"Persona e Comunità" è un blog di riflessione culturale, filosofica, religiosa, pedagogica, estetica. Tutti gli articoli sono scritti da: Gian Maria Zavattaro, Rossana Rolando, Rosario Grillo.
“Il vero rischio della cultura contemporanea è il niente. Opinioni in libertà. Il caos non interpretato, mal interpretato, banalizzato. Per opporsi al niente bisogna ricominciare da capo: sapere su cosa possiamo contare… Tornare alla scuola del mondo e delle idee” (M. Benasayag).
“Non possiamo aspettarci di raccogliere i fiori che non abbiamo mai piantato"… - "La speranza non ha niente a che vedere con l'ottimismo: non è la convinzione che ciò che stiamo facendo avrà successo, ma è la certezza che ciò che stiamo facendo ha un significato. Che abbia successo o meno" (V. Havel).
Coraggio: cuori pensanti che sperano, camminano insieme giovani adulti anziani, non si arrendono.
Sfida: provocazione con lo scopo di suscitare comunque reazioni….
Emergenza: situazione critica di estrema pericolosità pubblica che richiede risposte immediate.
Educazione: ex-ducere, condurre fuori (dal caos, dalla frammentazione, e insignificanza).
Insegnare: lat. insĭgnare, imprimere segni.
E evidente, almeno per me e per tanti, che la scuola è strettamente connessa al processo educativo: non è il tutto dell’educazione soprattutto nell’odierno pullulare mediatico dei social, I.A., agenzie alternative dalle forme più svariate: suadenti, seducenti, efficaci e per questo molto pericolose. La scuola - con la famiglia - rimane il “luogo” intenzionale e sociale più rilevante. Insegnare non è solo trasmettere nozioni: è entrare in relazione, interagire, comunicare in una dialettica di messaggi dati e ricevuti, verbali e non verbali, che compongono la comunicazione e relazione interpersonale. L’insegnamento, qualunque cosa si insegni, è sempre proposta di conferimento di senso. Non esiste scuola neutrale: non lo è la confessionale, non lo è la privata, non lo è quella laica Costituzionale. Chi non crede nel compito educativo della scuola (ogni scuola!) offende la propria ed altrui intelligenza, riduce la scuola a non-luogo, (1) che provoca ciò che Mounier, in riferimento a certe perverse prassi educative, chiamava “strage degli innocenti”.
Franco Matticchio
Non credo negli allarmismi apocalittici, perché chi abita (o ha abitato) la scuola vive nel segno della SPERANZA sopra citata, cuore della PAIDEIA. Nessuna accusa a nessuno: tutti siamo coinvolti, tutti siamo responsabili, tutti dovremmo metterci in discussione, perché tutti possiamo fare meglio e di più.
Mi guardo bene dal dissertare sulle recenti novità e indicazioni ministeriali, calate dall’alto e volte a cambiare i programmi delle elementari e medie: no alla geostoria; sì alla storia italica, alla Bibbia, alle poesie, al latino facoltativo…). Mi va invece di raccontare la quotidianità delle sfide educative, così come le vedo oggi da pensionato che continua come volontario ad insegnare e a coltivare la passione per la scuola vissuta in trincea per 16 anni come docente e per 26 come preside.
L'’ambivalenza di questo tempo è segnata dal pullulare di guerre in ogni dove, di maledette stragi di innocenti, disastri ambientali, crisi economica e soprattutto valoriale, del diffondersi della povertà della miseria e disuguaglianze, dei muri, dei lager contro i diversi, del conformismo straripante nel pensiero unico. Tutto ciò incide obiettivamente sul modo in cui alunni-insegnanti-genitori vivono la vita quotidiana della scuola, oggi più che mai zona di frontiera. Ma viviamo anche un tempo interessante, in cui migliaia di docenti - invisibili “segni del tempo” - profilano in questo momento storico e in questa nostra parte del mondo la possibilità di riscoprire o ravvivare il camminare insieme, caratterizzato da reciproca fiducia, corresponsabilità, “resistenza”.
È la sfida nuova ed antica di educare ad essere persone che riempieogni giornata dei docenti. Sfida nuova ed antica, tesa a rispondere alla perenne domanda: è capace la scuola di educare, è capace di promuovere processi di trasformazione personale, di incidere sul sociale? Perché la scuola è “luogo”, direbbe M. Augé (1), non è un “non luogo” in balìa dei pirla e dei marpioni.
Franco Matticchio
Nella nostra “società liquida” - suggestiva connotazione metaforica di Bauman - le nostre “vite di corsa” sembrano ormai la condizione umana generalizzata nell’insicurezza diventata sistema: tutti presi in un perpetuo trafelato presente in cui tutto è affidato al conformismo (cfr: G. Dorfles “Conformisti”: Ci stiamo conformando in tutto: nei pensieri, nelle azioni, negli interessi, nei consumi, negli acquisti di ogni tipo specie neotecnologico, nel comportamento, nel linguaggio, nella vita domestica e in quella pubblica, nei bisogni, nelle aspirazioni. E’ tale e totale il conformismo che non ci si accorge di perdere la possibilità di essere veri, autentici, senza voce propria in un contesto, non univoco né ovunque uguale ma frazionato in un’infinita serie di parti, ognuna delle quali riunisce un gruppo, una fascia della popolazione: da quella dei bambini a quella dei giovani, degli adulti, degli anziani, persino dei defunti. Ognuna mostra come in ogni modo e tempo della vita si obbedisce oggi a quanto giunge dall’esterno, dalle mode, dai persuasori occulti. E i giovani? “Generazione senza maestri”! Secondo le ultime indagini circa il 20% degli adulti non possiede i requisiti minimi per orientarsi nelle decisioni, metà della popolazione adulta non legge né libri né giornali, 12 italiani su 100 sono di fatto a rischio di ignoranza. Formare gli adulti dovrebbe essere una delle scelte da inserire nei compiti più urgenti con i quali dobbiamo confrontarci.
E poi ci sono i genitori – debbo dirlo, soprattutto nei licei - chiusi nella società delle spettanze e dei propri egoismi, che a volte paiono dimenticare di considerare i figli persone da accogliere e non figure da programmare sempre e comunque vincitori, progettati secondo i canoni della “cultura dello scarto”, ove il successo è unico criterio di merito, di validità e legittimazione. Genitori dalla petulanza assolutoria nei confronti dei figli, che percepiscono il docente come giudice incapace, non autorevole, reo di presunti affronti nei riguardi dei figli, in una spirale di reciproci rimproveri e colpe. Così il processo educativo, essenzialmente fiduciario, agonizza.
Franco Matticchio
Eppure perché mia moglie continua a fare l’insegnante mal pagata? Qualche anno fa così rispondeva M. Veladiano, insegnante-scrittrice: ”Mi chiedete se è rimasto qualche buon motivo per fare il nostro mestiere. La mia risposta è che è un’attività libera, che rende liberi e che permette di trasmettere libertà, di favorire l’integrazione. E questo, credetemi, è qualcosa che ormai solo la scuola può fare”.
Oggi più che mai la scuola è zona di frontiera, anche per il gap generazionale. Eppure il gap può essere anche una benedizione, un’opportunità irripetibile per la scuola, spazio-tempo in cui si incontrano più generazioni in un possibile scambio di dare e ricevere, in cui le nuove generazioni possono riconoscere i loro maestri con tutti i loro limiti. La scuola è bella (nel senso greco di bello e buono) perché è lo spazio dell’imperfezione: imperfetta perché viva. Siamo così alla sfida/provocazione più profonda, alla domanda centrale. Che ruolo hanno gli insegnanti nella vita di ogni loro alunno? La risposta risiede nel ruolo che ogni docente ha nella vita dei suoi alunni è in rapporto al suo quotidiano relazionarsi con loro. Non ci sono alternative: il docente è il compagno di viaggio che si rende disponibile a camminare insieme per un tratto della vita, dove il senso del viaggio è nel con-partecipare alla fatica del crescere, dare la possibilità ad ognuno di dire che ce l’ha fatta a capire, ad andare oltre, a pensare, ad amarsi, a farsi capire, a fare un passo avanti nella scalata delle difficoltà, a conoscersi ed infine sentire che proprio perché tu docente lo apprezzi e lo ami, anch’egli si può dare agli altri, perché non si dà ciò che non si possiede. La vera sfida per gli insegnanti e gli alunni è nei 60 minuti di lezione per le trentatré settimane dell’anno scolastico. L’ora di lezione: il centroattorno al quale gravitano tutti gli altri momenti dell’esperienza scolastica, perché lì avviene il passaggio dall’insignificanza al significato, dal “non–luogo” a luogo reale di relazioni stabili, luogo che è tale perché ha continuità nel tempo e in quel tempo avviene quel qualcosa spesso imprevedibile dell’ora di lezione che fa della scuola un avvenimento vivo, un’apertura senza sosta del cuore e dell’intelligenza alle conoscenze, agli incontri, alla meraviglia ed alla bellezza del vivere (anche durante una lezione di matematica o di greco), quando “una parola da nulla diventa un mondo” (don Milani), che è quel che succede se ci si incontra per davvero e niente resta più come prima. Allora forse si capisce la lapidaria espressione di Recalcati“Un’ora di lezione può cambiare la vita”.Pensiamo a quanto ognuno di noi sia stato segnato da certi nostri insegnanti nel bene (ma, ahimè, se cattivi maestri, anche nel male).
Franco Matticchio
Non si tratta di un impossibile idillio. La scuola è fatica, impresa da eroi: eroi gli studenti, i professori, tutti coloro che si aggirano sulla scena di quel dramma quotidiano, a volte tragicomico, che chiamiamo scuola: ragazzi/e eroicamente sottoposti/e a stress molto più grandi rispetto alle passate generazioni perché le tentazioni sono ben di più, eppure resistono, vanno avanti, applicando l’eroica virtù della pazienza, la più biblica virtù e più vicina alla vita degli studenti, quella che già i greci condensavano nel pathèin. Tutto questo richiede un rapporto fiduciario, una convivenza conviviale non conflittuale. Senza fiducia reciproca e senza camminare insieme non si fa niente. Nella scuola tutti insieme - docenti, alunni, genitori - ognuno secondo il proprio ruolo, le proprie competenze e responsabilità, la propria identità e differenza - può percorrere il sentiero di un comune cammino teso a rispondere a Chi siamo? Che cosa insieme possiamo conoscere? Che cosa insieme dobbiamo fare? Che cosa insieme ci è concesso sperare? Sono le tre domande kantiane (dove però, ed è determinante, io diventa noi), perché in ogni scuola di ogni ordine e grado, studiare significa porre con leggerezza queste domande pesanti e porre domande significa addentrarsi nel territorio della vera cultura. Allora si può costruire ogni giorno la scuola come comunità educante, “terra da abitare”, in cui tutti gli adulti (docenti, genitori, nonni, zii, cittadini che hanno a che fare in qualsiasi modo con la scuola) accolgono l’invito ad “avere speranza e fiducia nei giovani ed essere soprattutto testimoni credibili”. Parole come speranza e fiducia sono parole calde, coinvolgenti, indicano una prospettiva, “un luogo non ancora” verso cui camminare insieme, docenti studenti famiglie, per abitarlo insieme estimolare il “voglio apprendere a vivere”. Se nelle nostre scuole manca la passione, il sapere frammentato uccide ogni curiosità: l’unico gioco a nostra disposizione è “l’amore pedagogico” (cfr. L. CORRADINI), la passione. E' Il lavoro quotidiano e silenzioso di tanti docenti dove la scuola è veramente luogo-tempo dell’ospitalità reciproca, dell’ incontro autentico – profondamente agapico - con tutti, specie il disabile, lo straniero, lo svantaggiato.
Franco Matticchio
Che ruolo dunque in conclusione ha l’insegnante nella vita dell'alunno? O è l’incubo persecutorio, il nemico irriducibile con cui, finita la scuola non-luogo, ci si congeda definitivamente, oppure è il compagno di viaggio che qualche volta magari non aveva chiaro il senso del proprio viaggio - che era ed è quello di accompagnare e con-partecipare alla fatica del crescere - ma che continuamente si è reso disponibile con i singoli alunni, ad un cammino di volta in volta insieme chiarito e tracciato…
L’augurio che faccio ad ogni docente che mi legge ed a mia moglie in particolare: vivere insieme, ognuno con la propria sensibilità ed esperienza, la passione come comunione di studium e itinerarium, cammino misto - a volte anche un po’ schizoide - di sofferenze, di emozioni, di speranza anche in questo “tempo di privazione”.
NOTE
1. “Luoghi”: fonti di senso e di relazioni, dove la nostra identità si costruisce a contatto e a confronto con gli altri. I “non luoghi”: privi di relazioni sociali simbolizzate e leggibili. Per quanto non esistano luoghi e non luoghi in senso assoluto e tutto in teoria possa diventare luogo o non luogo, è oggi il consumo ad essere fattore comune ai diversi spazi “non luoghi”. Per un approfondimento vedasi il post Un altro mondo è possibile.
M. Augè riteneva che ci stiamo dirigendo verso un pianeta a 3 classi sociali: 1. i potenti, oligarchia molto disomogenea i cui tratti comuni sono agiatezza materiale, possesso e monopolio disuguale della conoscenza e del patrimonio finanziario. 2. i consumatori (la massa dei “ceti medi”), con diverse situazioni finanziarie, accomunati dal panico di finire tra chi è estromesso dal sistema. 3. gli esclusi dal benessere, dall’accesso alla conoscenza: persone che fuggono dalla fame e dalla violenza, che dormono per terra. elemosinano, escluse da qualsiasi forma di consumo materiale. Disuguaglianze che ritroviamo in ogni settore della nostra vita sociale. “Lo scandalo della profonda disuguaglianza nell'accesso ai beni materiali e alla conoscenza è, al di là di qualunque considerazione morale, uno scandalo esistenziale ed essenziale […] Rifiutare l'umanità ad alcuni vuol dire ucciderla in tutti: è questo il rischio che il progresso obiettivo del sapere dovrà combattere, di fronte tanto alle follie omicide degli uni quanto alla miopia egoista degli altri". Ed ecco la risposta-proposta di Augè, “la sola utopia valida per i secoli a venire, le cui fondamenta andrebbero urgentemente costruite o rinforzate: l'utopia dell'istruzione per tutti, la cui realizzazione appare l'unica possibile via per frenare, se non invertire, il corso dell'utopia nera che oggi sembra in via di realizzazione: quella di una società mondiale ineguale, per la maggior parte ignorante, illetterata o analfabeta, condannata al consumo o all'esclusione, esposta ad ogni forma di proselitismo violento, di regressione ideologica e, alla fin fine, al rischio di suicidio planetario".
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