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martedì 8 marzo 2016

Invidia: meccanismo di difesa.

Hieronymus Bosch, 
Invidia
In un noto dipinto di Hieronymus Bosch l’invidia (da in e vǐdēre, composto dal verbo vedere e dal prefisso “in” nel significato di “in, dentro, sopra o di negazione: non poter vedere, odiare) viene rappresentata come desiderio di possedere quello che altri hanno, quello che sta sopra, in termini di ricchezza e di gerarchia sociale. In questa accezione, essa ha storicamente avuto una funzione di rivendicazione della uguaglianza e della giustizia, assumendo quindi una funzione addirittura positiva. 
H. Bosch, 
Invidia, particolare
Ma è nella dimensione privata dei rapporti interpersonali che l’invidia esprime tutto il suo potenziale distruttivo e può definirsi come “malattia spirituale” delle relazioni.  Essa può, infatti, attraversare i rapporti sociali più prossimi e inquinare le relazioni più intime, finanche le stesse amicizie. Per questo, nella tradizione filosofica e religiosa l’invidia è annoverata tra i vizi capitali. Denominarla “malattia spirituale” o “dolore della mente” aiuta a comprendere che non è solo questione riguardante la sfera morale dei comportamenti, ma è situazione relativa ad uno stato interiore che impedisce di vivere la pienezza del proprio essere, nel penoso tormento di impotenza e limitazione.
H. Bosch, Trittico del giardino 
delle delizie
Inferno musicale, particolare 
(L'uomo albero nella cui cavità  
alloggiano ubriaconi e biscazzieri)
Meglio di altri Galimberti l’ha definita:
«Più che un vizio, l’invidia è un meccanismo di difesa, un tentativo disperato di salvaguardare la propria identità quando si sente minacciata dal confronto con gli altri. Un confronto che l’invidioso da un lato non sa reggere e dall’altro non può evitare, perché sul confronto si regge l’intera impalcatura sociale […]. E chi dalla comparazione si sente diminuito ricorre all’invidia per proteggere il proprio valore attraverso la svalutazione degli altri».

H. Bosch, Trittico del giardino delle delizie
Inferno musicale, particolare 
(La superbia)

L’invidia non permette di riconoscere il merito di altri perché tale merito è vissuto come un’impossibilità per sé. Con il sostegno della superbia - da cui deriva il senso della propria superiorità - la persona invidiosa non può riconoscere in altri la grandezza perché questa metterebbe in crisi la stima di sé. Il soggetto invidioso “deve” distruggere l’altro perché il successo dell’altro è vissuto come una diminuzione di sé. Dunque a ragione l'invidia corrisponde a un “meccanismo di difesa” perché in gioco è il proprio io che non riesce ad espandersi come vorrebbe (o per limiti propri, difficili da vedere e accettare, o per limitazioni imposte dalla società) e – se vuole rimanere in equilibrio, uscendo indenne dal confronto – non può riconoscere ad altri una realizzazione impossibile per sé. Passione triste quella dell’invidia che, a causa della propria impotenza mascherata e incomunicabile, non può guardare con libertà al valore dell’altro, non può ammirare apertamente, non può riconoscere e ringraziare.
H. Bosch, 
Trittico del giardino delle delizie
Giardino dell'Eden
particolare
(Roccia antropomorfa)
 
Come si guarisce, se si guarisce, dall’invidia? Come si può educare al riconoscimento del proprio limite? Come distinguere tra desiderio e possibilità ragionevole di realizzazione di esso? Soprattutto in una società che pone la competizione alla base delle relazioni, scartando chi non ha successo?...
C’è un passo illuminante di Salvatore Natoli che propone forse una traccia per ripensare una società meno ammalata di invidia, più capace di venerare la grandezza e il valore, quella in cui gli uomini “non siano valutati per le mete che raggiungono”, ma siano “considerati per quello che sono in se stessi”.


L'arte e l'inconscio.
Le opere cui abbiamo fatto riferimento in questo post corrispondono a due momenti idealmente piuttosto lontani della vita artistica di Heronymus Bosch, pittore olandese vissuto tra il 1450 e il 1516 ca. 
Hieronymus Bosch, 
Invidia
La prima opera (forse giovanile) rappresenta l’invidia in una forma narrativa facilmente decodificabile, con espliciti nessi logici. Tutti guardano sopra, verso qualcosa che vorrebbero avere e non hanno: la fanciulla al davanzale discorre con un giovane di cui conosce la ricchezza, simboleggiata dalla borsa in bella vista;  i due cani, incapaci di godere delle ossa lì davanti, guardano l’osso sopra di loro, tenuto in mano da un uomo il quale, affacciato ad una finestra insieme alla propria donna, rivolge  lo sguardo torvo ad un signore che gli sta sopra nella scala sociale, così ricco da essere preceduto dal servitore con un grosso sacco sulle spalle.  
H. Bosch, 
Trittico del giardino delle delizie
Inferno musicale, particolare 
(La superbia)
La seconda opera Trittico del giardino delle delizie – da cui sono tratti alcuni dettagli riportati, appartiene ad un Bosch più maturo - visionario, allucinato, carico di ermetismi e simbolismi nei quali viene meno ogni consequenzialità logica - che a ragione è stato considerato scopritore dell’inconscio in campo artistico (si noti l’albero uomo con le sregolatezze del suo ventre o la roccia antropomorfa lambita da oscuri mostri in forma di animali) e precorritore del surrealismo. Ed è certo in questo secondo Bosch che sono evocate tutte le malattie spirituali della nostra mente, come attesta il corpo esangue della superbia fatta preda di demoniche spirali.

I riferimenti bibliografici rimandano a Umberto Galimberti, I vizi capitali e i nuovi vizi, Feltrinelli, Milano 2008, p. 31 e Salvatore Natoli, Dizionario dei vizi e delle virtù, Feltrinelli, Milano 2009, p. 64. 
Sul tema si rinvia anche alla bella recensione del blog Mari da solcare, i come invidia: diagnosi e terapia.

Post ed iconografia di Rossana Rolando.

4 commenti:

  1. "educare al riconoscimento del proprio limite"... perché ognuno ne ha! Quel conoscerci e conoscere le peculiarità proprie e altrui per uno scambio proficuo che abbia come scopo la crescita insieme... Mi viene in mente la scuola.." educare ".. portare fuori... o solo preoccupati di veicolare " informazioni " solamente " riempiendo contenitori "?
    Grazie Rossana, un caro saluto

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    1. Sì, hai toccato il punto più critico, più delicato… soprattutto in ambito educativo. Ad un certo punto del suo discorso sull’invidia Salvatore Natoli dice anche: “Se la meta è troppo alta per la propria forza vale la pena rinunciarvi e la rinuncia non è sconfitta, bensì misura, atto di ragione. Ma l’equilibrio razionale che proporziona il bisogno di sviluppo al limite non è facile da attingere e non solo perché non si è sempre nella condizione di valutare adeguatamente il peso della propria forza rispetto all’oggetto del desiderio, ma perché la rinuncia alla meta del desiderio è vissuta come sconfitta in confronto alla medesima meta attinta da altri”. La nostra psiche è molto complicata e la società in cui viviamo molto competitiva… questo rende tutto più difficile. Grazie, un caro saluto anche a te.

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  2. Ha ragione Galimberti nel tratteggiare l'invidia come meccanismo di difesa triste, perdente, inutile, dannoso ... Bellissimi e appropriati i richiami all'arte, surreale e modernissima, di H. Bosch. Grazie anche per il riferimento alla mia recensione del saggio "i come invidia". Buon fine settimana. Cordiali saluti.

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    1. Mi pare molto interessante il discorso di Galimberti (e quello di Natoli da cui attinge largamente dichiarandolo subito) perché sposta la trattazione dall’ambito morale - l’invidia come vizio - all’ambito patologico: l’invidia e gli altri vizi capitali tratteggiati come malattie spirituali. Grazie. Cordiali saluti.

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