Iscriviti ai Feed Aggiungimi su Facebook Seguimi su Twitter Aggiungimi su Google+ Seguici tramite mail

Iscriviti alla nostra newsletter!

martedì 10 agosto 2021

E' possibile costruire comunità oggi?

Che cosa significa "costruire comunità" nel nostro tempo.
Post di Gian Maria Zavattaro
Immagini di Ottorino Stefanini (qui il sito).

Ottorino Stefanini, Singolare collettivo
In un mondo dove tutto è visto come provvisorio, dove si chiede disponibilità e flessibilità, dove ci vogliono sempre pronti con la valigia in mano per adattarsi ai bisogni del lavoro, per cogliere nuove opportunità, è possibile "Costruire comunità"? Quali spazi vi sono per prendersi cura degli altri, per assumersi la responsabilità di collaborare a costruire una comunità? La società liquida è la fine delle comunità? Segna il tramonto dell'Uomo come persona e il trionfo dell'Uomo come individuo? Un individuo senza comunità quali punti di forza può sviluppare e a quali debolezze e povertà va incontro? Cosa si può fare per permettere agli uomini di essere persone, parti di comunità dove ci si prende cura gli uni degli altri? Quale ruolo della fede? quale ruolo della cultura? quale ruolo della politica? Quale ruolo delle associazioni? Qual é il nostro ruolo di persone che credono ancora che una vita "ricca" debba essere vissuta nelle comunità degli uomini?”
(Prof. Paolo Gallana, Biella 2013).
 
Quello che oggi noi di “Persona e Comunità” vorremmo comunicare è chiarire, senza pretese astrattive, innanzitutto a noi stessi, il significato di comunità in questo tempo di covid e riflettere  non su che cosa fare ma su come fare per essere-diventare persone e perseverare nel costruire comunità.
È un cammino in atto - per lo più silenzioso - ovunque nel mondo, laddove abitano tenerezza e agape, si lenisce il dolore, si vive la fraternità e sororità. La comunità esiste ed è esistita nella mente e nel cuore di tanti e, anche se realizzata in modo incompiuto in tempi-luoghi circoscritti, rappresenta un'aspirazione fattibile per quanto imperfetta, per il credente anticipazione-presagio del Regno. E tanto per essere concreti chiediamoci allora se la viviamo in famiglia a scuola nel lavoro nel sociale nella fede che professiamo. 
Ottorino Stefanini, Gli altri
"Individuo - persona / società - comunità",
nell’uso comune, sono intercambiabili
In realtà nascondono modi diversi, persino antitetici, di rivelare l’uomo e la donna, le relazioni e l’organizzazione sociale.
Idem per l’alterità "società-di-individui e comunità-di-persone". Essere in società fa parte della vita stessa. Ogni uomo ed ogni donna, sin dalla nascita, fanno in progressione apprendistato della società in famiglia scuola lavoro associazioni tempo libero… sino alla dimensione nazionale-sovranazionale: forme e gradi diversificati di aggregazione racchiusi nel temine ambiguo di "società". La troviamo dappertutto in qualsiasi città o luogo abitato: aggregati di individui e di relazioni tenute insieme dall’utile e da contratti di reciproci interessi, dove si respira il “si dice-si fa” di uomini e donne dalle opinioni ondivaghe legate alle chiacchiere quotidiane dei social, dove non si dà nulla per nulla, i più deboli sono scartati, ognuno fa i conti con la propria solitudine e l'indifferenza degli altri  e ben pochi  osano per strada alzare gli occhi verso l'altro.
L’etimologia di comunità invece ci riserva sorprese: dal lat. commùnitas derivato di communis (cum-munus: “obbligo” ma insieme “dono”). Scopriamo un vocabolo esigente, che disdegna confusioni ed alterazioni. “Communis” indica un legame condiviso di partecipazione e di relazioni vissute sia come dovere - obbligo legato alla funzione che svolgo - sia conseguentemente (per taluni è il significato più antico) imprescindibile fiducioso reciproco apporto. Parola forte, da centellinare e proferire con discernimento, perché richiede in tutti responsabilità, intreccio di dovere liberamente assunto ed insieme promessa-impegno di vicendevoli sollecitudini.
Ottorino Stefanini, Individualità complesse
La comunità è fatta di persone, di volti, nomi, identità differenti; luogo di tensione verso il bene comune, nella gratuità del reciproco impegno, dove privato e pubblico reciprocamente si fecondano, assicurando ad ogni persona il suo posto autonomo ed efficace nell’organismo collettivo. Non rifiuta a nessuno, anche se avverso, il più piccolo dei diritti, perché la sua vocazione è permettere a ciascuno di diventare compiutamente persona, in mezzo ad uomini e donne liberi e responsabili, capaci di autonomo pensiero. Luogo di relazione, comunicazione, accoglimento, dove ognuno mette in comune la generosità, si carica dell’altrui destino di gioia e sofferenza.
E’ possibile costruire comunità di persone in questo tempo di covid? Dipende dal nostro vivere la cultura - la politica - la responsabilità.
1. Costruire la comunità vuol dire fare cultura, quando insieme percorriamo - ognuno secondo le sue competenze e capacità, non importa il suo ruolo sociale - un cammino teso a rispondere nella prassi a “Chi siamo? Che cosa insieme possiamo conoscere? Che cosa insieme dobbiamo fare? Che cosa insieme ci è concesso sperare?” Risposte implicite nei gesti di solidarietà, accoglienza, ospitalità. Si sa: il termine cultura è ambiguo e controverso. Concordo con don Milani (cultura come possesso della parola ed appartenenza alla comunità) e con Gadamer (parola della domanda,  della poesia, del perdono che è come una prima e ultima parola). (2)
2. Costruire comunità vuol dire fare politica consapevole. Intendiamoci: la “politica” è una dimensione ubiqua della vita umana, riscontrabile in una pluralità di livelli di crescente complessità. Non è un settore, ma una funzione; non è relegabile in un luogo preciso (il “palazzo”) perché è l’azione che singoli soggetti gruppi associazioni svolgono nel sistema sociale con diverso grado di incisività. Noi non incontriamo la politica solo quando ci diamo da fare in un partito o quando votiamo: essa abita nelle situazioni che ogni giorno viviamo. Siamo immersi nella politica perché è un aspetto di ogni situazione (famiglia scuola lavoro impresa…): è il nostro arduo mestiere di vivere, crescere, scegliere la giusta direzione del nostro cammino. 
Ottorino Stefanini, L'indifferenza
Consapevolezza scomoda perché assegna
ad ognuno di noi una quota relativa di responsabilità in un mondo sempre più interdipendente Il nostro prenderci cura degli altri, le nostre azioni buone o cattive ricadono sugli altri in tempi e distanze che non sappiamo prevedere, ma ricadono. La comunità è il risvolto sociale di questa interdipendenza: un cammino delicato esposto sempre a regressione.
3. Parola “forte” responsabilità! (3) Parlo della mia tua vostra nostra responsabilità in questo tempo di covid: quella che la coscienza di ognuno di noi liberamente assume in quanto persona in relazione con altre persone vicine e lontane sia nello spazio sia nel tempo, legate dalla comune humanitas, indipendentemente da etnia età condizione scelta religiosa o politica. Responsabilità che ci ha coinvolto e ci coinvolge ogni giorno su tutti i fronti, che ci impegna e ci ha impegnato nelle scelte di vita decisive e nella vita quotidiana.
3.1. Partiamo dalle nostre scelte decisive della vita: la scelta degli studi, dell’università, del lavoro o professione, abbracciare o rifiutare una fede religiosa, emigrare all’estero come tanti giovani e milioni di migranti italiani o restare in Italia, sposarsi, avere o non avere figli, votare programmi e persone con ricadute e ripercussioni diversissime in ogni settore sul futuro della nostra vita e degli altri.
3.2. Nel quotidiano ogni giorno contiamo sulla responsabilità degli altri e gli altri sulla nostra, spesso in modo inconsapevole. Io vado sovente in bici sull’Aurelia assai trafficata e do per scontato che nessuno mi prenda sotto. Salite sul treno bus auto per venire a scuola o in vacanza e date per scontato che il treno non deraglierà o nessuno vi ridurrà a brandelli. Mi sottopongo ad una delicata operazione, fiducioso nel chirurgo. So che la mia banca non farà sparire i miei sudati risparmi. Mangiamo cibo preconfezionato, andiamo al bar al ristorante in farmacia, certi che non saremo avvelenati. 
Ottorino Stefanini, Cappelli bianchi con nastro
Potrei continuare all’infinito. Ci si affida costantemente alla responsabilità degli altri e loro a noi, perché siamo persone in relazione: la nostra vita s’intreccia con la vita altrui, conosciuti o sconosciuti. La qualità della nostra vita quotidiana, salute, benessere dipendono dagli altri e loro da noi. Responsabilità a 360° che non riguarda solo gli altri ma il mondo intero, che va oltre il presente, investe le generazioni future non ancora nate (pensiamo alla crisi ecologica, minaccia nucleare, sfruttamento della terra, mutamenti del riscaldamento climatico, indiscriminato uso delle nuove tecnologie…): prospettiva assai preoccupante perché la responsabilità è per definizione personale e chiama in causa ognuno di noi. Quando diciamo “siamo tutti responsabili” non facciamo della retorica: certo, lo sono molto di più le lobby interessate solo al proprio profitto, ma lo è anche ognuno di noi quando ignora la raccolta differenziata, spreca acqua, sparge ovunque la plastica od ignora la mascherina… Dunque tutti viviamo, volenti o nolenti in una società che si sostiene e si regge su una pratica civile condivisa di comportamenti di reciproca responsabilità. (4) Si salvaguarda la convivenza civile in una società democratica e pluralista solo con un’etica civile della responsabilità condivisa in un comune riferimento di valori, rispettosi delle differenze socioculturali politiche religiose. (5)
3.3. Proviamo a riflettere brevemente su ciò che sta succedendo oggi. Non so se il covid ci abbia trasformato o almeno preoccupato sul versante della responsabilità: alla fine di questa estate avremo o non avremo inquietanti sorprese?  Viviamo forse un po’ più diffidenti nei riguardi delle nostre quotidiane sicurezze e soprattutto del futuro sfuggito al nostro controllo. Più o meno ci siamo accorti della precarietà della vita quando ogni giorno ci sbattono (ci hanno sbattuto) davanti il numero dei morti, ma “l’esperienza che ciascuno ha della morte è evidentemente sempre quella della morte altrui, che rafforza, di norma, il sentimento di incredulità sulla propria”. Tutto è cambiato, nulla è cambiato, qualcosa in noi è cambiato? Il covid comunque è stato ed è “grande rivelatore” di contraddizioni”.
Ottorino Stefanini, Cappelli grigi
Enzo Bianchi scriveva nell’aprile scorso che oggi troppi non conoscono la vergogna: “senza vergogna non c’è neppure responsabilità”. E infatti il covid implacabile ha rivelato il violento contrasto tra vittime - responsabili - cinici - indifferenti. Le Vittime: poveri ancor più poveri, calvario dei familiari intubati, anziani morti in solitudine, quasi la decimazione degli over 80, famiglie senza lavoro, naufraghi ogni giorno nel Mediterraneo, milioni di persone anonime sparse nel mondo affamate umiliate offese sfruttate. I responsabili: adulti e giovani, che ogni giorno vivono una vita straordinaria di servizio, di abnegazione intrisa di generosità gentilezza verso gli altri, riscoprendo la comunità nei valori di accoglienza, ascolto, attenzione alla fragilità umana. I cinici: profittatori truffatori predatori speculatori usurai mafie: non meritano parole. Gli indifferenti e menefreghisti chiusi tra individualismo stordimento “stupidità”: espressione terribile del disagio, irresponsabilità di chi nega l’evidenza del covid in nome di una libertà che non tollera limiti né imposizioni considerate repressive.
Il limite! La libertà può tutto, non deve assolutamente nulla? Non so se il covid abbia spazzato via l’illusione di una libertà illimitata. Ognuno risponda per sé. (6)
4. E allora parliamo di etica della responsabilità (7), ancorando lo guardo all’etimologia: dal lat. respondeo:1. mi impegno a rispondere a qualcuno e a me stesso delle mie azioni e loro conseguenze; 2. prometto, mi obbligo, mi rendo garante, ben reso dal participio passato re-spònsus, donde sposo/sposa suggelli di reciproca garanzia e promessa.
Ottorino Stefanini, Metropolis
Il p
rimo significato (rispondo a…): devo rispondere a me stesso e agli altri delle mie azioni, grandi o piccole, ne sono garante, mi carico delle loro conseguenze per me e gli altri, consapevole dei connessi molteplici aspetti giuridici morali religiosi psicologici.
Il secondo significato rivela la promessa sottesa alla base della responsabilità, contraddistinta - precisa Ricoeur - da struttura triangolare: “io e gli altri dobbiamo essere responsabili” - “gli altri lo possono esigere da me ed io da loro” - “è necessario mantenere le proprie responsabilità per aumentare la fiducia della propria comunità”.
La responsabilità non è un affare privato, trascende la sfera privata, è segnale di autentica comunità umana nella “dimensione fiduciaria”.
Allora hanno ragione Lévinas (impossibile sottrarsi alla responsabilità in quanto viene prima della libertà) e Buber (la libertà senza assunzione di responsabilità è una patetica farsa). La responsabilità è corresponsabilità, costruisce e preserva la comunità. Non tutti ne sono capaci, solo coloro che decidono di incontrare gli altri, ciascuno con la sua storia la sua identità le sue gioie le sue sofferenze.
Senza corresponsabilità non c’è convivenza sociale, non c’è speranza, non si fa niente, non si vive, non si respira, non ci si muove, non si lavora, non si ama, non c’è vita quotidiana.
Qualcuno deve fare il primo gesto, il primo passo. Dovremmo essere noi adulti ed anziani a lanciare questa sfida educativa ed esistenziale ai giovani del ventunesimo secolo (8). Dovrebbe essere il coraggio della nostra normalità ad aprirci all’esistenza degli altri, a creare un legame tra solitudine e solidarietà, prendere parte, provare tormento per il travaglio del mondo, ma con allegrezza del cuore, accettando in sé e negli altri il diritto agli errori e cedimenti, sempre disponibili ad accogliere, a caricarci della gioia e della sofferenza degli altri. Questo è fare ed essere comunità.
 
Ottorino Stefanini, Convivio
Note.
1. Provo a sottolinearne le differenze. Ognuno di noi è individuo uno tra tanti, diviso da ogni altro essere, un'isola, una monade. L’individuo può essere adoperato come mezzo e strumento per consentire ad altri individui di raggiungere il loro fine: profitto, successo, carriera….Nella società degli individui vi è chiusura, ripiegamento su di sé, avarizia spirituale, dispersione, indifferenza; soli contro tutti nella società delle spettanze. Sopratutto l’individuo è chi si rifiuta agli altri, decide di non amare se non se stesso = l’individualismoOgnuno di noi può crescere come persona, per sua natura descrivibile ma indefinibile perché ogni definizione rischia di sclerotizzare ciò che è invece è mobile dinamico in continua costruzione,“movimento dell’essere verso l’essere”. La persona si rivela negli atti che compie, non si esaurisce in quelli: un bacio rivela l'amore, ma non si identifica con l'amore e così la persona non può mai essere veramente compresa a partire da quello che fa, ma da ciò verso cui tende. Se non la si può definire, si può descrivere: è unica, irripetibile, originale, senza prezzo, un assoluto, fine in se stessa;essere dotato di coscienza e di ragione, uomo e donna, che esiste solo verso l'altro. È relazione:la sua prima esperienza è l'esperienza della seconda persona, il Tu e quindi il Noi; è apertura verso gli altri; o; emerge, sporge, non è inglobabile in una totalità; è progetto, scelta, generosità.
2. Sono le tre domande kantiane (dove io diventa noi):Che cosa possiamo conoscere?” (significa interrogarsi sul rapporto tra sapere-potere: informazione, comunicazione, ridondanza, ,persuasione occulta, manipolazione).”Che cosa dobbiamo fare?” (ci si interroga su libertà, legalità, legge scritta e non scritta, bene e male, giusto e ingiusto) “Che cosa ci è concesso sperare (ci si interroga sul nostro esistere, il mondo, la bellezza, l’amore; la speranza radicata nel tempo che è memoria, attenzione, attesa, promessa, utopia e per il credente “la fatica della carità, l’operosità della fede, la fermezza della speranza”. Dunque significa addentrarsi nel territorio della cultura (cfr. H. Gadamer, Elogio della teoria, Discorsi e saggi, Guerini e Associati, Mi, 1990). Parola della domanda: “parola inquieta. che va dal piacere di porre domande dei Greci fino alla sete di sapere della ricerca scientifica che progredisce senza limiti”. Parola della poesia e dell’arte che ha come oggetto il bello: “tutto ciò che, senza essere utile a qualcosa, si raccomanda da sé, talché nessuno chiede a che cosa serve… e che nel momento in cui viene partecipato appartiene a tutti”).Parola della promessa, della riconciliazione e del perdono. “La cultura non è ciò che occupa il tempo libero, ma ciò che può impedire agli uomini di accanirsi l’uno contro l’altro e di essere peggiori di qualsiasi altro animale”. Grazie ad essa “la diversità, l’inestricabile alterità che divide l’uomo dall’uomo, si fa superabile, anzi viene sublimata nella prodigiosa realtà di un vivere e di un pensiero comuni e solidali”. 
3. Non citerò DPR o DPC, che impongono un’impersonale responsabilità, intesa come costrizione da parte delle legittime autorità nazionali o locali, con la minaccia di multe salate o sanzioni penali.
4. L’alternativa è una società globale sempre più indifferente ed inospitale preda del “principio Babilonia” (cfr. Dussel), è il rischio di Sodoma e Gomorra (cfr. P. Levy), distrutte perché non vi era legame sociale, attenzione ospitalità reciproca capace di accogliere tutti in una comunità in cui ciascuno è responsabile degli altri .
5. Cammino iniziato da più di 80 anni, a partire dagli orrori della Shoàh, che ha coinvolto filosofi teologi sociologi antropologi economisti politici di diverse matrici H. Jonas, E. Levinas, M. Vidal...
6. L’esistenza del limite è negata dalla diffusa abitudine a pensare alla soddisfazione imprescindibile di realizzare i propri desideri ed aspirazioni e desideri privati, cercare la propria insindacabile felicità, fino a rimuovere i valori della solidarietà, ferire l’altrui libertà e a sacrificare la vita altrui. Eppure durante la nostra esistenza sperimentiamo innumerevoli limiti che ci circondano e ci condizionano da ogni lato e sotto ogni aspetto: a partire dagli immodificabili dati della nostra nascita (tempo luogo famiglia, lingua, Stato),legati alla salute, ai nostri 5 sensi, alla nostra capacità intellettiva ed affettiva sino all’inevitabile termine ultimo della morte.
7. “Etica” (dal gr. ethos) insieme di valori implicanti decisioni e norme di comportamento valide per sempre, a prescindere da qualunque conseguenza. Etica "civile" ( termine introdotto da Vidal) ossia etica che regge la vita democratica nel rispetto del pluralismo delle differenze e dell'insieme di valori condivisi, atteggiamenti, ideali di corresponsabilità sociale e di collaborazione che danno senso all’appartenenza a una comunità (locale, nazionale, europea o mondiale). Il che significa recuperare, per poter essere cittadini attivi e responsabili, "ciò che debbo fare assolutamente", il primato della mia coscienza come prima-ultima responsabilità non delegabile. Etica civile come consapevolezza dell’esistere dell’altro, che entra nel mio progetto di vita non come strumento per i miei fini ma come determinante e condizionante le me relazioni ed io non posso sottrarmi dal diritto dell’altro verso di me. Per me - ripeto - l’altro sono gli altri, ma per gli altri l’altro sono io. Per tutti allora il baricentro non può che essere l’altro: la salute il benessere la sopravvivenza il confronto del vivere quotidiano non possono funzionare come “aut aut, mors tua vita mea”, ma “et et vita tua vita mea o al limite mors tua mors mea: convinzione base di etica civile, soprattutto confortata dalla pratica quotidiana di miriadi di persone. Etica civile come consapevolezza della responsabilità nel rapporto anche con l'altro che è il mondo naturale. Mi limito a citare Enzo Bianchi: “C’è una conversione planetaria da fare, c’è un nuovo comandamento da proclamare: Amerai la terra come te stesso, e la terra ti ricompenserà”.
8. cfr. IL CORAGGIO, LA SCELTA, LA RESPONSABILITÀ, le sfide educative ed esistenziali per i giovani del ventunesimo secolo, a cura di M. Pandolfelli, Quaderni del centro di documentazione Agesci, ed. Scout Fiordaliso, Roma, maggio 2012.
 
❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋
❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋

4 commenti:

  1. Comunità risente del “peso della storia”, visto che la società moderna ha dovuto divincolarsi dalla tradizione comunitaria sviluppatasi con le religioni monoteiste ( nell’ebraismo: più che comunità, popolo ). La società, nell’epoca della borghesia degli affari e della rivoluzione industriale, ha quindi assimilato il “ credo “ dell’utile proprio.
    Questa la ragione dell’acceso dibattito tra sostenitori della gesellshaft e fedeli della Gemeinshaft. Da qui è discesa l’alterazione dei connotati reciproci.
    Il fulcro della società si riconosce sempre più nell’individuo, dall’altro la comunità elegge la Persona.
    La crisi ha smussato gli angoli e spinge ad una riconciliazione. Restano però tare ed incrostazioni…ecco perché il tuo scandaglio, Gian Maria, giunge opportuno. Condotto con competenza ed illustrato nei concetti portanti, sviluppato fino agli annessi e connessi, è preliminare di una rifondazione e della Rinascita . Grazie 🫂🌈

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Caro Rosario, mi pare che questo tempo di covid abbia ben evidenziato la profonda differenza tra Geséllschaft-Società e Gemeínschaft-Comunità: due storiche visioni-tradizioni che tu hai ben illustrato nella loro difficile convivenza. Resta in ciascuno di noi – ben a ragione – l’impegno a testimoniare una possibile rifondazione-rinascita, che sottoscrivo. Un caro affettuoso saluto, da parte anche di Rossana.

      Elimina
  2. Riflessioni urgenti e impegnative. Propongo, come commento, le parole del filosofo e sociologo francese Edgar Morin che, pur se esplicitano l’impossibilità da parte dell’autore di trovare consolazione in una prospettiva di salvezza trascendente, ci invitano alla solidarietà con tutti gli uomini nostri fratelli:«Siamo perduti, ma abbiamo un tetto, una casa, una patria; il piccolo pianeta in cui la vita si è creata il proprio giardino, in cui gli esseri umani hanno formato il loro focolare, in cui ormai l’umanità deve riconoscere la propria casa comune (…). Dobbiamo essere fratelli, non perché saremo salvati, ma perché siamo perduti. Dobbiamo essere fratelli per vivere autenticamente la nostra comunità di destino di vita e di morte terreni. Dobbiamo essere fratelli perché siamo solidali gli uni con gli altri nell’avventura ignota». (Il testo è 'Terra-Patria', del 1994, scritto in collaborazione con A.B.Kern)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Gentile Maria, grazie di cuore per le sue riflessioni e per avere riportato l’eloquentissimo ed attualissimo testo di Morin: una vera perla... Tanto che abbiamo deciso di rilanciarlo nominativamente su facebook .Unitamente a Rossana le porgo affettuosi e cordiali saluti.

      Elimina