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martedì 13 ottobre 2020

Covit e coscienza del limite.

Ho trascorso a settembre un paio di settimane in ospedale... di lì nasce questa riflessione sul limite che tutti coinvolge.

Post di Gian Maria Zavattaro

Immagini di Fabio Delvò (qui il sito).

Fabio Delvò, Italia e coesistenza pandemia
1.“Durante la nostra esistenza sperimentiamo innumerevoli confini che ci definiscono, segnalando discontinuità, barriere da infrangere, divieti da osservare, soglie reali o simboliche. I limiti ci circondano e ci condizionano da ogni lato e sotto ogni aspetto, a iniziare dagli immodificabili dati della nostra nascita (tempo, luogo, famiglia, lingua, Stato), dall’involucro stesso della nostra pelle, dagli orizzonti sensibili, intellettuali ed affettivi del nostro animo per finire con il termine ultimo della morte”.

2.”La ripetuta e vittoriosa esperienza del varcare ogni genere di confini (geografici, scientifici, religiosi, politici, ambientali e, recentemente, perfino biologici) avrebbe pertanto finito per generare una sorta di delirio di onnipotenza, di vertiginosa autoesaltazione spinta al punto di negare che, in linea di principio, esistano limiti invalicabili” (R. Bodei, Limite, Il Mulino, Bo, 2018,p.7 e p.8).

Il covid ha demolito, se non spazzato via, l’illusione di poter trasgredire impunemente ogni genere di limiti o di regole. Non ci salveremo dal covid - alla faccia dei negazionisti la cui insensatezza non fa altro che confermare ciò che vorrebbero negare - senza riconoscere i nostri limiti (la mortale caducità delle vite umane e non in astratto, ma la mia, la tua, la nostra¹) senza l’accettazione, libera o costretta, delle regole di comportamento, senza la diffusa consapevolezza dell’inderogabile necessità della corresponsabilità, necessario habitus dell’interagire sociale. A questa tardiva recalcitrante consapevolezza si oppone tuttavia ancora in troppi individui (e mestatori vari) di ogni età, oltre il delirante negazionismo, la presunzione di una conclamata libertà senza limiti che non riconosce margini od obblighi verso chicchessia.

Fabio Delvò, Bivio tra tribù e comunità
Ho trascorso a settembre un paio di settimane in ospedale per sottopormi ad una non più prorogabile operazione chirurgica² (e trascorrerò altri mesi in attività di riabilitazione, facendo la spola tra casa ed ospedale, visto che posso permettermi l’autista personale, mia moglie). Per quanto l’operazione sia stata per mia fortuna rinviata in tempi di acque relativamente tranquille del covid, ho tuttavia avuto un larvato assaggio indiretto dell’incubo solitudine dei degenti in piena pandemia, delle permanenti capillari misure di auto-etero protezione e dell’attività frenetica, senza pause di respiro, da parte di tutto il personale sociosanitario, salvo insignificanti eccezioni. Non farebbe male perciò a tutti coloro che irridono il covid, negazionisti o menefreghisti, passare anche solo un paio di giorni all’ospedale per rinvigorire la propria salute e soprattutto liberarsi da deliranti ossessioni o cieche opacità ed introiettare indelebilmente la memoria sia dell’abnegazione degli operatori negli ospedali ed in ogni critico settore della vita sociale (scuola compresa) sia del calvario dolente e spesso mortifero di migliaia di persone.

Mai come oggi viviamo tra coscienza e incoscienza del limite, tra aneliti di vita e annunci di morte, temperanza suggerita dalla finitudine e desideri-piaceri che ignorano confini, corresponsabilità e indifferenza, egotismo ed altruismo, libertà rispettosa dell’altrui integrità e licenza (“senza serietà”)  di nuocere sino a condannare a morte se stessi e gli altri.


Fabio Delvò, Corso del tempo, autunno
Il limite della finitudine. Ogni giorno facciamo i conti con la durezza dell’impennata dei contagi, ombrata dalla presenza di un’invisibile minaccia aerea, velata dalla consapevolezza che continuerà a dilaniare il mondo, dall’insidia della morte, che spaventa tutti noi, specie se anziani, indifesi e fragili, incerti se eludere il problema e cambiare discorso oppure riflettere sul senso della morte e chiederci lucidamente quanto manca ancora a quel giorno. Il covid ci invita a pensare alla morte, la mia tua nostra morte, appuntamento segreto, certo nel suo presentarsi, incerto nella data, limite ultimo di tutte le cose. “L’esperienza che ciascuno ha della morte è evidentemente sempre quella della morte altrui, che rafforza, di norma, il sentimento di incredulità sulla propria”³. Anzi la catastrofe del covid – è lo spettacolo festaiolo di ferragosto, delle movida et similia - induce al rifiuto, a rimuovere il pensiero della morte, a non pensare, a perdersi nel presente dei liquidi istanti goderecci, a sfuggire in maniera complementare inconsciamente anche alla riflessione sul senso della vita.

La delegittimazione dei limiti. Molti studiosi affermano che una delle cause di abbattimento dei limiti sia la globalizzazione, figlia di un lungo processo che alcuni storici fanno addirittura partire dal collasso della tarda età del bronzo nel 1.177 a.C.. Dunque un continuo millenario progressivo superamento dei limiti in ogni campo: naturale e ambientale, culturale, politico, sociale, etico… che Bodei da par suo illustra analiticamente nei risvolti positivi e negativi. La storia ci mostra che gli uomini non accettano i limiti, non sostano a lungo nel presente, “famelici anche della fame futura”: “il limite diventa immancabilmente provvisorio, si sposta con i soggetti al pari dell’orizzonte, chiude per aprire, è fatto per essere sormontato. Questo è il senso più pregnante della parola progresso”.

Fabio Delvò, Vecchio chitarrista di Picasso
Nel passato la strategia messa in atto consisteva nell’abbassare la soglia delle pretese degli individui piuttosto che alzare quella delle loro attese e il mantenimento dei limiti sul piano dei desideri acquisitivi era dovuto sia all’endemica scarsità economica sia al “modello della filosofia classica basato sugli ideali della temperanza, della medietà (mesotes, virtù che squalifica gli estremi per difetto e per eccesso)”. Oggi invece il consumismo, che si propone come fonte di illimitato godimento non rinviabile, ha favorito “una mutazione antropologica profonda” che incide sulla vita quotidiana di miliardi di persone tanto che “si vede meglio come, nella cultura dell’Occidente, la teoria e la pratica della dismisura abbiano messo velocemente radici sempre più profonde, ottenendo un ampio e riconosciuto diritto di cittadinanza”. ”La delegittimazione dei limiti è stata sancita dal famoso slogan “Vietato vietare” degli studenti parigini del 68. Stravolgendone il senso politico si è, tuttavia, avallata per suo tramite la diffusa abitudine a pensare più alla soddisfazione dei desideri privati che non ai valori politici della solidarietà.[…] Gli individui credono di dover ormai godere della prerogativa imprescindibile di realizzare le proprie aspirazioni e di cercare la propria insindacabile felicità. Il frequente superamento dei limiti sembra risvegliare molti sogni di onnipotenza. Purtroppo in questo mondo dove ‘tutto è possibile’ non si tratta di evitare la trasgressione, anzi la trasgressione è la regola. Si deve semplicemente evitare di farsi prendere:il corrotto impunito è il nuovo eroe di questi tempi senza fede né legge. […] Più in generale è il tendere insoddisfatto di quasi tutti (eccetto coloro che sono talmente privi di speranza da non desiderare nulla) verso un indistinto plus ultra, in una corsa spossante che concede rare soste e trasforma anche i momenti di vacanza nella volontà, alla lettera, di svuotarsi fino a raggiungere uno stato di ottundimento dei sensi e di offuscamento della coscienza”. Come quest'estate ed ancor oggi...

Fabio Delvò, Italia malata

Il tempo del covid tra misura/aidòs e dismisura/anaideia ci sta obbligando a scegliere e non c’è scampo: o il pudore-misura (αἰδώς), la moderazione intesa come valore etico fondamentale che non dovrebbe essere estranea a nessuno, conservatore o rivoluzionario, “abito” che impegna ognuno, al di là di ogni ideologia, al rispetto incondizionato nelle relazioni sociali; oppure il suo contrario (αναίδεια), inverecondia, sfrontatezza, sfacciataggine, mancanza di ogni misura, incuria per l’altro.

Domande. “Come comportarci allora nei confronti dei limiti? Fino a che punto posso inoltrarmi nel raggiungere i miei obiettivi o nell’esaudire i miei desideri? Dove si trova, se si trova, la linea di demarcazione tra il buono e il cattivo, tra il lecito e l’illecito?”¹⁰.

E' possibile una condivisa etica civile? Bodei ritiene di non avere risposte convincenti ed univoche: siamo di fronte ad un “politeismo dei valori”, uno scontro tra posizioni incompatibili. In mancanza di regole oggettive o intimamente condivise, occorre condividere una “morale provvisoria permanente”, da difendere incessantemente dalle prevaricazioni, dagli abusi e dal caos¹¹. Bodei suggerisce di accogliere “con qualche riserva il pur giusto invito di Kant ad uscire con coraggio dallo “stato di minorità” in cui si trova colpevolmente la maggior parte degli uomini”¹². In questa ottica si collocano le norme anticovid attuali che pongono, per usare ancora il linguaggio di Kant, un’unica alternativa: sollen o mussen; tertium non datur. E’ questa la sfida, la scommessa che interessa tutti, ognuno di noi  in questo tempo di covid: l’osservanza dei limiti o è accolta come sollen, dovere consapevolmente assunto per chi ne ha coscienza, oppure come mussen, costrizione eteronoma regolata e dettata dalle norme in vigore con pene e sanzioni (che ci auguriamo siano senza tanti complimenti applicate ai cinici, ai folli menefreghisti con licenza di dannare). L’alternativa all’alternativa non sarebbe altro che un mondo divenuto "caos orribile e maledetto" o l’annientamento al pari di Sodoma e Gomorra. 

Fabio Delvò, Nuovo illuminismo
Torno al Nietzsche della nota1: “Sarei ben contento di far qualcosa per rendere loro il pensiero della vita cento volte ancora più degno di essere pensato”. Come credente cristiano gli do perfettamente ragione se ciò significa entrare in comunione con le “confidenze” degli uomini e delle donne che rischiano ogni giorno se stessi per gli altri, se ognuno di noi ha il coraggio di uscire dal suo autoisolamento per condividere con tutti la gratuità del reciproco rispetto, dell’accettazione dei limiti, dello scambio di sorrisi non fatui di speranza, presagi di comunione, annuncio di possibili cieli e terre nuove, perché “fratres omnes”, come ci rammenta l’enciclica di papa Francesco.

Non mors tua vita mea, ma - gridiamolo fortemente - vita tua vita mea e, al limite, mors tua mors mea!

Note.

1.Caducità non tanto denunciata dall’asettico spaventoso elenco delle vittime del covid quanto dal morire dei propri cari, amici e conoscenti, segni tangibili del nostro essere “quasi la confraternita della morte” di cui parla cfr, F. Nietzsche in G.S. 278, quasi preannuncio dello stordirsi e soverchiarsi del trascorso ferragosto, quasi a scongiurare ed allontanare l’ombra funesta del covid. “E’ per me una melanconica felicità vivere in mezzo a questo gomitolo di stradicciole, di miserie, di voci. Quanto piacere, quanta impazienza e brama, quanta assetata vita ed ebbrezza della vita si rivelano qui in ogni istante! Eppure, per tutti questi esseri tumultuosi che vivono e hanno sete di vita, ci sarà presto tanto silenzio! Come alle spalle di ognuno sta la sua ombra, la sua cupa compagna di viaggio! E’ sempre come nell’ultimo momento, prima della partenza di una nave di emigranti: abbiamo da dirci più cose che mai, l’ora incalza, l’Oceano con il suo desolato attende impaziente dietro questi rumori, così bramoso, così sicuro della sua preda! E tutti, tutti pensano che quanto fino a questo momento è avvenuto sia poco o niente, che il prossimo futuro sia tutto: per cui questa febbre, questo gridare, questo stordirsi e soverchiarsi! Ognuno vuole essere il primo in questo futuro: eppure è morte e silenzio di morte l’unica cosa sicura e a tutti comune di questo futuro! Come è strano che questa unica sicurezza e solidarietà non abbia quasi nessun potere sugli uomini, e che essi siano ben lontani dal sentirsi quasi la confraternita della morte! Mi rende felice vedere che gli uomini non vogliono assolutamente intrattenersi nel pensiero della morte! Sarei ben contento di far qualcosa per rendere loro il pensiero della vita cento volte ancora più degno di essere pensato”.

2. Una magnifica equipe operatoria ad Albenga, quella mattina diretta dal dott. Luca Cavagnaro, giovanissimo e bravissimo chirurgo ortopedico, la cui alta professionalità ed autentica umanità fanno ben sperare per il futuro sul conto delle nuove generazioni di medici. Senza dimenticare l’attenzione (nel significato caro a S. Weil), la gentilezza e l’esemplare I Care della dott.ssa Giuliana Carrega.

3. R. Bodei, o.c., p. 26.

4.cfr Eric H. Cline, 1.177 a.C. Il collasso della civiltà, Bollati Boringhieri, 2014.

5. Bodei offre in proposito analitiche documentazioni alle pp.37-96, alle quali rimando i lettori interessati ai mutamenti progressivi nell’idea di limite in ogni campo, specie nel rapporto uomo-natura (con tutti gli effetti devastanti prodotti dalla predatoria mancanza di misura), nella politica (senza dimenticare l’esaltazione della guerra, gli strumenti di distruzione di massa, le armi nucleari, l’Olocausto, i genocidi e gulag ovunque sparsi...) , nella tecnologia, nella chimica, nei media e nella vita quotidiana … 

6. R.Bodei, o.c.,p.95 e 96.

7.o.c., p.100.

8. o.c., p.102

9. o.c., pp.110,111 e 112

10.o.c., pp115-116.

11. cfr. pp.116-117.

12. o.c. pp.119-120 e aggiunge:” L’attitudine a riconoscere e distinguere i limiti è tuttavia un’arte che va coltivata e praticata con cura lasciandosi guidare nello stesso tempo dalla adeguata conoscenza delle specifiche situazioni, da un ponderoso giudizio critico e da un senso di responsabilità” (p.121).

 

16 commenti:

  1. Post invitante, post meditante... Come d’abitudine, Gian Maria, ma , in questo caso, tocchi le corde di un dramma interiore, che accompagna il vivere, che si fa interrogativo incessante nella tarda età. Di un dilemma civile, che salta agli occhi nei momenti critici...e questo è un momento critico.
    Il paragone della pandemia al momento bellico che si è fatto regge per questo lato, perché l’attacco - non solo alla salute- è notevole ( se ne è fatto interprete il presidente Mattarella: pronto ed intelligente ) e richiede uno Stato di consapevolezza e lo spirito di responsabilità. Quindi: SOLLEN! La temerarietà dei giovani ( almeno loro hanno la scusante della “ prova d’ingresso allo stato adulto) , miseramente esteso agli incoscienti, impenitenti e renitenti ( di renitenza proprio , bisognerebbe parlare, mette a dura prova la coesione sociale necessaria. Vien meno, soprattutto, la fratellanza, lievito di una COMUNITÀ AUTENTICA, come ricorda Papa Francesco. Grazie di avercelo ricordato!🎆

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    1. Incoscienti, senza coscienza; impenitenti, che per negligenza o per aperto rifiuto, non fanno ammenda; renitenti, che contrastano, resistono e rifiutano gli obblighi di legge e le regole basilari di urbanità. Coloro insomma che irridono “la comunità autentica”, mettendo “a dura prova la coesione sociale”. E tuttavia il fatto stesso che ne parliamo indica che la nostra speranza di fraternità rimane integra, pur nel segno dell’ottimismo tragico.

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  2. Caro Gian Maria, nell'augurarti una buona ripresa, ti ringrazio per l'ennesima riflessione che, come sempre, è dono prezioso. Un caro saluto e un abbraccio anche a Rossana.

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    1. Grazie, sempre gentile e cara Paola, che ci segui con ammirevole e tenace continuità. Anche a te un affettuoso saluto ed un fraterno abbraccio da parte mia e di Rossana.

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  3. Questi pensieri scavano le profondità più nascoste della coscienza, aprono spiragli di un sano realismo attraverso i quali può ancora filtrare la luce della speranza. Grazie Gian.

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    1. Grazie, caro Dino con i più sentiti ed affettuosi augurii - un po' in ritardo - per il tuo compleanno..

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  4. Elena Emanuela Ciampoli13 ottobre 2020 alle ore 20:08

    Sempre interessanti i tuoi scritti ! Come non condividere il tuo lucido pensiero,le tue riflessioni anche alla luce dell'Enciclica "Fratelli tutti" del nostro amato Papa

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    1. Sì, nostro amato papa Francesco! Grazie, gent.ma Elena Emanuela.

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  5. Covid con la d.
    Per il resto, grazie.

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  6. Ha ragione. Covid non covit: forse non casuale refuso, segno in actu exercito del limite che abita in ognuno di noi…

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  7. Grazie di tutto cuore per questa analisi chiara e completa del male che oggi ci distrugge come comunità: quello della fine del senso del limite e della trasgressione eletta a sistema per eludere ogni senso di responsabilità in quanto "esseri sociali".

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    1. La denuncia del male è sempre anche annuncio di speranza e di non resa: ,così leggo le sue righe. La comunità abita nelle situazioni che quotidianamente viviamo, ogni giorno silenziosamente si costruisce attraverso un moto respiratorio e non esiste un punto d’arrivo perché il respiro non si ferma… E’ la nostra speranza.

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  8. Scritto davvero toccante, necessario, illuminato. Grazie di cuore. Buona convalescenza e buon tutto.

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    1. Grazie, come sempre, gentile Maria per la sua sintesi eloquente, che ci conforta. Un caro saluto anche da parte della mia Rossana.

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  9. Grazie Gian Maria, un altro post di grande lucidità e serietà e principalmente coscienzioso perché è proprio un fatto di coscienza o di assenza di essa quello che ci riguarda in questo drammatico se non disperante periodo di emergenza. Rimozione e diniego vengono esperiti alla grande. Ma è cosi difficile fare i conti con la realtà? Mi fanno specie certi intellettuali che sembrano mestatori più che meditatori. Lo stesso Cacciari, irascibile e tanto poco filosofico, Giorgio Agamben che si preoccupa massivamente della libertà individuale ma che non ho mai sentito lamentarsi per quanto io ne sappia, della "dittatura telematica" di questa irreversibile condizione di essere stati ridotti a cloni digitalizzati in piena dipendenza digitale mentre il potere anche economico cresce all'impazzata verso i potentati della rete.
    Mala tempora, ma solo un'acquisizione maggiore di coscienza ci può aiutare e non è punto facile.

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  10. Gent.le e cara Laura, trovo terribile e per me incomprensibile questa diffusa incoscienza di rinunciare alla coscienza e a stento mi trattengo dal pensare blasfemo ad una collettiva corsa sadomasochista verso la perdizione espressa dal Quos Iupiter perdere vult dementat prius… Il rischio è ritrovarsi senza accorgersi, noi e soprattutto domani i giovani di oggi, in una miserevole società segnata dalla “dittatura telematica dei potentati della rete”. Punctum dolens, anzi pruriens esattamente evidenziato: quello di renderci tutti “cattivi” nel senso etimologico di prigionieri, schiavi, incapaci di orientarci alla libertà di pensiero e di azione. Sia ben chiaro: resiste comunque imperterrito l’ottimismo tragico di Rossana e mio, la speranza disperante che ci spinge a non recedere – insieme a molti altri - e a non sprecare l’unica vera ricchezza che nessuno può rubarci: la parola che ispira il nostro libero pensare.

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