Il tema del demoniaco, nelle sue varie sfaccettature, ha interessato - nel corso del '900 - la letteratura, l'arte, la filosofia, al di là dell'area strettamente teologica.
Post di Rosario GrilloImmagini delle incisioni di Gustave Doré (1832-1883).
Gustave Doré, illustrazione raffigurante Satana, nel "Paradiso perduto" di John Milton |
Nel corpo dottrinale del Cristianesimo gli si
attribuisce discendenza angelica: Belzebù, il principe degli angeli ribelli,
mosso da suprema invidia verso Dio. S’incornicia così l’essenza del Male.
Se ne trova conferma nella teologia, visto che Male
è assenza, privazione. In Satana si enuclea l’incapacità, per essenza, di
volere e fare il Bene, di essere Bene.
Non possiamo e non dobbiamo, però, rinchiudere il
Cristianesimo in una dottrina, in astratte normative. Il Cristianesimo è
praxis: agire in virtù del Bene (ante rem), in osservanza del Bene (in re) e
secondo il fine del Bene (post rem).
Questa, a mio avviso, la ragione prima per la
frequente “lettura” del satanico in modalità metaforica. Nasce in questo contesto la revisione in chiave dialettica su Satana e i suoi
complementi (Inferno).
Resta costante la presenza del diabolico, che molta letteratura e tanta filosofia ha interpretato, anche da posizioni laiche e/o ateiste.
Resta costante la presenza del diabolico, che molta letteratura e tanta filosofia ha interpretato, anche da posizioni laiche e/o ateiste.
Su tale linea di registro incontriamo il Faust di
Goethe e più avanti quello dì Thomas Mann; se ne mette in luce l’inerenza con
lo sviluppo abnorme del narcisismo umano. In Goethe, la cifra è data dal
demoniaco insito nella scienza, sganciata dal controllo umanistico.
Gustave Doré, illustrazione raffigurante San Michele che scaccia gli angeli caduti, nel "Paradiso perduto" di John Milton |
È la temperie del decadentismo!
Vicino a quegli anni Freud elabora, dentro il
tessuto della nascente psicanalisi, un materiale denso di irrazionalità,
confinante in tanta parte con il satanico, nell’universo dell’inconscio. Lungo
questo iter, i termini diventano più sfumati e ci si spinge verso un confine:
dove razionale ed irrazionale s’intersecano, dove si alternano luce e tenebre.
S’infila, guizzante, un flash di eccentrico nel flusso della normalità (2).
Non fu estraneo alla suggestione Walther Benjamin,
che aveva ragioni intrinseche, provenienti dalla sua radice ebraica e dalle
vicende biografiche (3).
Benjamin calò il demoniaco in molteplici situazioni: il “tragico” nella filosofia della
storia, l’esuberante nella “riproduzione tecnica” annullante “l’aura”.
Paul Tillich, altra figura tormentata, segnata dalla
persecuzione nazista, miscelò il demoniaco con il volto del Potere e con
l’istanza morale, rigorosa ed esigente, della teologia protestante.
Gustave Doré, illustrazione raffigurante la caduta di Satana, nel "Paradiso perduto" di John Milton |
Ampio il prospetto dell’analisi di Tillich ed anche
flessibile nel corso del tempo (5). Ad una iniziale concordanza con le tesi
nietzschiane sulla relazione spirito dionisiaco-arte arcaica-demoniaco, fa
seguito una marcata connotazione del demoniaco come creatività insita nella
produzione artistica umana. Tillich sostiene che, in quanto umana, finita e
terrena, essa è insieme: creatrice e distruttiva. Appare in pieno: il volto tormentato della
sua Weltanshauung.
Al contempo, Tillich riprende il concetto di kairos,
momento ineffabile della fusione tra l’eterno e il tempo, e legge la trama
della storia, togliendone il continuum, come “summa” del kairos.
Si deve leggere come tensione verso l’alto, che
continuamente si consuma, o, per l’inverso, come la “fragilità” dello spirito
che entra nella storia.
Sono temi che, in chiavi poliedriche, travagliano il
pensiero del ‘900. Rimando quindi ad altri momenti, per gli approfondimenti del
caso. Parlerò del kàtechon.
Gustave Doré, illustrazione raffigurante Satana, nel "Paradiso perduto" di John Milton |
1.www.ildubbio.news - Thomas Mann, le radici
oscure dell’Europa
2.Rimando,
per una più dettagliata analisi, al mio precedente post Il perturbante.
3.Ripetute
le allusioni ad un “gobbetto” iettatore che insidiava le sue scelte
esistenziali.
4.
Da Enciclopedia Treccani:
TILLICH,
Paul. - Teologo protestante, nato a Starzeddel (Brandeburgo) il 20 agosto 1886,
morto a Chicago il 22 ottobre 1965. Compì studi universitari dì filosofia e
teologia dal 1904 al 1912 a Berlino, Tubinga, Halle, Breslavia; fu cappellano
militare negli anni 1914-18, libero docente di teologia all'università di Berlino dal 1919 al 1924,
professore di teologia nelle università di Marburgo, Dresda, Lipsia (1924-29),
professore di filosofia e sociologia nell'università di
Francoforte, dove assunse nel 1929 la cattedra che era stata di M. Scheler e
donde dovette allontanarsi nel 1933 per aver sostenuto la tesi del socialismo
cristiano. Trasferitosi in America su invito di R. Niebuhr, insegnò teologia a
New York (fino al 1955), Harvard (fino al 1961), Chicago.
Partito
da lavori sul tardo Schelling (Die
religionsgeschichtliche Konstruktion in Schellings positiver Philosophie, ihre Voraussetzungen und Prinzipen, Breslavia 1910; Mystik und Schuldbewusstsein in Schellings
philosophischer Entwicklung, Gütersloh 1912), T. non ha più abbandonato alcune fondamentali
suggestioni scaturenti da quegli studi: un profondo interesse
ontologico-esistenziale e la connessione filosofia-teologia. Questa connessione
è uno dei segni più evidenti di quella "posizione di frontiera" (cfr.
On the boundary. An autobiographical sketch, New
York 1966; trad. it., Brescia 1969) e di quel "metodo di
correlazione" che, rispettivamente, T. visse e teorizzò. La definizione di
fede come "cura ultima" (ultimate concern) si riferisce alla
ricerca dell'essere come "fondamento" e "abisso"; la
religione non è, pertanto,
secondo T. - che su questo punto polemizza con Otto e Schleiermacher, pur
risentendone profondamente l'influsso - una facoltà particolare dello spirito, ma
l'atteggiamento fondamentale del medesimo, sempre teso alla riconnessione col
fondamento. Da ciò l'interesse di T. per la teologia delle religioni (v., per
es., The future of Religions, New York 1966; trad. it., Brescia 1960) e
per la teologia della cultura (da Religionsphilosophie der Kultur [con G. Radbruch], Berlino 1919, 19682, a Theology of culture,
New York 1959): a differenza e in polemica con Barth, T. è portato dai suoi
presupposti a vedere la cultura come forma storica della religione. Nella
cultura si producono i "simboli" religiosi, che però T. ritiene sia
sempre necessario sottoporre all'esame del "principio protestante",
onde evitare che il simbolo diventi esso stesso un idolo. Il particolare
protestantesimo di T. si esprime anche nel convincimento della
"giustificazione per grazia attraverso la fede". L'opera in cui
maggiormente convergono tutti i motivi del pensiero di T. è la Systematic theology, voll. 3, Chicago 1951-1963
5.
Rinvio principalmente all’opera "Il demoniaco".
Caro Rosario, ho letto con piacere e grandissimo interesse quanto hai scritto. Da profano quale sono, non entro nel merito, perché oggi è il tempo per me di meditazione. Solo 2 flash. 1. Parlare oggi di demoniaco è espressione di coraggio, come scoperchiare ed additare ciò che è nascosto e che agisce nel nascondimento: questione dunque di verità, aletheia, non nascondimento. 2: Tillich, di cui ho tenuto per tanti anni a portata di mano un suo libro (Il nuovo essere, ed. Ubaldini, Roma 1967), di cui riporto un pensiero: “Teniamo aperte le orecchie, teniamo aperti i cuori, e chiediamo con gran serietà e passione: C’è una parola da parte del Signore, una parola per me, qui e ora, una parola per il nostro mondo, in questo momento? C’è, tenta di venire a voi. Tenetevi pronti!” (p. 103).
RispondiEliminaMolto interessante.
RispondiEliminaGrazie
EliminaCaro Gian Maria, vuoi velare la tua vasta armatura culturale, tanto più valida in quanto non ostenta se stessa.
RispondiEliminaTillich non è molto conosciuto : io sono arrivato ad “ agganciarlo “ spinto dal tema cardine del post. Lui rientra a pieno titolo nella pregnante stagione della teologia protestante, che si ricollega all’ultimo Schelling, e che , con diverse variazioni, vive nel contesto della drammatica stagione nazista e dei suoi effetti ( Shoah).
Da pervicace scrutatore della Parola, sei andato a coglierne il segno nei suoi pensieri.
Il demoniaco, ovvero la traccia della “ tentazione “ diabolica. Ci scandalizza ogni richiamo alla “ ontologia del Male”, quasi materializzasse ogni volta il Principio che contende aDio ( Bene) il mondo ( gnosticismo). Bisogna prendere la questione per altro verso. Oggi Recalcati ne scrive, da par suo, ricollegandola a quella intuizione che portò Freud alla “ dialettica di Eros e Thanatos. Nella connotazione umana, solo umana, è insita la spinta all’edonismo con connesso “ spirito dimorte e di distruzione “. Non penso alla condanna della ricerca del piacere, metto però nel mirino lo sconfinamento dall’ “armonia “, che è il Bene.
“ Diversamente dalla vita animale, governata infallibilmente dalle legge naturale dell’istinto di vita, quella umana non evita affatto il male ma lo brama, lo ricerca convintamente. La scissione che la attraversanon è più solo relativa al decentramento dell’Io, non è più solo la scissione che separa l’inconscio e la coscienza, ma una scissione che coinvolge l’eaisterza stessa del soggetto. Gli esseri umani non vogliono il loro bene, ma il loro godimento e non nonostante sia pericoloso per la vita, ma proprio perché cattivoe pericoloso per la vita. Ecco il paradosso più terribile custodito dalla pulsione di morte...” ( Recalcati)