Il silenzio sugli ultimi.
Post di Gian Maria Zavattaro.
Autonomia differenziata |
Insieme a mia moglie - io cittadino del mondo, italiano, piemontese e ligure - ho letto-riletto su Avvenire (28.1.24, p.9) l’articolo (preceduto da prudente nota editoriale) dell'arcivescovo di Napoli Mimmo Battaglia sull’autonomia differenziata deliberata dal Senato: Al Sud porterà solo nuove ingiustizie. Provo a rifletterci sopra. Il vescovo cita di Paolo VI: “La politica è la più alta forma di carità”! Ma subito denuncia il rischio che diventi cembalo risonante di indifferenza ed egoismo. “Come Vescovo della chiesa di Napoli, come figlio di un Sud martoriato e dimenticato vorrei dire una parola ai credenti impegnati in politica”. Nel loro servizio politico -“nel solco di papa Francesco”- essi sono chiamati a “generare solidarietà, unità e pace e non differenze, ingiustizie e conflitti sociali”. Il vangelo impone chiarezza: “La parola che grido con forza e di cui mi assumo la responsabilità come cittadino e come pastore della comunità cristiana è: no! No alla legge della cosiddetta Autonomia differenziata”, progetto politico di divisione, egoismo e di impoverimento di territori già duramente provati. L’ambiguo aggettivo differenziata cela falsità.
L'autonomia creerà differenze tra le regioni |
L’autonomia non sarà uguale per tutte le regioni, “essa appunto differenzierà le regioni”: le forti diventeranno più forti, le deboli più deboli. Nelle istituzioni è la più grave ingiustizia: in Italia “repubblica democratica” significa “unità del Paese nell’eguaglianza e solidarietà”. La differenziata oltre a mantenere le differenze, ancor più separerà, frantumando il sentire nazionale. Bisogna invertire la rotta, partire dal Sud, “quei tanti Sud che sono anche nel nord”: i volti, le storie, la gente considerata numeri da sfruttare nei tempi elettorali e zavorra di cui liberarsi nei tempi di magra. “In una comunità democratica si vive insieme o si muore insieme”. Unica vera forma di autonomia è la solidarietà, tenersi per mano. “Il Vangelo e la costituzione in questi tempi difficili ci tolgano il sonno, rendano inquieti i nostri riposi, divengano un peso sulla nostra coscienza per orientarci con ogni forma, anche la più piccola, al bene di tutti, iniziando dai più fragili”.
A questo punto vorrei ricordare la decisa riflessione di Romano Prodi L’autonomia differenziata e l’aumento delle disuguaglianze nel Paese, di 13 mesi fa (1). Si vogliono “portare nell’ambito del potere regionale molte competenze miste fra Stato e Regione o di esclusiva competenza dello Stato. Il tutto attraverso un ruolo nettamente prevalente del potere esecutivo (DCPM) ed una funzione del tutto secondaria del Parlamento”. Sono “passaggi di competenze molto ampi, nel campo della salute (2), dell’istruzione, dell’ambiente, dei rapporti con l’Unione Europea, della ricerca scientifica, dei porti, degli aeroporti e così via”. Non una parola invece sui campi “dove il decentramento alle regioni non ha dato risultati positivi”. Ciò avviene in un momento in cui sono aumentate le sperequazioni e disuguaglianze (territoriali, sociali, educative di genere, di reddito, dei servizi sociali e sanitari). Le regioni potranno trattenere parte delle imposte generate nel loro territorio, ora destinate allo Stato. “Questo non è un percorso possibile: è invece importante che le nostre regioni possano godere di maggiore autonomia e flessibilità nell’organizzazione del personale e nell’esercizio dell’attività amministrativa”. Non c’è bisogno di una nuova legge: basta applicare l’art.118 della Costituzione e affidarsi ad un potere centrale solido e organizzato, capace di esercitare il coordinamento con la necessaria autorità. “Se non rispettiamo questi elementi di autorità cadiamo semplicemente nell’anarchia”. L’auspicio - inevaso - di Prodi era che “si arrivasse a una riflessione corale su un’autonomia differenziata che offrisse nuovi spazi anche ai problemi specifici del nostro Mezzogiorno”.
Perché le frenesie disincantate stanno prevalendo? Dove ci stanno portando? Forse la risposta si può trovare in Il silenzio crescente sul popolo degli esclusi: riflessione - temo sfuggita a molti - di Diego Motta (Avvenire28.1.24, p.16). La nostra cecità non vede il popolo degli esclusi: ci sono, ma non li vediamo, non vogliamo vederli. Persone, volti, grida di dolore che non fanno notizia: sono gli ultimi, penultimi, terz’ultimi, “chissà quanti altri ancora”. Mondi distanti che sanno di non essere ascoltati, non contano nulla, senza dimora, vivono in strada, in periferie “fisiche o esistenziali”, senza affetti e lavoro: migranti in centri d’attesa di rimpatrio, carcerati, malati in corsia d’ospedale, soli in casa, disabili che non possono muoversi…Popolo degli invisibili. Esclusione che assume "le sembianze dell’apatia generalizzata di tanti giovani e giovanissimi, ripiegati su se stessi". Un generale “sonnambulismo” (v. Censis) di chi rinuncia a partecipare alla vita pubblica, si astiene dal votare e da ogni impegno sociale. Su altri versanti: la voce e reazione dei “vinti della globalizzazione nel mondo occidentale” fino alla ultima protesta e mobilitazione degli agricoltori: rivendicazioni di chi si è sentito tagliato fuori dalle promesse di sviluppo, ribellione sociale che non incide però “sulle domande di senso di valori”. Così il silenzio sugli “ultimi degli ultimi, i più invisibili di tutti” è oggi ancor più stridente, segno di crisi della dimensione comunitaria. “Una comunità che fa finta di non vedere rischia di perdere la propria anima”.
Note.
1. Cfr. Il Messaggero del 18.12.22. Romano Prodi L’autonomia differenziata e l’aumento delle disuguaglianze nel Paese
2. Cfr. Il Messaggero del 5.8.23. Romano Prodi, Sanità in affanno/ L’ombra autonomista sul diritto alla salute: da leggere integralmente. Mi limito a cenni essenziali. L’insoddisfazione nei confronti del Servizio Sanitario Nazionale è ormai un coro generale: allungamento patologico delle liste d’attesa per diagnosi e cure e “progressiva emarginazione dello stesso Servizio Sanitario Nazionale”. Alcuni dati: fra il 2019 e il 2022 la quota di chi paga integralmente le spese per gli accertamenti diagnostici è passata dal 23% al 27,6%, la quota di coloro che pagano integralmente le visite mediche dal 37% al 42%. Troppi italiani sono obbligati a rinunciare alle cure per mancanza di mezzi. Le sempre più alte percentuali di crescita del privato significano “cambiamento radicale del concetto di protezione sanitaria garantita ad ogni cittadino dalla nostra Costituzione,, esempio unico a livello mondiale”. Silenziosamente scivoliamo “da un sistema fondato sulla difesa dei diritti ad un assetto di libero mercato”. La sanità è in difficoltà in tutti i paesi europei, ma la crisi italiana è di gran lunga superiore ad ogni altra. Il futuro è scoraggiante: il Def prevede che la spesa per la sanità pubblica si riduca ulteriormente nel 2024 e nel 2025. Vuol dire restrizione degli investimenti per nuove tecnologie e nuove strutture, mantenimento di un livello di remunerazione del tutto insufficiente per i il personale della sanità pubblica. Ecco allora la continua fuga dei medici e degli infermieri verso l’estero o verso il settore privato. Ecco "la crescita anomala della libera professione “intramoenia”, che permette una maggiore libertà di scelta da parte del paziente ma che, esteso oltre misura, causa un ulteriore allungamento delle liste d’attesa, addirittura con lo stesso medico e lo stesso ospedale". È indispensabile una riforma globale: reperire risorse destinate alla remunerazione di tutti i professionisti della sanità pubblica, riorganizzare la medicina di base... Si tratta di un complesso processo organizzativo di assistenza più efficiente e più vicina ad ogni cittadino .perché possa godere di un autentico diritto alle cure sanitarie. Non semplici aggiustamenti, ma decidere la direzione verso cui si deve indirizzare la sanità. “Preoccupa la proposta di procedere ad un’autonomia differenziata anche nel settore sanitario, aumentando e legittimando normativamente il divario che già oggi esiste fra il Nord e il Sud”. Tanto più se saranno demandati alle Regioni anche i contratti del personale, con remunerazioni legate alle loro possibilità finanziarie. Oltre alla violazione del fondamentale diritto alla tutela della salute, "assisteremo all’esplosione della già esistente migrazione di medici e infermieri, facendo delle Regioni più povere un vero e proprio deserto sanitario”. È bene ricordare che a fondamento del funzionamento della nostra sanità esistono i Livelli Essenziali delle Prestazioni”. "Sono un diritto e non un’opzione.”. Prima di scardinare ulteriormente il SSN è necessario chiarire come mettere in pratica l’inequivocabile articolo 32 della Costituzione: La Repubblica tutela la salute come fondamentale “diritto” dell’individuo e “interesse della collettività”.
Caro Gian Maria, combattiamo la stessa “ battaglia “ ( e mi scuso, per l’infelice metafora, fatta in epoca di saturazione bellica). Osservo però che sarà oltremodo difficile. “Schierate” stanno le armate dei profittatori e dei mestatori , favoriti dal possesso dei mass media, utilizzati come strumenti di persuasione occulta. Chi conosce poi la storia d’Italia per poter aver contezza della strumentalizzazione politica della giusta “ causa del decentramento “? Oggi si è messo di mezzo il calcolo economico della “ più razionale spesa pubblica “ ( a detta dei neoliberisti). Purtroppo la piega del “ disimpegno dei cattolici”, in ragione della completa laicizzazione, dopo la scomparsa della DC, ha aperto un’autostrada alla “ confusione delle carte”. Legittime e ben argomentate tutte le considerazioni svolte a sfavore di questa infausta autonomia differenziata con il perno centrale della solidarietà: ineliminabile ispirazione della politica. Un abbraccio 🤗 S.
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