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martedì 21 settembre 2021

Delicatezza: splendida ambivalenza.

La delicatezza come arte del discorso pubblico, in opposizione a menzogna e sopraffazione.
Post di Gian Maria Zavattaro
Immagini di alcune opere di Raffaello Sanzio (1483-1520).
 
Raffaello Sanzio, Autoritratto con un amico
“Manifesto per una comunicazione non violenta.  Con il termine “delicatezza” non s’intende niente di equiparabile alle buone maniere, ma una disciplina del pensiero. Quale è allora la sua utilità nel discorso pubblico, oggi così spesso segnato da incompetenza e prevaricazione? Alcune magnetiche pagine della letteratura e della filosofia ci rivelano un’accezione di delicatezza che ha margini taglienti, così com’è delicata e ferma la mano del chirurgo che incide e lacera. Precisione e fondatezza sono i tratti di una postura del discorso che rifiuta istrionismo e improvvisazione; il vero dialogo nasce dall’ascolto di sé e degli altri, non dal proposito di riportare futili successi a ogni costo” (retrocopertina di: Michele Dantini, Sulla delicatezza - Oggi dovremmo considerare la delicatezza come arte del discorso pubblico, in opposizione a menzogna e sopraffazione, Introduzione di E. Borgna, Il Mulino 2021).
“Occorre sopprime[re] tutta la parte delle nostre istituzioni e dei nostri costumi in cui dimora lo spirito di partito in qualsivoglia sua forma. Né la “personalità di spicco” né i partiti accordano mai udienza alla verità o alla sventura” (S. Weil, La persona e il sacro, 1943, cit. in M. Dantini, o.c., p.14).
 
Raffaello Sanzio, Scuola di Atene, particolare
💥 Centellinando le pagine del saggio di M. Dantini (1), irrimediabilmente mi sento coinvolto ed attratto dalla “delicatezza”, parola che non si presta al raggiro, “premessa a ogni agire comunicativo” (2). Non è sinonimo di importuno buon gusto, è libera modalità di “schierarsi contro violenza, menzogna, autopromozione e demagogia”. Dovrebbe essere compito di primaria importanza incoraggiare oggi negli ambiti familiari e soprattutto nelle aule scolastiche questa fiduciosa disciplina del pensiero, al fine di favorire in tutti, a cominciare da se stessi, “la progressiva maturazione della capacità di argomentare in pubblico, dare nome alle cose, formulare emozioni”. Altroché “più burocrazia più test più pianificazione” (3) e - aggiungo - più didattichese! Significherebbe schierarsi a favore “di tutto ciò che chiamiamo cultura generale e possiede sottili connessioni con la memoria storica e le motivazioni civili”, contro i gravi danni al tessuto sociale prodotto dallo “svuotamento del processo di apprendimento e delle delicate relazioni dialogiche a cui esso è affidato e di tutto ciò da cui possono discendere senso di appartenenza, lealtà, rettitudine, solidarietà e affetto reciproco” (4).
La “delicatezza” si dice in molti modi, in continuità ideale con Socrate Platone, Dostoevskij…(5). Accezioni privilegiate sono “tatto distanza probità acutezza” (6).
Raffaello Sanzio, Scuola di Atene, particolare
💥 Entriamo allora nel labirinto di questa virtù sociale dalla singolare pregnanza semantica e tematica, che si avvicina alla “gentilezza, dolcezza, tenerezza”, ma insieme anche ai loro contrari. “Antinomica” splendida ambivalenza che “condensa in sé il segreto della coabitazione dei contrari”: prudenza risolutezza, soavità durezza, morbidezza audacia, mitezza intrepidezza, sensibilità resistenza, riserbo intransigenza, dubbio coraggio... (7). “Delicatezza”: esprit de finesse che non immagina di avere sempre ragione, non si propone di assoggettare con tirannia, vuole invece persuadere con ‘dolcezza’, “interloquire a tono in modo misurato e perspicace soprattutto competente” (8); “arte del discorso pubblico e conversazione tra pari, o meglio principio di autoeducazione argomentativa”; emblema di “tutto ciò che rifiuta bassa polemica, istrionismo, ottusità, falsità, prevaricazione”(9).
💥 Quale discorso le è congeniale? Tre sono i tipi e forme che “modellano in profondità le nostre conversazioni, i comportamenti argomentativi implicati in ogni nostro atto di parola: costumi che danno forma alle relazioni tra persone, qualunque cosa esse si dicano”: “discorso” filosofico, “discorso” politico o retorico, satira (10).
Raffaello Sanzio, Scuola di Atene, Ipazia (particolare)
NO la satira. In politica nel giornalismo sui social “non è incruenta, è all’occasione sleale, istiga all’odio con tratti di battaglia politica dove pur sempre si tratta di far fuori qualcuno o qualcosa”, raccoglie consensi, determina orientamenti comuni, dispensa humour e riceve in cambio applausi: “la sua potenza è grande, non altrettanto la sua responsabilità”.
NO il discorso politico che “trae forza proprio dalla capacità di separare. E’ competizione e ricerca del proprio vantaggio. Ciò che conta è convincere, reclutare, disporre del consenso per spingere altri all’azione e designare un “nemico”.
Congeniale è invece il discorso “filosofico”: il discorso che “non vuole convincere a ogni costo, vuole piuttosto scoprire e argomentare, tentare di stabilire una comunità di parlanti e di rimuovere le occasioni di contrapposizione fine a se stessa; il discorso che assegna al ragionamento importanza cruciale, logos che crea comunità collaborazione e stabili convinzioni senza escludere la possibilità di una loro confutazione; il discorso appunto contrassegnato da comportamenti argomentativi non pregiudiziali, disposti all’intesa; il discorso che è compenetrazione di mente e corpo, razionalità ed emozioni, accortezza di metodo, misura, perspicacia nella scelta delle parole; il discorso che rinuncia innanzitutto alla faziosità, perché “la sola certezza è la mancanza di certezza e nessuno può arrogarsi l’esclusivo possesso della verità (11); il discorso - per dirla con S. Weil - che si pone con “umiltà nel regno dell’intelligenza” (12). E’ dunque il discorso in cui risiede la “delicatezza” per accudirlo, renderlo impenetrabile a sollecitazioni e condizionamenti: infatti il suo “costume” è l’atteggiamento socratico maieutico che “non cerca di imporre una sua verità ma intende limitarsi ad incoraggiare e “far nascere” la verità che ciascuno porta dentro di sé” (13).
Raffaello, Sogno del cavaliere, spada, libro (coraggio, sapienza)
💥 Interrogativo. Può la polis, costituita su principi di appartenenza-schieramento e di processi decisionali modellati da criteri di interesse immediato e materiale, tollerare un costume “maieutico”? (pp. 39-40). Evidente la contrapposizione tra due comunità di parlanti. La “delicatezza” si schiera per “quella che potremmo chiamare agape, vale a dire comunione o amore fraterno”, per la conversazione civile, il libero scambio di opinioni in continuità ideale e storica con l’insegnamento di Socrate, la tradizione ascetica, il monachesimo ortodosso: continuità millenaria associata “a dimensioni etico-religiose di tipo maieutico” che Dostoevskij immortala in due figure emblematiche anche per il nostro tempo: lo starec Zosima (la sua “delicatezza inappariscente”) e il principe Myskin (portatore di “dignità e delicatezza”, che non conosce risentimento) (14). “Delicatezza” che metaforicamente lambisce la “malattia” socialmente riconosciuta che oscilla tra chi la stigmatizza quale “idiozia” (nel caso di Myskin) e chi la percepisce quale “santità” (vedi Zosima ma anche Myskin).
“Delicatezza”! Disvelamento delle “motivazioni più recondite dello stare insieme, della capacità di ascolto e benevolenza”, comunicazione che “non intimidisce e non irride l’avversario”, “non risponde ad obblighi di fedeltà e dipendenza” e socraticamente considera “sapiente chi non nasconde di non sapere” (15).
Raffaello, Sogno del cavaliere, fiore (simbolo di amore)
Il discorso di commiato di Zosima in punto di morte è “che ciascuno di noi è senza dubbio colpevole per tutti e di tutto sulla terra, non solo per la comune colpa universale, ma individualmente ognuno su questa terra” e che ciascuno di noi deve avere “la forza di conquistare il mondo con l’amore e di lavare i peccati del mondo con le proprie lacrime”. Il suo monito infine rivolto a tutti: “la conversione” è un “processo libero e individuale, preliminare a ogni vero cambiamento. Essa matura in noi, se reale, una disposizione del tutto diversa nei confronti del linguaggio”(16).
Chiaro il rifiuto della sopraffazione e dell’iniquità. Impietosa la contrapposizione con il discorso politico che, “salvo luminose eccezioni”, è adulazione mirante a convincere, reclutare e ottenere consenso” (17). Non scevra tuttavia di ottimismo tragico la speranza che “voci minoritarie, portatrici di punti di vista non dettati da interessi politico-partitici o economici-commerciali, possano farsi udire e contendere il consenso agli interessi organizzati” (18). Posizione impolitica? Non certo quella “deteriore” del disincanto indifferenza e conformismo, ma quella che ha “supremamente” a cuore la cosa pubblica; quella ostile alle degenerazioni autocratiche, all’invettiva e derisione, alle istruttorie sommarie; quella che sceglie “l’esodo dagli ambienti di comunicazione più rissosi e contingenti, province pedagogiche di tutti i pericoli” (19).
Raffaello, Il sogno del cavaliere
“Delicatezza”­: “modo disobbediente intimamente dilacerante della cittadinanza, di attenta vigilanza, sperimentato da Socrate dibattuto tra distacco e coinvolgimento”; disciplina del pensiero che nel nostro tempo di privazione “suggerisce, pena il più grande smarrimento, di vigilare attentamente, di volta in volta, sulle nostre aspettative politiche e di precisare con cura limiti e misura di ciò che è partecipazione” (20).

💥Note.

1. Questo post non ha affatto la pretesa di prefigurare una recensione. Semplicemente seleziona e trae dalla ricchezza di riflessioni presenti nel saggio preziosi spunti per una serie di considerazioni intese a sottolineare la valenza della “delicatezza” e - perché no? - a “convertire” alla “delicatezza” ed all’autentico “discorso filosofico” la “comunità dei parlanti”. Affido ai nostri lettori interessati l’approfondimento e la lettura delle “magnetiche pagine della letteratura e della filosofia”, citate e/o riportate nel saggio (Socrate, i dialoghi platonici [Fedro, La Repubblica, Gorgia, Apologia di Socrate, Teeteto, Critone, Simposio…], Pascal, Dostoevskij [Zosima, Myskin, L’adolescente … in part. pp.75-95], S. Weil, H. Arendt, E. Borgna, Goethe, T. Mann (in part. pp.97-119),et coetera…).
2. M. Dantini, o.c., Introduzione di E. Borgna, p.8
3. o.c., p.16. Interessante il riferimento a S. Weil, nella nota 1 del primo capitolo (p.34).
4. o.c. cfr.pp. 16-17
5. o.c., pp. 17-18
6. Nel senso di “ubbidienza al "demone" - "rifiuto della posa" - disinteresse e indifferenza al proprio vantaggio - sfida dell’opinione corrente in merito a ciò che è “lontano” o “vicino”, capace d’indicare prospettive inattese cfr. pp. 129-130.
7. o.c., cfr.pp. 25-28. “Perché è proprio l’ambivalenza che mi interessa: la radice comune di ciò che incide con punta acuminata - non è forse questa la “delicatezza” del chirurgo?- e insieme carezza la superficie che incide e lacera”, pp. 27-28.
8. o.c. p. 30
9. o.c. pp. 28-29. Chiaro ed esplicito il riferimento alle fake news e agenzie di distorsione/manipolazione informativa.
10.o.c., p.18. Dantini non sottovaluta altri discorsi. Qui si limita alla diagnosi delle loro forme, non dei “contenuti”: religioso, economico, etnico, sessuale, ecologico…
11.o.c. Opportuna la citazione di Pascal a p.21: “La verità è cosa così delicata che, per poco che si ritragga da essa, si cade nell’errore”.
12 . Sui tre discorsi - satira , politico, filosofico - cfr. pp.18-26
13. o.c. pp. 36 e 39
14. o.c. pp. 75 e 80. “Fiducia tatto scrupolo e correttezza, onestà franchezza tutto questo è Myskin, al cospetto dei suoi irruenti interlocutori” (i “nihilisti”) pronti a ricorrere alla calunnia intimidazione arroganza”. Nobile Myskin, dove “nobiltà è metafora di elevatezza disinteresse probità che è solo di pochi”: pp. 80-81,
15. o.c., Introduzione di E. Borgna, p.10
16. o.c., Introduzione di E. Borgna, p. 11; o.c. pp. 88-95.
17. o.c. pp. 45-46
18. o.c. p. 43
19. o.c. pp. 64-66
20. o.c. pp. 68-69. Non ultima preoccupazione la distanza delle generazioni: “Il dialogo viene meno perché il criterio dell’utile ad ogni costo si è sostituito al principio di responsabilità. Chi dovrebbe non dà più l’esempio e nel far ciò induce i migliori tra i giovani, soprattutto quanti tra loro hanno origini oscure, a varie ribellioni e gesti autolesionistici” (pp.86-87).
 
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2 commenti:

  1. La tua, caro Gian Maria, è un’orazione civile. In nome della cortesia ( così si diceva una volta; ma si pensò che discendesse dalla “ corte di palazzo “), poi si disse della galanteria ( ed ancora una volta, fu considerata di riserva di alcuni ). Invece è “ libera modalità di “schierarsi contro violenza, menzogna, autopromozione e demagogia”; alimento dunque di un essere in relazione dialogica con intento costruttivo. Discende - lo hai specificato - dalla agape, quindi porta con sé la fraternità e lo spirito di comunione. Nel post trovo la disposizione di un concerto, tra parole immagini e suoni, per descrivere ed esaltare il profilo della “ persona sociale “. Grazie!🎈🎈🎈

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    1. DICI BENE: la sfida odierna, la scommessa per il futuro prossimo e remoto si possono riassumere nell’impegno costante a diffondere e testimoniare la prassi del divenire ed essere “persone sociali”. Fedeli al motto del nostro blog “persona e comunità”… Grazie, carissimo Rosario.

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