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venerdì 1 novembre 2019

Empatia, chi sei?!

Per comprendere il significato di empatia è necessario diestinguere tra emozione e sentimento: due parole che veicolano significati molto diversi.
Post di Gian Maria Zavattaro 
Immagini delle illustrazioni di Marco Somà  (qui il sito).

Marco Somà
Mi sembra un segnale positivo il fatto che, per quanto lentamente, si stia diffondendo in non poche persone la sensazione, anzi la convinzione, che troppi termini alla moda, luoghi comuni e frasi fatte nascondano in realtà il vuoto, inondando la rete di una spirale mimetica divenuta contagiosa malattia endemica.  Questi vocaboli fanno molto chic, suonano bene, appunto a vuoto, e anche se non si capisce che cosa vogliano dire proprio per questo sono utilissimi diffusori del pensiero unico (il cui imperativo è: “non pensare!”), tradimento della Parola e delle parole. Non è solo confusione linguistica di monologhi tra ciechi e sordi: è paradossale sintomo di incomunicabilità  e proprio in mezzo al ridondante frastuono della società delle comunicazioni.
Guardandomi bene dalla nebbia che avvolge l’indecente vergognoso quotidiano spettacolo dei vaniloqui politici (grazie al cielo, con qualche eccezione che ci apre alla speranza), mi limito a citare alcuni (chiamiamoli così) effetti acustici come emozione, sentimento, empatia ridotti a incongruenti suoni articolati, bellamente intercambiabili.
Marco Somà
Prendiamo emozione e sentimento: di fronte alle stesse persone, ai medesimi incontri, visioni, eventi lieti o terribilmente funesti, dovrebbero in teoria denotare e connotare atteggiamenti ben diversi: emozione - anche quando è passione ammirevole e persino encomiabile - è reazione centrata sul proprio patos che si consuma nel liquido istante di un battito di cuore o di pietosa lacrima e svanisce per lasciare il posto alla prossima emozione; sentimento è attitudine acquisita, scelta interiorizzata di apertura all’altro nel bene e nel male, persistente passione fondata sulla memoria e soprattutto sulla durata.
Simile ed equivalente è il travisamento di empatia, confusa e vissuta come emozione transeunte e non invece com-passione per l’altro. L’empatia (gr. in, dentro, e  pathos, sentire soffrire, lett. “sentire dentro l'essere con l’altro”) è ciò che caratterizza, differenziandola rispetto ai mestieranti, l'autentica credibile sincera relazione interpersonale sociale politica: vale per chiunque è impegnato nel sociale, dal presidente del consiglio al sindaco educatore preside docente assistente sociale medico infermiere volontario...
Marco Somà
L’atteggiamento empatico può essere diversamente vissuto da ciascuno di noi, con la propria irripetibile storia cultura sensibilità, ma lo si può riconoscere da alcuni segni. 
Il primo -“conditio sine qua non”- è la congruenza: coerenza con se stessi, attenzione a ciò che succede dentro di noi per identificare i nostri punti deboli, i nostri spazi protetti vulnerabili, le nostre maschere, i nostri errori. E’ ricerca di una verità sempre maggiore, disposti a mutare le proprie opinioni o convinzioni. E’impegno morale prima di tutto verso noi stessi (“caritas incipit ab egomet”) perché non si può conoscere, capire e accettare l’altro, se per prima cosa non si conosce, non si capisce, non si accetta se stessi, perché non si può donare agli altri ciò che non si è. Scriveva E. Fromm: “essere capaci di aver cura di sé è il requisito per poter essere capaci di aver cura degli altri”.
Marco Somà
Il secondo segno è l’habitus dell’ascolto. Vuol dire far tacere i propri pregiudizi (sia negativi sia positivi) per esporci al rischio di lasciarci invadere dall’altro; vuol dire silenzio in noi stessi per incontrarlo, fare posto alla sua parola, al suo volto, al suo sguardo, alla sua voce, al suo corpo, ai suoi gesti. So bene quanto sia difficile ascoltare: lo sperimento ogni giorno quando smetto di ascoltare il mio interlocutore perché le sue idee mi suonano errate, mi urtano e provocano la ricerca distraente di contro-argomenti; oppure quando, sicuro della mia perspicacia, credo di averlo subito capito e, prima che abbia finito, già ho pronta la risposta, lo interrompo ed in ogni caso non l’ho ascoltato. 
Comprensione e attenzione sono il terzo segno. Comprensione come com-prendere, prendere insieme; attenzione nel significato profondo di “tendere a”, avvicinarsi per raggiungere insieme ciò che prima non era, capire il mondo dell’altro stando attenti a tutta la persona e, al di là delle parole, cogliere il suo orizzonte di riferimento "come se" fosse il proprio. Così diventa possibile letteralmente com-patire, "come se" fossi l'altro (in una sorta di “calore freddo” scriveva Rogers), senza mai rinunciare alla propria identità ed alterità rispetto all’altro, senza mai cadere nella patologia del perdersi e nell'immedesimarsi nell'altro.
Marco Somà
L’empatia non è una forma innata: è mentalità, atteggiamento di fondo che non si improvvisa; è disposizione anteriore all’agire ch si fa pratica dell'ospitalità dell’altro (compreso il "diverso") nel proprio orizzonte personale e professionale e si costruisce poco alla volta nelle circostanze in cui ci si trova; è cultura, essenzialmente educazione.
Congruenza, ascolto, comprensione, attenzione “come se”: un cammino che ogni giorno mi sforzo di praticare, con alterne vicende… 

Note.
1.  Altro è sapere astrattamente che cosa è l’empatia, altro è praticarla. Interessante a questo proposito - anche se, per quanto mi riguarda,  non sempre convincente - il saggio di Laura Boella, Sentire l’altro. Conoscere e praticare l’empatia, ed. R. Cortina, Milano 2006, pp.119. Numerosi i riferimenti a pensatori quali E. Stein, Heidegger, Husserl, Merleau-Ponty…  Per chi volesse approfondire, penso possa essere utile l'audiovideo della sua conferenza tenuta il 30.5.2018 a Pistoia: qui.

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6 commenti:

  1. L'empatia non dovrebbe essere universale e non caratteristica di "cetegorie"? Cioè, non viene prima dello scopo della vita ma è slancio verso quello scopo?

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  2. Caro Daniele, condivido con te la preoccupazione di non ritenere l’empatia caratteristica esclusiva di qualche categoria. E’ a mio avviso una possibilità, una conquista, aperta a tutte le persone in relazione con l’altro, all’io in rapporto al tu. Naturalmente, secondo me, dovrebbe contraddistinguere - quasi regola etica, deontologica - le relazioni che si professano di aiuto e di servizio alle persone. Un caro saluto da parte di Rossana.

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  3. A volte proprio le professioni di aiuto e di servizio sono carenti di empatia, perché la relazione diventa di tipo professionale, senza coinvolgimento. Sembrerebbe una contraddizione eppure ognuno di noi ha fatto esperienza di relazioni di aiuto in cui non ha trovato la vicinanza che cercava,
    quasi una meccanicita' invece di una autentica relazione.
    Già la semplice comunicazione richiede attenzione e capacità di ascolto dell'altro.
    Penso ci sia un'attitudine all'ascolto e alla capacità di sentire "l'altro", come quella di entrare in contatto con noi stessi. Diceva Heidegger che
    " l'altro" è come l'uovo.Perché si schiuda bisogna fargli la temperatura giusta".La capacità di portare la relazione a quella " temperatura" di intimità che consenta la condivisione di un disagio, di un dolore, di un peso è ciò che caratterizza l'empatia.

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    1. Anch’io sovente, purtroppo, ho sperimentato direttamente sulla mia pelle ed indirettamente assistendo a scene penose la “meccanicità” di uno pseudo aiuto. In compenso, recentissimamente, ho vissuto un’esperienza indimenticabile di vera empatia e di alta qualità professionale di un giovane medico nei miei riguardi. E il fatto che fosse e sia giovane è il miglior auspicio per il futuro…

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  4. Confermo quel che ho già esternato : ritrovo nella tua argomentazione, Gian Maria, una chiarezza concettuale, che discende dalla pratica di questa dote. Ma mi soffermo a considerare la natura sfuggente della empatia . Come tu scrivi, non si tratta di qualcosa di innato, quindi abbiamo a che fare con la prassi. È una dote che va esercitata di continuo, per una continua progressione. La difficoltà sta in quel con- sentire. Di sentimenti si tratta. Ma quel con-sentire prospetta non un processo cognitivo ( è comune invece il significato dato al condividere come comunanza di opinione) ma un processo sentimentale : “sentire dentro il pathos di altro o altri “. La sottigliezza , mentre indica la sua “ speciale” natura, ne qualifica una non facile disposizione. ( Mi sono imbattuto in una argomentazione data con strumenti del cognitivismo e non mi ritrovo d’accordo. Perciò riscrivo che la esercitazione continua, di cui sopra, riguarda non l’intelletto, la corteccia cerebrale con il meccanismo neuronale, ma sempre e solo la sfera sentimentale).

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  5. Caro Rosario, hai perfettamente ragione: empatia è sentimento, con-sentire, un processo sentimentale tu dici, che associo – così d’istinto - al vangelo di Matteo di ieri, le Beatitudini. Un lungo possibile cammino in salita. Ciao.

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