Crisi delle élite dal recente passato ad oggi. Interrogativi.
Post di Rosario Grillo.
Illustrazioni di Angelo Ruta (qui il sito), per gentile autorizzazione.
Angelo Ruta, Ambizione |
Nella baraonda di una situazione politico-sociale
caratterizzata da divisioni insanabili, alimentate anche ad arte per prendere “il
vento in poppa” della protesta arrabbiata, del rancore, della paura e, al
limite, della perdita di speranza, si sta discutendo di crisi
delle élite.
Per certi aspetti, può essere considerato un
diversivo...
Per meglio focalizzare il “punctum quaestionis”
occorre allora andare alla crisi della democrazia, che ne rappresenta il
processo “ab origine”.
Per non tediare nell’insistenza sui concetti
fondanti della democrazia, dico che è un artificio umano: perfettibile ed anche
deperibile. Si, proprio così! La democrazia richiede manutenzione.
La manutenzione, che i più intendono però, è quella
tecnica: degli ingranaggi, dei poteri e dei contro poteri che la costituiscono.
Ma c’è una manutenzione necessaria, il più delle volte trascurata: quella spirituale. (1)
Angelo Ruta, Senza titolo |
È meglio dire, nel frattempo, che élite non va
considerata come oligarchia: come, cioè, uno strato
di “notabili” o “distinti” - per censo,
per status culturale, per merito acquisito - avulso e separato dallo strato
della gente normale.
L’obiezione radicale si fonda sul connotato, indisgiungibile
dalla democrazia: parità delle opportunità.
Puntuale, al riguardo, la replica di G. Zagrebelsky
(Repubblica del 30/01) che ha sottolineato la intercambiabilità tra “gente” ed
“élite”. L’élite, quindi, è meglio che rimanga sul terreno di quel ristretto
numero, che per competenza e per delega, ha il mandato di legiferare e di
governare il Paese. Per concretezza, va aggiunto che l’esistenza, come dei
singoli così delle istituzioni, è naturalmente esposta alle “intemperie”.
Quindi, nei tempi procellosi, è normale la modifica, con dialettica più o meno
marcata, di assetti e protagonisti (questo è stato ricordato da Nadia Urbinati
sempre sulle pagine di Repubblica).
Angelo Ruta, Senza titolo |
La crisi dei partiti, curata con questo surrogato e
con la fuga verso la democrazia diretta, ha
complicato, e di molto alterato, il problema che stiamo indagando.
Ecco perché ritorno sullo “spirito”. Lo spirito
della democrazia è nella partecipazione comune
per allargare le maglie della rete democratica, cioè delle opportunità, della
condivisione, della inclusione.
Per questa ragione, la democrazia ha acquisito le
garanzie del liberalismo, proponendosi di arricchirlo, di riempirlo di anima: l’anima della solidarietà, che si è
declinata in sussidiarietà, in Welfare e protezione sociale e in accoglienza.
Non è un semplice infortunio, quindi, la vicenda che
ci coinvolge (3): la diffusione dell’egoismo pilotato da un certo nazionalismo
di ritorno e da furori, colorati di xenofobia.
Con dolore, Raniero La Valle ne parla, descrivendolo
come un “tirante che non tiene” (4) e si rammarica della diffusione di uno spirito di parte,
che altro non è che tornaconto, dietro il quale si nasconde la politica
dell’immigrazione della Comunità europea.
Angelo Ruta, Egocentrismo |
Questo comune destino è, in verità, il tessuto con
il quale si confeziona una nazione. Lo ha riconosciuto con chiarezza Papa
Francesco, all’inizio del suo pontificato:
“La nazione non è un museo, ma un’opera collettiva in permanente
costruzione in cui sono da mettere in comune proprio le cose che differenziano,
incluse le appartenenze politiche e religiose” (6).
Conclusione.
Arrivati alla conclusione, allora, è necessario sì
recriminare sulla qualità delle élite odierne, ma se è corretta la
intercambiabilità, occorre anche spronare la qualità
della gente. Questo avviene, incrementando l’educazione e la
promozione culturale.
È necessario ancora richiamare l’appello di una nota
figura storica, don Sturzo: “ai liberi e
forti”. Liberato dal fine specifico della fondazione del Partito Popolare
Italiano (7), l’appello punta verso uno Stato ricco di nuovo dinamismo, in cui
si armonizzavano l’iniziativa privata e i diritti dei lavoratori, competenze
professionali ed opportunità di avanzamento sociale, sollecitazione di
autonomie regionali e comunali.
Angelo Ruta, Superiorità |
Do piccolo resoconto di una questione immensa, a
latere.
Dalla rivista Il Mulino, nota come laboratorio
politico, emerge una riflessione che si sofferma sulla nota tematica gramsciana
di blocco storico e di egemonia. Tema che è
servito, in certo modo, come stella polare del PCI negli anni della
ricostruzione. Partito di opposizione e vittima di una sorta di “conventio ad
excludendum”, il PCI condusse una politica che si può, genericamente, definire
di appeasement, senza mai proporsi lo scardinamento del sistema democratico.
In corrispondenza, è nota la tattica di Aldo Moro:
includere nel l’alternanza di governo i comunisti. Ma vennero gli anni del
brigatismo, l’uccisione di Aldo Moro e l’evoluzione abortì.
Io penso che il colpo ebbe grande effetto... dopo
son venute pagine peggiorative nella dialettica politica italiana, ed oggi i
movimenti e i sentimenti antipolitici stanno agitando le acque, condannando in
blocco quella “presunta egemonia” con inevitabili cascami anti intellettuali,
sfruttando al massimo le tendenze caotiche e non disciplinate alla
digitalizzazione di massa.
Ne discende una alterazione della dialettica
virtuosa tra masse (o gente) ed élite, e dello spirito di comunità che ho
auspicato. (8)
🌟 Note.
1. Impiego
questo aggettivo senza remore, intendendo appunto richiamare l’anelito che ha
fatto nascere la democrazia.
2. Sono
costretto a sorvolare sul tempo storico della maturazione dello Stato italiano,
in assenza di un processo propedeutico di abitudine ed attitudine allo Stato
moderno, forte di unità territoriale ed amministrativa.
3. Lo
spazio del coinvolgimento è prima nazionale, poi europeo, infine sovra
nazionale, in conformità ai fenomeni che caratterizzano la globalizzazione.
4. Www.chiesadituttichiesadeipoveri”.it
30/01/2019.
5. Sopra
si ricordava che essa è intrinseca alla democrazia autentica.
6. V
Congresso Chiesa italiana a Firenze (2015).
7. Ricordo,
nel contempo, che il popolarismo, in chiave interclassista, si distingueva dal
populismo. Indicava la meta di uno Stato, oltre il limite della oligarchia
liberale.
grazie. mi risuona -spronare la qualità della gente-. è giusto, è un atto di amore e giustizia sociale. educazione e cultura. grazie per l'articolo, per la riflessione che ne deriva
RispondiEliminaIn effetti, in Democrazia dal basso deve partire la spinta. Che sia ricca di pathos etico! Grazie infinite ��
EliminaInteressante soprattutto l'inizio di analisi tra crisi delle elite e utilizzo del concetto di egemonia da parte del PCI; ma un po' deludente, anche perché il dibattito di questi tempi sui giornali relativamente alla crisi delle elite, e prima ancora a come debbano essere definite (articolo di Baricco, e reazioni all'articolo di Baricco), non è affatto affrontato e lasciato, senza neppure darne conto, sullo sfondo.
RispondiElimina@Basilio Buffoni. Tutte le critiche sono legittime. Debbo replicare però che l’intento che mi ero proposto non era quello di scendere nella disamina politologica e sociologica. Mi è bastato tenere il punto della corrispondenza tra élite e masse ( tra società civile e classe di comando) per svolgere la mia tesi legata al “ fattore spirituale “. Nemmeno la caratteristica del blog, con annesso spazio, me lo consentivano.
EliminaComunque, tra le righe, si può leggere una sottile ironia su una disputa che può essere strumentalizzata. Ad élite va tolto il marchio di oligarchia. Le masse o “ la gente” , per non cadere nel “ vortice” del populismo vanno articolate. Da qui ci si muove per entrare nel dettaglio di una scomposizione, pilotata ad arte, per inficiare la resistenza e la mobilitazione anti establishment. In poche parole, se non ha più ragion d’essere l’unità della classe lavoratrice, va comunque ricomposta un’unità di resistenza e mobilitazione, nel nome della democrazia minacciata, dei diritti universali e di una nuova “ politica sociale”.
@Rosario Grillo. Grazie della cortese risposta, è un tema che vale la pena di approfondire.
RispondiEliminaVorrei insistere sul pericolo che tu espliciti, pur con accorta discrezione: discutere della crisi della élite potrebbe essere “un diversivo”. Ho l’impressione che è quello che sta appunto succedendo, come per altri versi pone in evidenza oggi anche un articolo de La Repubblica. E’ una duplice confusione. Da una parte confondere la chiacchiera salottiera (che lascia il tempo che trova, oggi tanto di moda nei salotti e bar virtuali, che non cambia nulla, che non scalfisce le coscienze anzi le rende appagate e quietate dalla chiacchiera) e la parola che rende inquieti quando parla di dovere della “manutenzione” della democrazia, del rischio concreto rappresentato dalla leadership personale, di “anima”, di “comunità”: parola che reclama a gran voce impegno e testimonianza. Dall’altra il confondere tipico di questo tempo il leader con il guru di turno, in qualsiasi settore sociale e culturale, nonché letterario.
RispondiEliminaCaro Gian Maria, siamo impegnati sullo stesso fronte. In questo spirito ti ho inviato la sollecitazione di Raniero LaValle, che molto lucidamente porta il baricentro sul pericolo che alcune mosse, sottaciute, rappresentano.
RispondiEliminaSi la democrazia richiede manutenzione e tanta vigilanza!
Ringrazia Rossana per il significativo e bel corredo iconografico. Un abbraccio ad entrambi