Hieronymus Bosch, Invidia |
H. Bosch, Invidia, particolare |
H. Bosch, Trittico del giardino delle delizie, Inferno musicale, particolare (L'uomo albero nella cui cavità alloggiano ubriaconi e biscazzieri) |
«Più che un vizio, l’invidia è un meccanismo di difesa, un tentativo disperato di salvaguardare la propria identità quando si sente minacciata dal confronto con gli altri. Un confronto che l’invidioso da un lato non sa reggere e dall’altro non può evitare, perché sul confronto si regge l’intera impalcatura sociale […]. E chi dalla comparazione si sente diminuito ricorre all’invidia per proteggere il proprio valore attraverso la svalutazione degli altri».
H. Bosch, Trittico del giardino delle delizie, Inferno musicale, particolare (La superbia) |
L’invidia non permette di riconoscere il merito di altri perché tale merito è vissuto come un’impossibilità per sé. Con il sostegno della superbia - da cui deriva il senso della propria superiorità - la persona invidiosa non può riconoscere in altri la grandezza perché questa metterebbe in crisi la stima di sé. Il soggetto invidioso “deve” distruggere l’altro perché il successo dell’altro è vissuto come una diminuzione di sé. Dunque a ragione l'invidia corrisponde a un “meccanismo di difesa” perché in gioco è il proprio io che non riesce ad espandersi come vorrebbe (o per limiti propri, difficili da vedere e accettare, o per limitazioni imposte dalla società) e – se vuole rimanere in equilibrio, uscendo indenne dal confronto – non può riconoscere ad altri una realizzazione impossibile per sé. Passione triste quella dell’invidia che, a causa della propria impotenza mascherata e incomunicabile, non può guardare con libertà al valore dell’altro, non può ammirare apertamente, non può riconoscere e ringraziare.
H. Bosch, Trittico del giardino delle delizie, Giardino dell'Eden, particolare (Roccia antropomorfa) |
C’è un passo illuminante di Salvatore Natoli che propone forse una traccia per ripensare una società meno ammalata di invidia, più capace di venerare la grandezza e il valore, quella in cui gli uomini “non siano valutati per le mete che raggiungono”, ma siano “considerati per quello che sono in se stessi”.
I riferimenti bibliografici rimandano a Umberto Galimberti, I vizi capitali e i nuovi vizi, Feltrinelli, Milano 2008, p. 31 e Salvatore Natoli, Dizionario dei vizi e delle virtù, Feltrinelli, Milano 2009, p. 64.
Sul tema si rinvia anche alla bella recensione del blog Mari da solcare, i come invidia: diagnosi e terapia.
Sul tema si rinvia anche alla bella recensione del blog Mari da solcare, i come invidia: diagnosi e terapia.
"educare al riconoscimento del proprio limite"... perché ognuno ne ha! Quel conoscerci e conoscere le peculiarità proprie e altrui per uno scambio proficuo che abbia come scopo la crescita insieme... Mi viene in mente la scuola.." educare ".. portare fuori... o solo preoccupati di veicolare " informazioni " solamente " riempiendo contenitori "?
RispondiEliminaGrazie Rossana, un caro saluto
Sì, hai toccato il punto più critico, più delicato… soprattutto in ambito educativo. Ad un certo punto del suo discorso sull’invidia Salvatore Natoli dice anche: “Se la meta è troppo alta per la propria forza vale la pena rinunciarvi e la rinuncia non è sconfitta, bensì misura, atto di ragione. Ma l’equilibrio razionale che proporziona il bisogno di sviluppo al limite non è facile da attingere e non solo perché non si è sempre nella condizione di valutare adeguatamente il peso della propria forza rispetto all’oggetto del desiderio, ma perché la rinuncia alla meta del desiderio è vissuta come sconfitta in confronto alla medesima meta attinta da altri”. La nostra psiche è molto complicata e la società in cui viviamo molto competitiva… questo rende tutto più difficile. Grazie, un caro saluto anche a te.
EliminaHa ragione Galimberti nel tratteggiare l'invidia come meccanismo di difesa triste, perdente, inutile, dannoso ... Bellissimi e appropriati i richiami all'arte, surreale e modernissima, di H. Bosch. Grazie anche per il riferimento alla mia recensione del saggio "i come invidia". Buon fine settimana. Cordiali saluti.
RispondiEliminaMi pare molto interessante il discorso di Galimberti (e quello di Natoli da cui attinge largamente dichiarandolo subito) perché sposta la trattazione dall’ambito morale - l’invidia come vizio - all’ambito patologico: l’invidia e gli altri vizi capitali tratteggiati come malattie spirituali. Grazie. Cordiali saluti.
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