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venerdì 17 febbraio 2023

La parodia del maialino cinese.

Zhu Xiao-Mei, grande pianista cinese vivente, racconta la sua storia di prigionia e di liberazione, attraverso la musica.
Post di Rossana Rolando.
 
Mao, Libretto rosso, pittura popolare, 1967
C’è un aneddoto, nel libro autobiografico della grande pianista cinese vivente Zhu Xiao-Mei, che ben sintetizza il senso dell’indottrinamento tipico dei regimi. Siamo nella Cina comunista di Mao, vent’anni dopo il 1949, allorquando ha avuto inizio la rivoluzione culturale (1966-69). La protagonista ventenne si trova in un campo di rieducazione, previsto dal maoismo per formare uomini nuovi, fedeli al credo comunista contenuto nel Libretto rosso di Mao Zedong. La invitano a riflettere su un esempio edificante: una studentessa “ha dato prova di una eccezionale fedeltà a Mao. Due telegrammi successivi l’avevano informata che suo figlio era gravemente malato e che doveva tornare in fretta a Pechino. Ogni volta lei ha risposto che doveva curare un maialino, anche lui sofferente, che le era stato affidato. Un terzo telegramma le ha annunciato il decesso del figlio. Non ha versato una lacrima. Qualche giorno dopo, il maialino è morto. E lei ha pianto”. Zhu Xiao-Mei e le sue compagne “esprimono qualche riserva, ma poi finiscono per considerare la donna lodevole: un maiale nutre la collettività, l’attaccamento che si prova verso il proprio figlio è solo individualista e borghese.”¹
Chi ha letto La fattoria degli animali di Orwell avverte subito una cert’aria di famiglia. Il nobile ideale di un mondo più giusto, in cui le diseguaglianze sociali siano eliminate e il bene della comunità prevalga sull’interesse egoistico, si traduce – nei socialismi realizzati storicamente – in una parodia di se stesso.
Il libro di Xiao-Mei mi è stato suggerito da Annamaria, un’amica di Persona e Comunità, a sua volta curatrice del bellissimo blog dal titolo Gioire in musica.² L’occasione è scaturita dal post dedicato all’evento La musica nei lager nazisti di cui ho parlato qualche settimana addietro.
Mao, Pittura popolare, 1967
Anche nel caso della famosa pianista, si tratta di musica eseguita in luoghi di reclusione, questa volta cinesi. Entrata a dieci anni nel Conservatorio di Pechino (1959), ha poi scelto di interrompere gli studi, in parte perché costretta dal regime, in parte perché convintasi – non senza pressioni psicologiche - della necessità di diventare una brava rivoluzionaria. Per completare il suo cammino di formazione è stata inviata nei campi di rieducazione (1969).
Rispetto ai lager nazisti, in cui le molteplici funzioni della musica - organizzativo, propagandistico, consolatorio, resistenziale - sono tutte collegate ad un disegno di annientamento del detenuto, che è tuttavia consapevole della propria condizione di cattività, qui l’accento si sposta su un altro aspetto tipico dei regimi totalitari novecenteschi. I prigionieri - descritti nel libro - non sono nemici dello stato (come lo sono gli ebrei per i nazisti), ma uomini e donne cinesi da rieducare alla nuova dottrina. Le condizioni di vita e di lavoro cui sono costretti non sono tese a spogliare di ogni dignità, ma a cambiare la mentalità, per porla al servizio della collettività, abbandonando i residui individualistici e i legami ancora troppo “borghesi” – gli affetti familiari, ad esempio – per servire la causa comune. Ogni dimensione della cultura che possa richiamare il mondo capitalista va rimossa. Letteratura, poesia, musica, arte occidentali devono essere dimenticate; sono permessi solo il Libretto rosso di Mao e, in alcuni campi, i testi di Marx e Lenin – peraltro difficili, se messi in mano a una giovane donna priva di strumenti filosofici. L’operazione che Il pianoforte segreto descrive riguarda la progressiva conquista degli spazi interiori da parte dell’ideologia: l’ossessivo ricorso a denunce, delazioni, confessioni pubbliche, imposizione di autocritica… gioca tutto su meccanismi psicologici di colpevolizzazione e pentimento rispetto al sospettato tradimento della fede comunista. La vera prigionia non rinchiude soltanto il corpo, ma asserraglia l’anima.
Daderot, Mao Zedong e le guardie rosse, 2017
Zhu Xiao-Mei rimane nei campi 5 anni, la sua mente sembra essere totalmente soggiogata, è diventata una vera rivoluzionaria.
Eppure la musica non l’ha mai del tutto abbandonata. Un giorno trova una fisarmonica – utilizzata per canti nazionalistici, gli unici ammessi – e comincia a suonare. Di lì in poi vede crescere in lei il desiderio di riavere il suo pianoforte. Le peripezie necessarie per farselo inviare non la fermano. La musica studiata, contando sull’ignoranza dei funzionari del campo, è quella proibita: Chopin, Liszt, Rachmaninov, Dvorak, Beethoven e, in particolare, Bach. Essa diventa nuovo nutrimento per l’anima, via per una liberazione interiore e una riconquista della propria autonomia di giudizio, di pensiero, di esercizio del dubbio.
Attraverso la musica si apre per lei una nuova fase della vita, fuori dalla Cina post-maoista.
 
Note.
1. Zhu Xiao Mei, Il pianoforte segreto, Bollati Boringhieri, Torino 2022, p. 110.
2. Qui il post dedicato a Zhu Xiao-Mei.

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6 commenti:

  1. Da Rosario con un grande abbraccio 🤗

    Il termine musica viene da Muse, le divinità greche figlie di Zeus e di Mnemosune, cioè del Dio principale e della Dea della memoria. Le Muse sono nove, e quella che presiede la musica si chiama Euterpe, «colei che rallegra». Ma tra tutte le arti a cui le nove Muse presiedono (la poesia epica, la poesia amorosa, la poesia lirica, la tragedia, la commedia, la storia, l’astronomia, la danza) solo la musica ha meritato il nome che viene direttamente da loro. Io penso che sia per il fatto che, più di ogni altra espressione dello spirito umano, la musica è totalizzante: come prende la musica, come conquista, come unisce e come può anche devastare la musica, nessun’altra tra le arti lo può fare. La musica è l’espressione più alta dello spirito umano, e per questo ha un potere enorme sull’uomo e sulla sua libertà. Non a caso gli antichi, che conoscevano bene questo potere della musica, ne custodivano gelosamente i segreti e i filosofi discutevano tra loro quale fosse il tipo di musica più adatta all’educazione dei giovani. Per esempio. nell’ottavo libro della Politica Aristotele, dopo aver detto che «nell’educazione dei giovani bisogna usare canti e armonie con un contenuto etico» (Politica 1342 A, ed. it. p. 341), e dopo aver privilegiato l’armonia dorica, aggiunge che Platone nel terzo libro della Repubblica si sbagliava a valutare positivamente l’armonia frigia.
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    Una cosa comunque, a mio avviso, è sicura: il fatto che gli esseri umani facciano musica dimostra che possono giungere a essere liberi dalle necessità biologiche e sociali. Per quanto ognuno di noi sia in buona parte necessitato dalla sua biologia e dal suo ambiente, in noi si può dare un che di non-necessitato, di libero, di sorgivo, che è la creatività, cioè la capacità di agire, e non solo di re-agire. La libertà come creatività trova la sua massima manifestazione nell’arte, e, a mio avviso, massimamente nella musica. Hans Jonas nel 1961 scrisse un bellissimo saggio dal titolo Homo pictor per sostenere che la produzione di immagini da parte degli esseri umani dimostra la loro separatezza, la loro peculiarità, rispetto al resto degli esseri viventi. Si potrebbe sostenere la medesima tesi con ancora più forza scrivendo un saggio dal titolo Homo musicus.
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    La musica mostra che noi nella nostra parte più alta siamo liberi, siamo atto, creazione, spontaneità. Il fare musica indica in modo supremo che siamo liberi, che veramente in noi agiscono le Muse, cioè l’unione del principio divino che dà forma al mondo con la nostra memoria, con la nostra anima spirituale

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    1. Grazie di cuore Rosario per questo brano molto bello di Vito Mancuso. Il legame musica - libertà - liberazione è particolarmente presente nel libro di Zhu Xiao Mei. Cito solo questo passo: "Per il vero saggio, lo intuisco solo adesso, l'esterno non conta. La sua vera forza è interiore. Può essere incarcerato, ripudiato, calunniato: ha capito che la vera libertà è dentro di lui. L'opera che lo esprime al meglio, secondo me, è l'ultima sonata di Beethoven, l'Opera 111..."

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  2. Grazie, cara Rossana, di aver condiviso la vicenda della pianista Zhu Xiao Mei e la sua interpretazione di Bach.
    La recensione che hai fatto del suo libro ne mette in luce interessanti aspetti centrali ed è più che mai vero che "la vera prigionia non rinchiude soltanto il corpo, ma asserraglia l'anima"!
    Per fortuna - come scrive Rosario - l' Homo musicus ci libera!
    Un abbraccio in piena sintonia e grazie di aver citato il mio blog!

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    1. Grazie a te, cara Annamaria: mi hai suggerito un libro davvero importante, non solo per il contesto storico che presenta, come sfondo della vicenda biografica, ma anche per la veridicità dei meccanismi psicologici che descrive (relativi all'ideologia, capace di ingabbiare la mente) e per la dimostrazione del potere salvifico della musica, descritto nell'intreccio con le progressive conquiste di una sapienza interiore (soprattutto nella seconda parte del libro). Un caro abbraccio a te e buona domenica.

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  3. Bach ma anche Beethoven
    Da commento a E.Bloch
    Nel procedere blochiano è ancora la pittura dell’espressionismo a fornire la cifra dell’utopia, l’opera artistica di Franz Marc e di Vasilij Vasil’evič Kandinskij, tanto osteggiata da Lukács, e invece salutata con entusiasmo in quelle scintillanti pagine di Spirito dell’utopia dedicate alla “produzione dell’ornamento”. Bloch non ha dubbi: l’oggetto della pittura espressionista è la Selbstbegegnung (incontro con sé stessi), il riconoscimento della propria essenza e origine, in quanto essenza e origine del mondo. D’un tratto si riconosce nell’oggetto la propria origine inaccessibile e il mondo invisibile che lo anima fa sentire la propria eco.

    Seguendo la stella polare dell’espressione, Bloch riconosce nella musica il luogo privilegiato del plesso “utopia-speranza”. La tensione verso l’espressione del sé, che nelle altre forme artistiche è solo accennata o in latenza, si condensa nel suono in tutta la pregnanza utopica. La musica – soprattutto quella di Beethoven – restituisce il “sogno di una cosa”, e proprio per questo è da lui considerata come l’arte rivoluzionaria per eccellenza. Nel suo permanere aperto, il suono è infatti per Bloch una spedizione verso la nostra dimensione più profonda, verso lo strato più profondo di noi stessi. Non è un caso se, in diversi luoghi della sua opera, Bloch paragona la speranza a una “fuga musicale”, a una polifonia che si svolge in diversi luoghi e tempi ma che, in questo Multiversum stratificato, cerca l’unisono.

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  4. Che meraviglia! La speranza come un "fuga musicale"... Grazie ancora, Rosario. Buona domenica!

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