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venerdì 9 aprile 2021

Scuola, linguaggio verbale e non verbale. Anche in Dad.

La scuola nella Didattica a distanza (Dad) e la sfida del docente autorevole.
Post di Gian Maria Zavattaro
Immagini delle illustrazioni di Fabio Magnasciutti (qui il sito instagram).
 
Fabio Magnasciutti
Possono-debbono i docenti coltivare la loro vocazione di educatori e non solo di trasmettitori di nozioni culturali anche nella Didattica a distanza (cosiddetta Dad)? Possono ravvivare con autorevolezza autentici legami relazionali con gli studenti? 
Sì, e proprio in questo tempo segnato da covid e da tante contraddizioni inquietudini tensioni disagi sofferenze e speranze. 
Giorno per giorno il docente può confermare-ravvivare la sua autorevolezza non solo grazie alla padronanza della materia che insegna ma al modo di in-segnare e di comunicare, nel remoto, la relazione con la classe e con ogni singolo alunno. Relazione strutturata su modelli non autoritari: vocazione che rispetta ogni diversità, accoglie e valorizza la pluralità di capacità conoscenze fragilità carismi di ciascuno.
 
✴️ Chi è il docente autorevole?
- il testimone di autenticità e di congruenza, propositore di un inedito modello esperienziale che lui/lei stesso/a vive, intriso del gusto di promuovere criticamente autentiche relazioni nel remoto contesto scolastico.
- colui/lei che conosce e rispetta la pluralità dei comportamenti, ideologie, valori manifesti o sottesi di ogni studente nella sua irripetibile identità e sa decifrarne le invocazioni tacite o dichiarate.
- colui/lei che facilita relazioni autentiche, persuade, non seduce, non manipola, semplicemente metacomunica, cioè continuamente comunica sulla comunicazione.

Fabio Magnasciutti

Anche nella Dad vale l’assunto (1) “non si può non comunicare”: si scambiano continuamente messaggi verbali e non verbali tramite la parola ed il comportamento, il linguaggio del corpo. Avviene anche nell’ambivalente silenzio durante la spiegazione della lezione, l’interrogazione o la discussione, anche quando connessione - audio - videocamere risultano, fortuitamente o volutamente, traballanti, segnali comunicativi da decifrare e da “capire” con “attenzione” (2).

✴️ Il linguaggio verbale e non verbale. 
Le parole non hanno significati invariabili, dipende dal contesto entro il quale sono inserite e per interpretare qualsiasi tipo di comunicazione non si può mai prescindere dal suo contesto (3). Anche nella Dad l’espressione del volto - remoto ma scevro da mascherina - di chi parla od ascolta, i gesti - anche se solo in parte visibili -, l’attività che si sta svolgendo, lo stato emotivo e motivazionale dei presenti, il loro vissuto, il sottofondo di idee e sentimenti che nell’ambito della classe stanno circolando fanno corpo con la parola stessa. 
Il linguaggio del corpo è strumento di comunicazione di cui spesso non conosciamo il valore: con i gesti, le posizioni e le espressioni del viso possiamo dire molte cose, spesso anche contraddicendo la parola. I segnali che emettiamo sono molti: alcuni sono intenzionali o quasi, altri invece sono inconsci, cioè reazioni fisiche immediate del nostro corpo a qualche situazione esterna che per es. ci disturba e che sfugge al filtro del ragionamento e della coscienza: es. incrociare le braccia in segno di difesa, tamburellare le dita perché impazienti, sbadigliare platealmente…

Fabio Magnasciutti

✴️ Lo sguardo.  
Di tutte le parti del corpo umano che usiamo per trasmettere informazioni, gli occhi sono la più importante, quella capace di trasmettere le più sottili sfumature: non tanto gli occhi in sé, quanto l’uso che ne facciamo. Siamo in grado di esprimere quasi tutto quello che vogliamo prolungando o meno lo sguardo, aprendo più o meno le palpebre, strizzando gli occhi o un solo complice occhio, facendo tutta una serie di movimenti con gli occhi ed i muscoli che li circondano… C’è lo sguardo che dura un istante e subito si ritrae (normalmente quando guardiamo una persona e non vogliamo disturbarla con la nostra insistenza). C’è lo sguardo che indugia sull’altro, quasi a volerne richiamare l’attenzione e comunicargli il proprio interesse. C’è lo sguardo obliquo: guardare con la coda dell’occhio. C’è lo sguardo furtivo che consente di guardare senza darlo a vedere…(4)
 
✴️ Ogni comportamento è una forma di comunicazione.
Prendiamo il caso del docente che ad inizio connessione saluta calorosamente la classe: condiziona la risposta corale, che con buona probabilità sarà altrettanto cordiale. Se la saluta stancamente o freddamente, anche il comportamento della classe sarà diverso. 
La comunicazione è sempre un processo circolare, le persone cioè si influenzano reciprocamente. Il comportamento della prima fa sì che l’altra reagisca in un certo modo e questa reazione a sua volta condiziona la risposta della prima. Ogni rapporto anche nella classe è regolato da questo processo circolare e spesso è difficile stabilire quale ne sia l’inizio. Tutto ha valore di messaggio: parlare o stare zitti, muoversi o stare fermi. Quindi tutto influenza gli altri che a loro volta non possono non rispondere a queste comunicazioni. In altre parole ogni componente della classe virtuale fa parte di un sistema relazionale all’interno di una determinata trama di relazioni on line, in uno scambio continuo di informazioni e retroazioni, in una continua definizione e ridefinizione della relazione tra i partecipanti.
 
Fabio Magnasciutti
✴️Un esempio? 
E’ un’ora di lezione difficile o imbarazzante: X (magari lo stesso docente…) accusa un improvviso mal di testa oppure l’audio fa capricci, la telecamera fa cilecca, la connessione traballante impedisce di iniziare o continuare a seguire la lezione o la conversazione o la discussione o l’interrogazione. X comunica attraverso un sintomo che esiste qualcosa nel contesto della comunicazione che disturba. Il sintomo quindi è a sua volta una comunicazione, non è altro che un messaggio che ha lo scopo di segnalare quanto sia diventata pesante la situazione. In questo modo ci si può sottrarre senza sentirsi colpevoli e senza essere rimproverati. La teoria della relazione considera ogni sintomo come un messaggio non verbale, un modo indiretto di dire “non sono io che voglio o non voglio far questo, ma è qualcosa che non posso controllare, il mal di testa, i nervi, l’ansia, la stanchezza”…
 
✴️Sintetizzando: linguaggio del corpo e linguaggio parlato sono interdipendenti: né il primo né il secondo da soli ci fanno comprendere completamente ciò che una persona vuol dire, occorrono entrambi.
Il docente che riconosce questo ha indubbi vantaggi: quando sa leggere il linguaggio del corpo degli altri acquista automaticamente anche la conoscenza del proprio ed impara a rendere più efficace e funzionale la comunicazione, sapendo che sempre comprende un aspetto di contenuto (“notizia” che corrisponde a ciò che si dice, all’informazione vera e propria) ed un aspetto relazionale che definisce la relazione tra i comunicanti (es. la forma di “comando” che si riferisce a come il messaggio deve essere assunto e quindi definisce la relazione).

Fabio Magnasciutti

✴️ Contenuto e relazione.
L’aspetto relazionale ha il significato di “ecco come mi vedo - ecco come ti vedo - ecco come ti vedo che tu mi vedi” e così di seguito per ogni scambio di messaggi comunicativi, prescindendo dal contenuto del messaggio. In altre parole, il linguaggio della classe non è solo costituito dall’espressione verbale o non verbale dei suoi scambi (la notizia, l’informazione) ma anche dall’evoluzione delle relazioni umane nel gruppo classe.
Per scoprire il linguaggio della classe occorre rispettare il doppio binario convergente del linguaggio del contenuto e delle relazioni. Il docente dice all’allievo “Ho l’impressione che questo compito vada rivisto in alcuni punti” oppure dice “Non portarmi lavori di questo genere prima di averli ben riguardati!”. I due modi danno la stessa affermazione, ma il tipo di relazione è molto diverso…
I della classe al contenuto possono essere solo apparenti in quanto potrebbe trattarsi di un sì alla relazione; oppure il no della classe al contenuto potrebbe riguardare un rifiuto della classe verso un tessuto relazionale mal sopportato.
Il disaccordo a livello relazionale è molto più importante nella classe al fine della comunicazione di quello a livello del contenuto, proprio perché nel primo c’è implicita la definizione di sé stessi. La conferma da parte degli altri del giudizio che ognuno dà di sé è probabilmente il fattore più importante per garantire lo sviluppo e la serenità mentale. La gran parte delle nostre comunicazioni hanno proprio questo scopo, la conferma di sé: la comunicazione con gli altri è indispensabile per avere questa conferma, come punto di riferimento con cui confrontarsi. Il principio su cui si basa la vita associata sta nel bisogno che ogni uomo ha che gli altri lo confermino per quello che è o magari per quello che egli vuole o può diventare e nella capacità che ogni uomo ha di poter confermare i suoi simili come essi desiderano. La cosa peggiore che possa capitare ad una persona è che nessuno si accorga di lei. Se il docente, in questo tempo di Dad, non presta attenzione allo studente, non risponde alle sue inquietudini e domande, lo ignora, si assume una drammatica responsabilità: come se gli si comunicasse “tu per me non esisti, fai pure quello che vuoi”.

Fabio Magnasciutti

✴️ La difesa del territorio.
Anche nella Didattica a distanza scatta l'esigenza di ricercare, mantenere e difendere una determinata area territoriale. Le reazioni all’invasione del territorio - novità indubbia della Dad - sono molto interessanti, soprattutto perché oggi si è oltremodo raggiunta la saturazione del vivere in spazi ristretti. Certamente il territorio della Dad è limitato: la mia stanza, la mia sedia, i miei oggetti che gli altri intravvedono. Prima era un territorio riservato unicamente a me e ad una cerchia intima o ristretta di familiari parenti amici, accettati pienamente nel proprio territorio. Ora quasi ope legis è aperto a tutti indiscriminatamente: docenti, compagni ed coeteri…. Può emergere allora la tentazione di sfuggire alle intrusioni: per es. quando si è interrogati o sottoposti ad una prova scritta e allora si vorrebbe sfuggire ad ogni sguardo e mantenere il territorio inviolato. Sarebbe interessante poter osservare come ognuno reagisce allo spazio intorno a sé, come lo utilizza e come, attraverso l’uso di questo spazio comunica i fatti e messaggi agli altri…
 
✴️ Effetti della contraddizione tra comunicazione verbale e non verbale.  
Possiamo fare dei bei discorsi, ma quello che veramente pensiamo di una persona non viene fuori attraverso le parole ma attraverso tutti gli altri gesti ed espressioni che accompagnano le parole. Se le nostre dichiarazioni non sono autentiche, la loro ambiguità può provocare disorientamento soprattutto in adolescenti “ipersensibili, spesso intelligentissimi”, sino al rinchiudersi progressivo in se stessi in situazioni di comunicazione sempre più insostenibili. A che cosa devono dar retta? Alle parole “bravo-coraggio-non arrenderti-vedrai che ce la farai” o al gesto di rifiuto o di noncuranza che le accompagna? Se questo dilemma diventa un contesto abituale di comunicazione, forse la causa di certi disturbi del comportamento non è da cercare all’interno di una persona, ma nei rapporti comunicativi che ha, soprattutto nell’ambiente familiare e scolastico. Penso ad esempio agli adolescenti hikikomori, auto-reclusi (5). 
In-segnare oggi nella Dad è molto più problematico, più faticoso e più difficile, proprio anche per via del controllo del linguaggio non verbale. Ma questa è la sfida che ogni docente dovrebbe raccogliere. Il vero fascino dell’insegnante autorevole risiede proprio nella sua congruenza, nell'autentica padronanza del linguaggio del corpo, senza contraddizioni con quanto pensa ed esprime verbalmente. E’ quanto auguro a tutti, a partire da mia moglie.

Fabio Magnasciutti

✴️ Note.
1. Il riferimento è ovviamente alla complessità delle teorie della relazione comunicativa, con particolare attenzione a Watzlawick e Bateson.
2. L’esperienza di tanti docenti dimostra che spesso disfunzioni di varia natura con il docente e/o tra gli studenti (conflitti ideologici, rivalità, incomprensioni, demotivazione, disinteresse, scoraggiamento…) sono in realtà conflitti relazionali. All’opposto identificazioni ideologiche sono semplicemente legami relazionali.
I casi, per nulla infrequenti, di connessioni - audio - telecamere disfunzionanti dovuti non a guasti tecnici, ma probabili segnali comunicativi di disagio e di sofferenza devono essere per prima cosa “capiti” con “attenzione”: capire da lat. càpere = prendere, entrare dentro (nell’uso transitivo = prendere, essere preso dentro qualche cosa; nell’uso intransitivo = entrare nella mente); con l’“attenzione” di cui scriveva S. Weil (uno sguardo anzitutto attento, in cui l’anima si svuota di ogni contenuto proprio per accogliere in sé l’essere che essa vede così com’è nel suo aspetto e portare a uno sventurato l’aiuto che può salvarlo nell’istante dell’estremo sconforto) e solo dopo intervenire in una relazione promozionale e non punitiva.
3. Nell’uso delle parole è possibile distinguere il significato denotativo (semplice definizione degli oggetti indicati dalla parole) dal significato connotativo (va al di là di quello denotativo e si riferisce al contesto, cioè alla situazione nella quale il discorso stesso viene ascoltato e pronunciato).
4. Lo sguardo per sé non comunica una situazione ma acquista un significato preciso nel contesto di una situazione. Per es. distogliere lo sguardo rapidamente da una persona quando incontriamo il suo sguardo può significare, se capita per strada tra due sconosciuti, che si comunica che non desideriamo importunarci; se invece accade in una lezione - in presenza, perché in Dad è molto più difficile stabilire una simultaneità degli sguardi - allora il significato è diverso e distogliere lo sguardo può comunicare all’altro (compagno/a, il/la docente, lo/la studente/ssa) che non si desidera parlare con lui/lei o non si gradisce la sua attenzione.
5. Così li chiamano in Giappone, da noi auto reclusi, il cui numero cresce ogni anno, che rifiutano qualsiasi contatto con l'esterno. Secondo M.Lancini, psicoterapeuta, presidente Fondazione Minotauro, è una silenziosa epidemia: un bel giorno "scelgono di tagliare con il mondo perché vittime di bullismo o perché rifiutati dai coetanei" e non escono più dalle loro stanze di adolescenti, in cui si confinano giorno e notte, con la Rete come unico ponte verso l'esterno, in fuga da un mondo da cui sentono emarginati. "Forma estrema di protesta sociale, grido di dolore, per non sentirsi adeguati ai propri coetanei, incompresi a scuola, schiacciati dalla competizione. A questi ragazzi ipersensibili, spesso intelligentissimi, sembra l'unica salvezza da un mondo che li fa soffrire”. Cfr. autoreclusi italiani a Trento, nel corso del convegno "Supereroi fragili" organizzato dalla casa editrice "Erickson". Non bisogna confondere i "tossicodipendenti della Rete" con i "ritirati dal mondo", "La scelta di chiudersi in casa - chiarisce Lancini - è quasi sempre la conseguenza di un fatto traumatico. Ad esempio: andare a scuola e sentirsi invisibili. Essere etichettati come sfigati, perseguitati per l'aspetto fisico. Su personalità fragili e sensibili tutto questo può diventare insopportabile ". Il rendimento scolastico va a rotoli, la scuola peggiora la situazione con brutti voti e conseguenti incomprensioni. "Il ritiro dalla società avviene in modo graduale. Un giorno il ragazzo non vuole entrare in classe perché ha mal di pancia, due giorni dopo si rifiuta di proseguire gli allenamenti di calcio, poi smette di rispondere ai messaggi degli amici su WhatsApp, inizia a stare sveglio di notte e a dormire di giorno... ". Alcuni restano attivi su Internet, i più gravi spengono il pc e si rifugiano nel buio assoluto per tempi anche indefiniti. Agli hikikomori Lancini ha dedicato gran parte del saggio "Abbiamo bisogno di genitori autorevoli": "Come li curiamo? Entrando nel loro dolore con la psicoterapia, anche se c'è chi vorrebbe definirli, a torto, pazienti psichiatrici. E poi cercando con infinita pazienza ogni strumento che li tiri fuori dalla autoreclusione ". Le cose possono cambiare, finite le superiori, quando si entra in un mondo dove "lo sguardo dei coetanei non è più così crudele come nell'adolescenza”, come può succedere all’università. Marco Crepaldi, psicologo sociale, ha fondato nel 2013 il sito "Hikikomori Italia".
 
Fabio Magnasciutti

7 commenti:

  1. Annamaria Pagliusano9 aprile 2021 alle ore 08:19

    Un articolo da meditare a lungo...
    La scuola è uno spazio in cui si incrociano vita e cultura, esperienze e conoscenze.
    Ci si pone sempre in relazione con gli altri attraverso il linguaggio del corpo e della mente.
    Se è vero che un ambiente di apprendimento non può prescindere da ciò, è anche vero che dobbiamo tutti riflettere, in questa situazione di privazione, su quanto sia importante saper stare con gli altri in situazioni concrete e fornire attenzione a tutti i "segni" , oltre il linguaggio verbale, che ci arrivano come domande e risposte che sappiamo o non sappiamo dare..

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    1. Condivido pienamente, gent.ma Annamaria, il suo bel commento. Solo aggiungo che la scuola, dopo la famiglia, è il luogo per eccellenza dell’imprinting negli studenti di oggi di un comportamento, di un habitus di congruità che dovrà poi caratterizzare ogni loro relazione domani nella vita personale e sociale, pubblica e privata. Una responsabilità non da poco.

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  2. Buongiorno a tutti

    Ho letto con molto interesse l'argomento, vedo che oltre riflessioni culturali, religiose,sociali, estetiche, avete trattato analiticamente i vari comportamenti, sia degli studenti che degli insegnanti, con una eccellente trattazione dell'antropologia umana. È certo che un bravo insegnante, deve sapere dare il " La " come il primo violino da all'orchestra. Accertarsi poi che tutti gli studenti siano intonati e, allora in piena l'orchestra , suonerà al meglio. Come sempre avete
    fatto un eccellente lavoro.
    Franco

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  3. Risposte
    1. Caro Franco, ti ringraziamo di cuore per il tuo appropriato e vigoroso intervento, ben reso dalla metafora della sintonia. Un caro saluto a te e ad Enrica.

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  4. Alla fine hai ceduto, ma di necessità virtù! La vera didattica richiede la presenza, ma , in stato di emergenza, occorre fare in modo che la didattica non perda il tono della relazione. Così un preside che non ha mai dismesso la vocazione chiama a raccolta il suo sapere ed offre un saggio di interdisciplinarità. Psicologia, antropologia, pedagogia, e bagaglio umanistico concorrono a mettere a fuoco il rapporto maieutico, illustrano le vie di fuga ed i correttivi, confermano l’importanza del momento paidetico. Debbo aggiungere che si nota la maestria e il garbo, che ,in questo campo, è professionalità, perché bisogna raggiungere l’obiettivo nel rispetto ( I care ) della personalità di ognuno. Rossana ha sostenuto l’argomento con “ la grazia “ delle illustrazioni proposte. Alla grande ed in incastro perfetto con il bisogno!🎆🤙👌

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    1. Come sempre, caro Rosario, cogli la preoccupazione di fondo: mai dimenticare, anche in fase di Dad, il compito fondamentale e la responsabilità di ogni docente autenticamente tale (cioè autorevole) nei riguardi dei propri alunni. Responsabilità che non implica solo in-segnare, ma anche nel contempo imparare ogni giorno e testimoniare nella pienezza dei linguaggi la propria professione, che mi va di definire “vocazione” (secondo l’etimologia del termine). Ciao.

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