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martedì 27 maggio 2025

Marrani

Post di Rosario Grillo
 
Rembrandt, Ebrei nella Sinagoga, 1648
“Marrano diventa la matrice dell’ebreo moderno nelle sue molteplici figure. La questione non è piú «che cosa devo fare?», l’interrogativo che nei secoli ha accompagnato l’ebreo, richiamato quotidianamente all’eteronomia dei precetti. Piuttosto, osservandosi nello sguardo scrutatore dell’altro, il marrano si chiede «chi sono io?» La coscienza lacerata dell’ebreo moderno, quel suo angoscioso oscillare tra inserimento e marginalità, deriva dalla scissione marrana.” (v. Marrani: L'altro dell'altro (Vele), di Donatella Di Cesare. Link)

Marrani. Il gruppo di ebrei, così classificato, viene comunemente ricondotto ai traditori dell’identità ebraica. Eppure c’è un modo (una ragione, una via) per cui questo senso comune non regge. Ce lo indica Donatella Di Cesare in un agile saggio con appropriato titolo: Marrani.
Punto di incidenza: la compresenza di un dentro e di un fuori.
Dentro: la segretezza dell’appartenenza alla radice ebraica; fuori: la manifestazione della libertà (di pensiero, di fede)… In definitiva la via della laicità.
Cominciando dall’origine, i Marrani rientrano in quella categoria di ebrei che, per reazione all’espulsione dai paesi occidentali (Spagna, Portogallo, Gran Bretagna…) accettano la conversione forzata (conversos) oppure usano la dissimulazione. Nella seconda modalità assumono quella veste sociale nella quale maggiormente sono codificati (in gran parte ingiustamente).
“Vilmarrano!” uscì di bocca a Francesco Ferrucci (assedio di Firenze) a redarguire il capitano di ventura che lo stava trafiggendo: era un segno della nomea pubblica di disprezzo dei marrani.

sabato 17 maggio 2025

75 anni dalla morte di Emmanuel Mounier

Post di Gian Maria Zavattaro 
Immagini tratte dal sito Les amis d'Emmanuel Mounier
 
Emmanuel Mounier
"Chiamiamo democrazia, con tutti i termini qualificativi e superlativi necessari per non confonderla con le sue minuscole contraffazioni, quel regime che poggia sulla responsabilità e sull'organizzazione funzionale di tutte le persone costituenti la comunità sociale. Solo in questo caso ci troviamo senza ambiguità dal lato della democrazia. Aggiungiamo che, portata fuori strada fin dall'origine dai suoi primi ideologi e poi soffocata nella culla dal mondo del denaro, questa democrazia non è mai stata attuata nei fatti e lo è ben poco negli spiriti. Ci teniamo soprattutto ad aggiungere che noi non propendiamo verso la democrazia per motivi puramente e unicamente politici o storici, ma per motivi d'ordine spirituale e umano." (E. Mounier, Rivoluzione personalista e comunitaria).
 
Quest’anno ricorre il 120° anniversario della nascita di E. Mounier e il 75° della sua morte (non ancora 45enne) per infarto. Mi sollecita la riflessione su di lui anche l’attuale contesto mondiale ben poco democratico (guerre, distruzioni ambientali, stragi di innocenti, odio, indifferenza, servilismo, ipocrisia, idolatria neo-tecnologica, subdole manipolazioni…): una collettiva fuga dalla libertà nel "pensiero unico”, ovvero nel non pensare. Tutto ciò dovrebbe suscitare in noi un corale irrefrenabile grido di invocazione: “riconciliamoci profondamente con la nostra umanità!.
Abbiamo scoperto che anche noi siamo vulnerabili, fragili: è finita da tempo l’illusione d’essere immuni dalla paura, dall’insicurezza, dalla guerra. Eppure continuiamo imperterriti a negare agli altri - i popoli più poveri e svantaggiati - il diritto di sedere alla tavola imbandita del nostro sempre più effimero benessere (1). 
Sapete che cosa scriveva Mounier a J. Guitton nel 1928?  “Io voglio accogliere e donare: è tutto”. E due giorni prima di morire ancora scriveva a l'abbé Depierre: "Io vorrei con mia moglie dare almeno un po', prepararmi al giorno in cui gli avvenimenti forse ci spingeranno a donare tutto". A questa istanza  è rimasto fedele per tutta la vita.
Dodici anni fa iniziava l’azzardo del nostro blog Persona e Comunità, richiamo al “personalismo comunitario” di Mounier (2) da me  scoperto quasi casualmente nei miei anni universitari: un'avventura iniziata con la mia tesi di laurea su Mounier, subito divenuto stimolo-guida a ricercare la mia strada di uomo e di credente. La testimonianza - scriveva - è “forma pura dell’azione”, legata alla condizione storica della nostra relazione con noi stessi e gli altri; è proiezione verso una società comunitaria sottratta ad ogni tirannia, società di creazione, non di consumo, perché la testimonianza è tale solo se è impegno responsabile, gratuito incontro agapico: (engagement, affrontement,  parole intraducibili in italiano). Nel mare magnum di internet il nostro piccolo blog (Rossana-Rosario-Gian Maria) è umile dimesso pervicace modo di questa presenza.

venerdì 9 maggio 2025

La madre simbolica

Post di Rossana Rolando
 
Odilon Redon, Due giovani donne tra i fiori, 1912
C’è un racconto biblico che, meglio di tanti discorsi, sembra raccogliere il carattere duplice della maternità, l’ambivalenza che si racchiude in ogni dimensione esistenziale originaria. Nella Bibbia, così come nella grande letteratura, si presentano personaggi, situazioni, “luoghi”, “tipi” che comunicano significati universali - al di là della distinzione tra credenti e non credenti - perché toccano l’umano e insegnano a riconoscerne la complessità. Il brano in questione è tratto dal primo libro dei Re. Lo riporto qui, per poi cercare di coglierne il messaggio sotteso (1 Re 3, 16-28).
 
Un giorno andarono dal re due prostitute e si presentarono innanzi a lui. Una delle due disse: «Ascoltami, signore! Io e questa donna abitiamo nella stessa casa; io ho partorito mentre essa sola era in casa. Tre giorni dopo il mio parto, anche questa donna ha partorito; noi stiamo insieme e non c'è nessun estraneo in casa fuori di noi due. Il figlio di questa donna è morto durante la notte, perché essa gli si era coricata sopra. Essa si è alzata nel cuore della notte, ha preso il mio figlio dal mio fianco - la tua schiava dormiva - e se lo è messo in seno e sul mio seno ha messo il figlio morto. Al mattino mi sono alzata per allattare mio figlio, ma ecco, era morto. L'ho osservato bene; ecco, non era il figlio che avevo partorito io». L'altra donna disse: «Non è vero! Mio figlio è quello vivo, il tuo è quello morto». E quella, al contrario, diceva: «Non è vero! Quello morto è tuo figlio, il mio è quello vivo». Discutevano così alla presenza del re. Egli disse: «Costei dice: Mio figlio è quello vivo, il tuo è quello morto e quella dice: Non è vero! Tuo figlio è quello morto e il mio è quello vivo». Allora il re ordinò: «Prendetemi una spada!». Portarono una spada alla presenza del re. Quindi il re aggiunse: «Tagliate in due il figlio vivo e datene una metà all'una e una metà all'altra». La madre del bimbo vivo si rivolse al re, poiché le sue viscere si erano commosse per il suo figlio, e disse: «Signore, date a lei il bambino vivo; non uccidetelo affatto!». L'altra disse: «Non sia né mio né tuo; dividetelo in due!». Presa la parola, il re disse: «Date alla prima il bambino vivo; non uccidetelo. Quella è sua madre». Tutti gli Israeliti seppero della sentenza pronunziata dal re e concepirono rispetto per il re, perché avevano constatato che la saggezza di Dio era in lui per render giustizia.

venerdì 2 maggio 2025

La speranza che cura

Post di Rosario Grillo
 
Johann Heinrich Füssli, La solitudine all'alba, 1796
La malinconia: patologia o sentimento? In un caso si fa riferimento alla dottrina degli umori e si spiega la malinconia come effetto del predominio della nera bile. Nell’altro si dà maggiore risalto alla via sentimentale: nel malinconico viene rappresentata una persona che filtra l’esistenza con tale sentimento. La fusione dei due avviene spesso e spiega la casistica di tanti suicidi e del fenomeno degli hikikomori.
Neuroscienze, psicanalisi e sociologia si sono impegnate a circoscrivere il fenomeno, per dare spiegazione dei moventi, cosicché ci troviamo spinti: o a trovar la radice nella repressione libidica (Freud e il perturbante) o a prendere coscienza della virtù del sentimento della malinconia, del suo ricco potenziale (Romanticismo ed un recente saggio di Susan Cain) (1).
Risulta ben chiaro che la sua diffusione è tipica di epoche di transizione: in questa luce è una spia significativa. (2)
Alla pari con la malinconia può stare l’angoscia. Il concetto di angoscia ha riempito i libri di filosofia a cominciare da S. Kierkegaard e di sicuro si trova la ragione nel declino dell’ottimismo illuminista legato al concetto di progresso. (“le magnifiche sorti e progressive”) (3).