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giovedì 3 giugno 2021

L'anima del volontariato.

Post di Gian Maria Zavattaro.  
Immagini delle illustrazioni di Anna Godeassi (qui il sito).

Anna Godeassi, Il muro dell'amicizia, illustrazione per Nexus Comm
Il volontariato: che cosa è e che cosa non è?  Il volontariato è un fenomeno complesso, non univoco, differenziato in una varietà impressionante di tipologie e tuttavia riconoscibile in alcuni valori comuni, specie per quanto riguarda il sociale. Ilvo Diamanti così lo descrive: “un modello di azione, individuale e sociale, orientato allo svolgimento di attività gratuite a beneficio di altri o della comunità”.  E’ un mondo per lo più silenzioso che agisce  ovunque tutti i giorni nell’intero Paese. Tanto silenzioso quanto indispensabile, è costituito da chi dedica una parte del proprio tempo, delle proprie conoscenze e risorse personali per intervenire sulla realtà e contribuire ad alleviare la situazione di disagio e di povertà altrui.

Due sono i modi di fare volontariato, precisa I. Diamanti: “organizzato” e fuori dalle imprese.  Il primo è modalità  estremamente utile alla società, allo Stato, agli  enti locali  e ai destinatari della sua azione. Si è  progressivamente istituzionalizzato e in  molti casi  è divenuto “impresa”  per  rispondere alle povertà vecchie e nuove  croniche oppure insorgenti,  al disagio giovanile e negli ultimi anni  in misura crescente agli immigrati e rifugiati. 
Anna Godeassi, La salute del cuore, illustrazione per John Hopkins University
Il rischio: essendo risorsa preziosa da spendere sul mercato del lavoro e dei servizi, il  “volontario” è diventato una figura professionale, “volontario di professione”, che opera in “imprese sociali”. In altre parole i volontari di professione, in quanto condizionati in misura determinante da finanziamenti e contributi “pubblici” locali regionali nazionali, ovvero da logiche prevalentemente istituzionali, possono essere sottomessi ad interessi non sempre trasparenti, chiari e compatibili con “l’anima del volontariato”. Mi guardo bene dal sottovalutare o peggio diffidare di questa “faccia” del
volontariato”, fenomeno ampio e articolato, praticato per tradurre concretamente la solidarietà, senza la quale la società non potrebbe esistere. Il volontariato  organizzato non solo è fondamentale, ma assicura riferimento visibilità  sostegno al grande “popolo del volontariato” individuale [“InVolontario"(1)] che pratica la solidarietà fuori dalle imprese istituzionali.

Il secondo è appunto il popolo del volontariato”, a cui mi sento di appartenere.

Prima di tutto occorre cercare di capire: perché tanti giovani, adulti, anziani, sparsi in ogni angolo d’Italia e del mondo, sentono l’urgenza di darsi agli altri, in particolare nei momenti di calamità e sofferenza collettiva, al di là di ogni barriera di razza, di cultura, di fede religiosa? Che cosa li anima? Qual è l’anima di questo volontariato?

Anna Godeassi, Rifioriremo, il supporto della comunità
L’anima è la “volontà” del dono gratuito di sé e delle proprie azioni, senza reciprocità. Nella sua sfida alla società liquida è permanente mobilitazione a favore dei diritti contro l'indifferenza, è denuncia ed annuncio. Non si realizza nell’aiutare qualcuno in difficoltà nei tempi morti delle proprie attività quando non si sa che cosa fare; non è inerte assistenzialismo; non è generica truppa cammellata; non è tappabuchi delle omissioni e delle altrui assenze; non è solo supporto-integrazione di pubbliche carenze; non si limita all’interno del proprio microcosmo a dar senso alla vita propria ed altrui, gratificando se stessi e forse gli altri con il rendere meno quaresimale la fatica del loro vivere quotidiano. La scelta del volontariato non avviene per folgorazione, non è una via di Damasco.

È “volontà” del dono gratuito di sé e delle proprie azioni, senza reciprocità; è innanzitutto una mentalità, un atteggiamento permanente, una disposizione interiore all'agire e ad ospitare l'altro nel proprio orizzonte personale, un impegno costante, un dovere inteso come “sollen”, mettendo a disposizione le proprie capacità, competenze, esperienze, almeno quanto, se non più, di chi lo fa per professione.  E’ il frutto di cultura introiettata (in famiglia, sui banchi di scuola, in tante associazioni…), che si traduce nell’ “educare al servizio” costruendo accoglienza che investe ogni età e che poi ognuno concretizzerà nel tempo secondo la propria chiamata, i propri carismi e le condizioni oggettive e soggettive in cui si trova. Senza preconcette selezioni od esclusioni perché le scelte di solidarietà sono per chiunque, ovunque si trovi, a qualsiasi cultura o fede od etnia appartenga.

Anna Godeassi, Speranza, illustrazione per Nexus Comm
E’ generatore di coscienza critica, fattore di cambiamento della realtà perché a fianco degli operatori dei diversi settori testimonia il recupero del senso di solidarietà tra le generazioni (2) e del senso di appartenenza alla comunità.

E’ segno di speranza, promessa di un futuro possibile e, nella sua sfida alla società liquida, anticipazione di possibili nuovi stili di vita e modalità di relazione: modello critico alternativo a quello del mercato e del profitto individualistico nel consapevole riconoscimento delle estese zone d’ombra, sacche di povertà e di esclusione sociale delle nostre città, ampiamente allargate oggi dal covid. Il volontario vuole vedere e sapere, non accetta di vivere accanto a chi è senza speranze, si rifiuta di rinchiudersi entro i bunker dorati del proprio individualismo.

E’ questo il coraggio di ogni volontario, giovane o anziano, fatto di decisioni, azioni, rischi, insicurezza, pericolo di fallire: il coraggio di un’intera esistenza di persona libera. Coraggio di essere silenzioso protagonista, spesso invisibile, misconosciuto da una società senz’anima che ogni giorno propina il successo individuale, qui subito, come unico criterio di validità.

Volontà di un’esistenza conviviale: un camminare insieme con chiunque ovunque si trovi, a qualsiasi cultura o fede od etnia appartiene, fatto di gratuità che conosce la forza del sorriso, che non teme il confronto od il conflitto, che anzi sa gestirlo senza mai rinunciare a vivere la vita come un reciproco scambio di doni.

Anna Godeassi, Passi leggeri, per il Sole24ore
E’ formidabile risorsa che ogni territorio dovrebbe incentivare nella formulazione di politiche di contrasto alla povertà, ovviamente non in sostituzione dei servizi pubblici ma a loro integrazione e risposta a bisogni improcrastinabili.

I dati a livello nazionale sui volontari sono eloquenti: in Italia sono circa il 13% della popolazione, 6.500.000, di cui 4 milioni inseriti in associazioni o gruppi ed il resto in forme non organizzate. Negli ultimi anni (v. rapporto Demos su “Gli italiani e lo Stato”) quasi 4 persone su 10 hanno preso parte ad attività di volontariato sociale in base a necessità ed emergenze locali e nazionali. Un fiume dalle molte diramazioni, un mondo tanto silenzioso quanto indispensabile, realtà tanto sommersa quanto splendida, modo di comunicare di tante persone che dedicano parte del proprio tempo per intervenire sulla realtà territoriale: un pullulare di associazioni cattoliche, gruppi parrocchiali, cenacoli di laici, uomini e donne senza barriere o pregiudizi ideologici .E molte scuole italiane (penso ad es. al Liceo G. Bruno di Albenga) non sono seconde a nessuno: dal servizio svolto da studenti durante l’anno in vari settori ed ambienti sociali alle scadenze fisse della raccolta alimentare, adozioni a distanza, viaggi di servizio a Lourdes, mutuo insegnamento…

Il volontariato è una forma di adozione dell’altro nel significato etimologico di “optare a", scegliere, proiettarsi sull'altro, oltre se stessi: segno di speranza, annuncio di accoglienza, di permanente mobilitazione contro la disattenzione, la distrazione, l'indifferenza, il pensare ad altro, negazione del pensare agli altri.

Se in questa nostra società la fa da padrone indubbiamente il profitto utilitaristico ed individualistico, tuttavia la gratuità solidale  non è straniera e appartiene di diritto a questo nostro mondo.

Anna Godeassi, Dal grigio i colori, illustrazione per Nexus Comm

Il volontariato, per dirla con don Mazzolari, guarda le cose dal punto di vista del “prima, dopo e sempre oppositore e convivente”: “convivente” (non connivente!) con il sistema attuale, di cui condivide le contraddizioni cercando di porvi rimedio; insieme “oppositore”, in permanente mobilitazione per un’alternativa al modo di vivere la vita sociale, di comunicare e di relazionarsi. Costruisce con i fatti una comunità diversa da quella che abita nelle situazioni che quotidianamente vive.

Scriveva don Tonino Bello: “L’interesse per la marginalità deve giungere alla stroncatura serrata dei processi di emarginazione: lo stile della denuncia non deve essergli estraneo. Il volontariato è chiamato a schierarsi. Non può rimanere neutrale. Non deve essere pacificato. Pacifico, sì, nonviolento. Deve saper cogliere il significato conflittuale della povertà. Non gli è consentito di starsene buono in un angolo. […] C’è un “sommerso” bellissimo, splendido. Quante cose straordinarie ho visto! Quanti gruppi di giovani venuti da tutte le parti d’Italia! E ormai non è più gente che va avanti soltanto con i battiti del cuore generoso, ma con un cervello che scruta…” (3).

Note.
1. “InVolontario”: motto introdotto dalla miniserie tv del 2018 girata all’Istituto Nazionale Tumori di Milano, patrocinata da Cariplo e Officine Buone. Così Lucchini spiega il termine “InVolontario”, con riferimento particolare ai malati adolescenti: “si inserisce nel nostro desiderio d’essere un centro che coniuga l’eccellenza scientifica e curativa con l’umanità e la sensibilità … Noi stiamo facendo di tutto per rendere la parentesi in ospedale il più normale possibile e non potremmo farlo senza il supporto dei volontari, persone straordinarie, preparate, professionali e solidali”. Cfr.: qui.
2. I giovani che hanno cura degli anziani e gli anziani che hanno cura dei bambini e dei minori in difficoltà.
3. cfr. Alfabeto della vita, ed. Paoline, Mi, 2010.
 

6 commenti:

  1. Bellissimo articolo, ed è vero il volontariato si traduce nell’educare al servizio.

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    1. Gentile Valeriana, grazie per la sua riflessione, che efficacemente sintetizza quanto ci premeva esprimere.

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  2. Volontariato ergo Volontà ( con la lettera maiuscola), facoltà del de-cidere e decidersi, dello Schierarsi come impegno alla “ adozione dell’Altro “. Quindi Soazio della Generatività, della Speranza, del Coraggio, della Convivialita’.
    Maestri ispiratori don Milani don Mazzolari don Tonino Bello ed altri che nascondono i propri nomi.
    Grande affresco, Gian Maria, grande esortazione umana, magistero di democrazia sociale!
    Grazie 🌈💫🎆🫂

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    1. Caro Rosario, al di là del tuo benevolo e forse eccessivo apprezzamento, colgo ancora una volta la sintonia di orizzonti di impegno e di speranza che ci accomuna e che rende feconda la nostra fraterna amicizia. Ciao. Grazie.

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  3. L'articolo è molto interessante, ma lo trovo un po' filosofico nella realtà del volontariato. Il volontario è una persona con tutte le sue caratteristiche e non facciamone "eroi" con buonismo. Si diventa volontari con tante motivazioni:timidezza, ricerca di relazioni, sensi di colpa, diverse, vergogna e tanto altro. Questo è quello che ho imparato in tanti anni di volontariato. Ma non importa la motivazione, quello che secondo me è importante è che ci sia servizio verso l'altro. Volontariato è anche desiderio di emergere. Perché combattere per una carica di presidente? Con questo non voglio generalizzare, ma accettare che umanamente abbiamo bisogni da soddisfare. Grazie. Luisa

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    1. Gent.le Luisa, in effetti questo post è nato come lezione tenuta ad un gruppo di ragazzi/e sul significato del volontariato, cavallo di battaglia negli anni della mia attività professionale. E’ quindi “un po’ filosofico”, almeno nel senso etimologico del termine, che mi è molto caro, inteso come ricerca inconclusiva… Sono anch’io convinto che tutti abbiamo bisogni da soddisfare e che le vie del volontariato sono infinite, spesso sorprendenti, purché - come giustamente precisa - “ci sia servizio verso l’altro”. Il che significa appunto la centralità dell’altro, che non si improvvisa. Mi soffermo un istante sul termine “eroe”, in quanto riferito al volontario, avendone una concezione ben poco eroica, forse piuttosto vicina al concetto di “eretico” espresso qualche anno fa da don Ciotti in occasione di un convegno. La ringrazio di cuore per il suo stimolante intervento.

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