico. Il problema non è sostituire o capovolgere la lezione frontale. La vera sfida è nel rispondere a precisi interrogativi: Che cosa significa insegnare? Che ruolo hanno gli insegnanti nella vita di ogni loro alunno? Ogni giorno la scuola deve fare i conti con nuove e vecchie fragilità individuali e collettive: ragazzi/e troppo protetti o troppo soli; comportamenti e atteggiamenti spaesati, indifferenti, cinici, passivamente adattativi o al contrario aggressivi, come i bulli “predatori dei propri compagni”; moltitudini di adolescenti iperconnessi, prigionieri delle influenze dei social, impreparati a gestire in rete vessazioni minacce pericoli simili a quelli che s’incontrano per strada, segno di troppi genitori incapaci di capire cosa sta accadendo ai figli; disagi a volte così gravi da suggerire la tentazione del suicidio in una società liquida segnata dal vuoto, dalla mancanza di fiducia e di sicurezza; adolescenti senza profondità di memoria e di futuro in un presente precario scosso dalla pandemia, dalla guerra e dallo spettro della scarsità … 
Illustrazione di Monica Barengo
Al di là del rischio di facili generalizzazioni rimane il problema reale: “il deserto cresce”. Adolescenti e giovani pagano a caro prezzo l’onda della sottocultura e del declino intellettuale: generazione senza maestri o, peggio, con cattivi maestri. Certo non tutti sono così, ma è in questo contesto connotativo che tutti e loro in particolare si trovano smarriti nei comportamenti e confusi nel pensiero: Perché sono al mondo? Io chi sono? Che cosa posso sperare? Già MORIN sottolineava quanto sia di importanza vitale nella formazione il “voglio apprendere a vivere”.
La risposta non può essere la classe capovolta. Che piaccia o non piaccia è l’ora di rivendicare fortemente l'ascolto e la parola della lezione faccia a faccia come centro attorno al quale gravitano tutti i momenti dell’esperienza scolastica, perché lì avviene il passaggio dall’insignificanza al significato. E’ la sua intensità imprevedibile che fa della scuola un avvenimento vivo e un’ora di lezione può valere una vita, come ci ricorda Recalcati. Non certo la didattica “polverosa”. In quelle ore si invera l’intreccio tra la passione di educare del docente e l’emozione dell’apprendimento dello studente: da una parte la capacità di guardare gli alunni negli occhi, leggerne i bisogni, dare il giusto risalto ad ogni individualità perché ognuno possa imparare a conoscersi apprezzarsi emozionarsi fare un passo avanti nella scalata delle difficoltà; dall’altra l’apertura della mente e del cuore ad ogni incontro e conoscenza, nel gusto-sorpresa di “Io ci sono”. E tutto ciò succede nella scuola, luogo imperfetto sempre perfettibile, in cui si annuncia la speranza e si fa cultura.
In verità da sempre moltitudini di docenti nel corso dei secoli hanno capovolto e continuano a capovolgere quotidianamente la lectio “frontale” con la socratica arte maieutica: scelta di campo del docente che guida i propri allievi alla comprensione di sé, degli altri e del mondo attraverso il silenzio nell’ascolto della parola, il dialogo, la riflessione, il ragionamento e li sollecita a cercare, ad apprendere ed esplicitare il sapere scoprendolo in se stessi nella propria anima.
Illustrazione di Monica Barengo
Nessuna preclusione pertanto a provare e riprovare un progressivo cimento tecnologico del “capovolgere”, se la classe “capovolta” non viene assolutizzata, se essa non si risolve in mera sostituzione e scomparsa della lectio, se viene vincolata entro precisi limiti didattici e temporali. Metodologia legittima in quanto progetto, non imposto ma discusso e condiviso, di cimenti legati a progressivi livelli di autonomia culturale raggiunti da ogni allievo, verifica del suo percorso di crescita, anticipato e sorretto sempre dalla parola e dall’ascolto della lectio faccia a faccia. Allora potrebbe diventare sussidio liberatorio in un percorso senza cedimenti di deleghe, punto finale di approdo non di partenza, tappa avanzata da adottare quando si sono assestati decisivi traguardi di autonomia, conclusione di una didattica faccia a faccia che da sempre si ispira alla maieutica socratica. 
Non sostituisce per nulla e non è la fine della parola parlata e del suo ascolto.
Il problema è allora “salvare la scuola nell’era digitale” (cfr. G. Reale, ed. La Scuola, 2013), salvarne l'essenza: l'intreccio del reciproco ascolto-silenzio-parola tra insegnante e alunni in una relazione tra persona e persona. La scuola, incontro delle generazioni nel reciproco scambio di silenzio e di ascolto (i grandi assenti nel mondo d’oggi), è la casa della parola: non una  qualsiasi parola di conversazione banale, che non impegna chi la dice e non serve a nulla in chi l’ascolta, ma "parola scuola, parola che arricchisce”.

5 commenti:

  1. Mai come in questi ultimi anni vissuti nella pandemia quanto scritto nell'articolo si è rivelato semplicemente VERO! La DAD è stata la cartina di tornasole di quanto le RELAZIONE "dal vivo" sia fondamento costitutivo della VERA SCUOLA! La tecnologia può senza dubbio rappresentare un vsaido supporto, che può e deve però venire 'dopo' che tra docente e discente si è instaurata la relazione, che è anche di 'fiducia reciproca'. Metodologie come la 'classe rovesciata' (la 'flipped classroom') si possono applicare solo DOPO che si è aperto un canale comunicativo diretto fra le due componenti e non si può 'delegare' a loro tutta la didattica. La 'flipped classroom'' prevede che ci sia un 'prima' e soprattutto un 'dopo' in cui quanto appreso venga sottoposto a 'critica', che non può esimersi dalla dialettica e dal confronto. Grazie!

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  2. Molto semplicemente dico che arrivare a questo risultato sarebbe un sogno. Da la sensazione di sentirsi accolti portati a realizzare se stessi e collaborare con gli altri realizzando una società nuova. Diminuire gli scontri accettando il pensiero degli altri che può aiutare a confermare il nostro.Evitare le prevaricazioni, gli sgomitamenti che portano avanti i più scaltri non i più preparati.

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  3. Caro Rosario, sono con te nel riconoscere che l’insegnante autentico è colui/lei che vive la scuola come luogo della responsabilità della relazione: credo che si possa considerare la sua componente "profetica". Possedere e far possedere la parola come annuncio e denuncia: inquieta ricerca di ogni forma di sapere, del bello e del vero; apertura agli incontri nella diversità e complessità del mondo; promessa (di riconciliazione e di perdono) che riconosce l'amicizia come bene raro da custodire e confida in un futuro possibile campo di modi alternativi di vivere.

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