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sabato 19 giugno 2021

Vie dell'accoglienza.

“Il migrante: presente là dove è assente, e assente dove è presente”.
Post di Gian Maria Zavattaro
Immagini delle illustrazioni di Gabriel Pacheco (qui il sito instagram)

Gabriel Pacheco, Galleggiare per non affogare
Il fenomeno dell’immigrazione, come tutti sanno, si è da anni complicato ed aggravato con lo sbarco continuo di migliaia e migliaia di “migranti” sulle sponde europee del Mediterraneo: donne uomini e soprattutto giovani giovanissimi e bambini. Fenomeno oggi vistoso, continuamente mutevole, incontrollato, problematico nel senso etimologico (1):evento che ci viene gettato in faccia, chiede d'essere risolto e merita necessariamente ed urgentemente una risposta né superficiale né banale.

Lascio gli aspetti geopolitici a chi ha le competenze professionali per svolgerli. Mi limito a qualche interrogativo: qual è la politica di inclusione-integrazione nella mia regione, in Italia ed in Europa? Quali i rapporti tra Comuni Sprar Cas questure e prefetture Caritas ed altre istituzioni pubbliche, religiose, laiche, private ubicate in tutte le province?

Ma il primo interrogativo, decisivo, è: Che significa accoglienza? Parola usata ed abusata con cui troppi si riempiono la bocca.

È assistenzialismo sentimentale, frutto di spinta emotiva più o meno duratura o fatto culturale? Atto di debolezza o di forza? Optional paternalistico o dovere che liberamente si sceglie e si adempie? Gesto isolato o dimensione stabile? Generico appello buonista o forte richiamo al primato etico della responsabilità? È imperativo della singola persona oppure sociale-istituzionale o unità di entrambi?

Un significato univoco. Se a definire il grado di civiltà di una società è la sua valenza inclusiva, la capacità di dare tutela a persone e gruppi più deboli, la parola accoglienza deve assumere un significato univoco.  Scriveva De Rita che accoglienza “non è solo prestarsi per qualcuno in difficoltà senza lasciarsi sopraffare nel lavoro dalla dimensione burocratica e amministrativa; innanzitutto è una mentalità, un atteggiamento di fondo, una disposizione anteriore all’agire, ospitalità dell’altro nel proprio orizzonte personale e professionale, solidarietà. Non si improvvisa; si costruisce poco alla volta nelle circostanze in cui ci si trova; è cultura, essenzialmente educazione”.

Gabriel  Pacheco, illustrazione per Tres Niñas di AntonioVentura
Diciamolo pure: accoglienza  è il luogo dell’apparente sproporzione ed asimmetria, dove non c’è, all’apparenza, reciprocità. Luogo della ”differenza” come “non-indifferenza”, volontà di mettersi a disposizione, di consegnarsi al  “tu” che s’incontra. E’ ”diaconia”, servizio. Accogliere non è solo fare qualcosa per gli altri, come ci attesta l’etimologia (dal tardo lat. colligere, co-insieme + legere raccogliere-scegliere-ascoltare): è aprirmi, ricevere, far entrare qualcuno in casa nel mio gruppo, mettermi in gioco, renderlo partecipe di qualcosa di me, offrirmi, spalancarmi verso l’altro…

Conosci te stesso? L’accoglienza è per prima cosa conoscere se stessi, i propri limiti e le proprie capacità: non si può donare agli altri ciò che non si è.  Per E. Fromm “essere capaci di aver cura di sé è il requisito per poter essere capaci di aver cura degli altri”. C’è differenza tra il dare qualcosa come elemosina e spalancarsi agli altri. Accogliere è dunque buttarsi allo scoperto, vivere ed affermare valori alternativi, opponendo la solidarietà intesa come agape all’indifferenza, l'ospitalità reciproca all’intolleranza, l’inclusione al rifiuto del diverso, la speranza alla sfiducia dilagante. E’ fare entrare e diffondere nella nostra "società liquida" questa mentalità, semplicemente testimoniandola.

Gabriel Pacheco, illustrazione per Tres Niñas di Antonio Ventura
Nel discorrere pro o contro i migranti non cadiamo nella trappola delle formule ripetute, di pregiudizi diffusi, delle frasi ad effetto che chiudono ogni discussione, dove ognuno si trincea dietro le barriere delle proprie incrollabili convinzioni. Occorre certamente una piena visione della complessità del problema e degli innumeri segmenti e cause-effetti che lo compongono tenendo presenti tutti i punti di vista (storici culturali filosofici psicosociologici politici economici religiosi…), ma in ultimo c’è la propria coscienza che parla al cuore e alla ragione, non dimenticando mai che quando si tratta di relazione con l’altro non si è mai neutrali. In ogni presa di posizione, anche nel non prendere posizione, c’è una precisa scelta di campo. E allora, per quanto possibile, parlerò senza animosità e faziosità, nel rispetto di ogni persona, ma nel chiaro rifiuto di ideologie inaccettabili.

E tanto per entrare decisamente nell’argomento, mi va di ricordare quanto siamo in forte ritardo rispetto alle imperanti esigenze dettate dalle nostre società inevitabilmente multiculturali: più di 70 anni fa il teologo e cardinale francese Daniélou (1905-74) così scriveva: “Si può dire che la civiltà abbia compiuto un passo decisivo, e forse il passo decisivo per eccellenza, il giorno in cui lo straniero da nemico (hostis) è divenuto ospite (hospes)” (Jean Guenolé Marie Daniélou, Pour une théologie de l’hospitalité)…. Si sa che “ospite”anche in italiano è sia colui/lei che ospita sia colui/lei che è ospitato.

Il dovere di ospitalità è l’abc dell’umanità e della civiltà occidentale. Nel mondo greco e romano l’ospitalità era sacra ed il forestiero era portatore di una presenza divina. Due esempi per tutti: La guerra di Troia, icona mitica di tutte le guerre, nasce dalla violazione dell’ospitalità da parte di Paride; l’Odissea è anche preziosa testimonianza del valore dell’ospitalità (Nausicaa...) e della gravità della sua profanazione (Polifemo, Antinoo). Polifemo anzi è l’emblema perfetto dell’inciviltà disumana che divora i suoi ospiti invece di accoglierli.

Ospitalità, prima parola civile proprio in un mondo molto più arretrato e violento del nostro, dove barbari sono quelli che non riconoscono il dovere dell’ospitalità.

Gabriel Pacheco, illustrazione per Tres Niñas di Antonio Ventura
La Bibbia poi è un continuo canto al valore assoluto dell’ospitalità ed accoglienza dei forestieri ch addirittura sono chiamati "angeli". Il grande peccato di Sodoma fu rinnegare l’ospitalità. Uno degli episodi biblici più raccapriccianti è la profanazione dell’ospitalità con lo stupro omicida degli abitanti di Gabaa.

E la fede cristiana! Il comandamento dell’agape, le Beatitudini, l’’ultimo giudizio…: “Ero straniero e mi avete accolto o non mi avete accolto…”( Mt 25,3)!

La scelta di accogliere rimane l’unica via possibile, così come ci rassicura il filosofo di Macerata R. Mancini (2), di cui tento di presentare ora le riflessioni più salienti, oserei dire inderogabili. L’accoglienza, in particolare dei migranti, è per ognuno di noi il banco di prova della nostra presenza alle sorti cruciali del mondo: attestazione del nostro no alla “globalizzazione dell’indifferenza”. La scelta non è solo attiva ospitalità di chi bussa alla nostra porta, essa “matura in chi arriva a riconoscere di essere stato accolto” a sua volta, perché “trovare accoglienza infatti è un bisogno e un desiderio fondamentale per chiunque”. Oggi la società - dominata da coloro che avendo potere denaro privilegi non hanno bisogno di accoglienza - non accoglie. Non accoglie la natura e l’ambiente, non accoglie i giovani i poveri gli stranieri le donne i “diversi”, non accoglie gran parte della società, non accoglie Dio stesso.

Occorre invece fidarsi di questa parola, consapevoli che è “una categoria non solo etica e politica, ma anche antropologica, esistenziale, cosmica, religiosa” (p.11).

Solo la ragione integra - cuore coscienza corpo e anima - “sente” l’esperienza dell’espulsione, dell’esilio, della povertà, i bisogni senza risposta, il baratro del patire e dell’abbandono. Allora io ascolto senza scappare, rispondo, le ferite dell’altro mi riguardano proprio perché sono stato creatura prima accolta in grembo da mia madre e nata con il bisogno di affetto e cura. La forma originaria di accoglienza ricevuta diventa accoglienza da dare: accoglienza e ospitalità sono la struttura generativa di ogni cultura, il filo che lega la catena delle generazioni e la convivenza.

Gabriel Pacheco, illustrazione per Tres Niñas di Antonio Ventura
La parola accoglienza tocca in profondità la storia personale di ciascuno, rimanda all’essere stati accolti o rifiutati, amati o dimenticati. Nella vita in principio c’è l’accoglienza: per esistere devo essere stato accolto e se sono stato accolto sarò più propenso ad accogliere.

Le grandi trasformazioni nelle forme della convivenza e stili di vita - continua Mancini - non sono opera di decreti legislativi ma scaturiscono dal convergere delle nostre piccole trasformazioni quotidiane, finché viene alla luce il profilo di un’altra società (p.34). Chi sceglie di accogliere è come un seme piccolo, apparentemente trascurabile, eppure capace di futuro.

A questo punto possiamo guardare fino in fondo “la parabola” delle migrazioni: donne uomini giovani bambine/i in condizioni di estremo pericolo, alla ricerca di un posto dove poter esser accolti (cioè poter vivere) ,di un lavoro, una casa, una dignità sociale. Propriamente le attuali migrazioni forzate non sono dettate dall’esercizio della libertà di spostarsi, ma deportazioni dovute all’intreccio di perduranti effetti del colonialismo, del neoliberismo globale e capitalismo estrattivo divenuto espulsivo (p. 42) con la complicità di molti governi locali:vere e proprie “formazioni predatorie”.

Il crollo delle condizioni minime della convivenza civile causa inevitabilmente la migrazione e assurda diventa la pretesa di distinguere tra chi è destinato a morire per la guerra e le torture e chi di fame e respingere questi ultimi. Tutti i migranti sono espressione di chi cerca di sfuggire al peggio, ma anche la rivelazione di un dispositivo globale di sfruttamento, forma nuova di colonialismo.

Gabriel  Pacheco, illustrazione per Tres Niñas di Antonio Ventura
Accogliere a questo punto significa capire, conoscere, guardare l’altro non solo come immigrante ma come emigrante, persona un tempo radicata nella propria comunità che scappa dall’inferno senza sapere cosa potrà trovare. “Il migrante porta una ferita complessa e profonda, una doppia assenza: continua ad essere presente là dove è assente, e assente dove è presente”.

Finora l’Europa è andata nella direzione opposta: chiusura delle frontiere, marchiatura delle persone che arrivano, distinzione tra rifugiati politici ed economici, tattiche ipocrite di scaricare dietro lauto compenso alla Turchia o alla Libia il compito di fermarli …“Le migrazioni attuali sono come una “parabola”: un racconto che sembra parlare di altri e poi si scopre che sta parlando di noi”.

Per Mancini la vicenda dei migranti rivela tre verità che ci riguardano.

1. Quanto hai seminato ti torna indietro. Dopo i secoli di sfruttamento coloniale in Africa Sudamerica e vaste aree dell’Asia, la sofferenza causata dagli europei ricade in qualche modo su di loro. E’ il grande debito storico dell’Europa.

2. Il sistema di potere globale costruito dal neoliberismo e dai poteri finanziari non sa governare il mondo attuale: guerre migrazioni terrorismi fondamentalismi armati, nazionalismi disastri ambientali esaurimento delle risorse, diseguaglianze abissali, sviluppo mondiale delle mafie… Chi vuole cercare i frutti buoni dell’attuale stagione storica deve cercarli in un’altra forma di globalizzazione: “nelle dinamiche dialogiche e democratiche di interdipendenza tra i popoli, pratiche di accoglienza dei migranti, percorsi di integrazione, intese interreligiose, diffusione dell’arte e pensiero delle diverse culture, accordi per la pace, cooperazione equa e solidale, movimenti transnazionali per la difesa dei diritti umani e della natura, giornalismo d'inchiesta su scala internazionale, lotta coordinata contro la grande criminalità”…

Gabriel Pacheco, Un giorno io sarò erba
3.L’Unione europea si sta disgregando nella sconfortante rassegna delle ideologie oggi dominanti: nazionalismo localismo populismo neofascismo neoliberismo. “Quando i popoli sono ridotti a popolazioni confuse e impaurite, larghi strati di opinione pubblica si affidano a queste ideologie e alle posizioni politiche più pericolose. Finché resteremo persi in questa struttura di irresponsabilità e di dominio, prevarranno soltanto approcci sbagliati: costruzione di muri, respingimenti, qualche gesto ipocrita che dovrebbe servire ad “aiutarli in casa loro. (4)

E’ urgente l’elaborazione di un progetto europeo di accoglienza condivisa, di integrazione e di autentica cooperazione internazionale finalizzata ad abbattere le cause che costringono milioni di persone a questa deportazione di massa.

Gli europei disponibili ad imparare dalla parabola delle migrazioni non possono pensare di fare da soli: oltre ad esercitare la loro cittadinanza democratica nazionale, devono collaborare con persone e organismi di altri paesi e continenti. Si impone la svolta verso “la condizione antropologica, cognitiva ed etica fondamentale” data dalla “maturazione di comunità libere dalla logica dell’esclusione”, dove identità nazionale e relazione con gli altri giungono hanno lo stesso valore, i cittadini di uno stato si sentono insieme cittadini del mondo, le diverse identità etniche non solo si rispettano ma diventano corresponsabili della storia intera dell’umanità, l’Europa è disposta ad imparare e non presume di insegnare al resto del mondo, la “politica” infine assolve al suo compito di rendere abitabile il mondo divenendo davvero attività di cura e di servizio nell’invenzione di una nuova prossimità.

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Note.

1.Dal greco πρόβλημα (próblēma) "sporgenza, impedimento, ostacolo", dal verbo προβάλλω (probállō) "mettere davanti", dal prefisso προ- (pro-) "innanzi" + βάλλω (bállo) "mettere davanti, gettare": gettare in faccia, buttare addosso…
2. R. Mancini, La scelta di accogliere, Sympathetika Qiqajon, Comunità di Bose, 2016.
3. Mancini passa in rapida rassegna le ideologie oggi dominanti nella scena europea: nazionalismo (pretesa che la mia nazione sia superiore a tutte le altre), localismo (illusione di risolvere i problemi chiudendosi nella propria comunità nativa), individualismo (ripudio puro e semplice di qualsiasi legame affettivo e sociale), populismo ( mito di affidare tutto al capo abolendo partiti, parlamenti e sindacati), neofascismo ( culto della forza e dell’imposizione), neoliberismo (dogma del mercato e della crescita materiale come soluzione di ogni problema).
4.Quindi abbiamo paura. Per quale motivo? Cito sempre Mancini. «Perché sembrano spaventosamente imprevedibili nei loro comportamenti, a differenza delle persone con cui abbiamo a che fare nella nostra quotidianità e da cui sappiamo cosa aspettarci. Gli stranieri potrebbero distruggere le cose che ci piacciono e mettere a repentaglio i nostri modi di vita. Degli stranieri sappiamo troppo poco per essere in grado di leggere i loro modi di comportarsi, di indovinare quali sono le loro intenzioni e cosa faranno domani. La nostra ignoranza su che cosa fare in una situazione che non controlliamo è il maggior motivo della nostra paura».La paura porta a creare capri espiatori? «In tempi di accentuata mancanza di certezze esistenziali, della crescente precarizzazione, in un mondo in preda alla deregulation, i nuovi immigrati sono percepiti come messaggeri di cattive notizie. Ci ricordano quanto avremmo preferito rimuovere: ci rendono presente quanto forze potenti, globali, distanti di cui abbiamo sentito parlare, ma che rimangono per noi ineffabili, quanto queste forze misteriose, siano in grado di determinare le nostre vite, senza curarsi e anzi e ignorando le nostre autonome scelte. Ora, i nuovi nomadi, gli immigrati, vittime collaterali di queste forze, per una sorta di logica perversa finiscono per essere percepiti invece come le avanguardie di un esercito ostile, truppe al servizio delle forze misteriose appunto, che sta piantando le tende in mezzo a noi. Gli immigrati ci ricordano in un modo irritante, quanto sia fragile il nostro benessere, guadagnato, ci sembra, con un duro lavoro. E per rispondere alla questione del capro espiatorio: è un’abitudine, un uso umano, troppo umano, accusare e punire il messaggero per il duro e odioso messaggio di cui è il portatore. Deviamo la nostra rabbia nei confronti delle elusive e distanti forze di globalizzazione verso soggetti, per così dire “vicari”, verso gli immigrati, appunto». Ci sono partiti abituati a trarre il loro capitale di voti opponendosi alla “redistribuzione delle difficoltà” (o dei vantaggi), e cioè rifiutandosi di condividere il benessere dei loro elettori con la parte meno fortunata della nazione, del paese, del continente”.

3 commenti:

  1. Caro Gian Maria trovo nel tuo post come " un ultimo appello". Ripetute invocazioni al recupero della humanitas, argomentazioni a fil di logica sulla "convenienza" della integrazione, lavoro sotterraneo ed instancabile del volontariato che si è speso nei centri di accoglienza negli Sprar e nei mille luoghi pensati per dare aiuto ( un pensiero particolare ai volontari che lavorano a Trieste per rifocillare e rimettere sù coloro che arrivano dall'arera balcanica); eppure non si scalfisce di un grammo la vulgata costruita dai Salvini e dalle Meloni dalla futile e "conformata" informazione di massa sul Pericolo della invasione sulla Minaccia della " limpieza de sangre" sul Rischio del nostro posto di lavoro.
    Qualche anno fa avevo ripreso Edumnd Jabes , compianto, che con la "mistica della parola" tratteggia il " dono della ospitalità".
    Io consiglio di prendere le mosse da lì. La via del cosmopolitismo è ormai impraticabile e ci consegna la presunzione della nostra superiorità.
    Dobbiamo saper tornare indietro - e quanto bene riceviamo quando da adulti sappiamo rientrare nel "sacco amniotico" - dobbiamo camminare sulle tracce degli albori - puri, intrisi di naturale fraternità - delle civiltà mesopotamiche, che nella ospitalità celebravano la sorgente della societas. Papa Francesco , con l'ultimo viaggio, ce lo ha fatto capire.
    Sappiamo comprenderlo?
    Grazie Gian Maria!

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    Risposte
    1. Caro Rosario,grazie a te. La tua analisi non fa una grinza e come sempre apre alla speranza. Mentre preparavo la mia comunicazione al gruppo di ragazzi/e del servizio civile ad Albenga, poi sfociata nel presente post, mi è capitato –guarda caso – di rileggere qualcosa del Libro dell’ospitalità di Jabès (Cortina ,Mi, ed 2017), questo pensatore poeta ebreo franco-egiziano, ben consapevole – anche sulla propria pelle – che il binomio estraneità-ospitalità e migrazioni-accoglienza non solo ha segnato l’inizio della storia della civiltà, non solo ha caratterizzato l’intera storia umana, ma soprattutto definisce oggi e definirà domani la qualità della nostra vita e il cammino della civiltà. Per quel che ho capito, era fortemente convinto che lo “straniero” nella sua estrema fragilità può contare unicamente sull’ospitalità dell’ “altro” ed è per questo alla mercé dell’hospes che può rivelarsi invece hostis. La “vulgata” mortifera di chi ne fa un capro espiatorio – come tu denunci senza mezzi termini – è un peccato che grida vendetta al cospetto di Dio.

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  2. Maria Lucia Stabile.19 giugno 2021 alle ore 13:35

    Chi è accolto è più disponibile ad accogliere.

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