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domenica 6 novembre 2022

Elogio della fuga.

Quando non può più lottare contro il vento e il mare per seguire la sua rotta, il veliero ha due possibilità: andare alla deriva o fuggire.
Post di Rossana Rolando.
Immagini dei dipinti di Ivan Kostantinovič Ajvazovskij (1817-1900).
 
“La fuga è spesso, quando si è lontani dalla costa, il solo modo di salvare barca ed equipaggio” 
(Henri Laborit, Elogio della fuga).¹
 
Ivan Kostantinovič Ajvazovskij, La nona onda, 1850
Nel dialogo platonico intitolato “Lachete”
², Socrate pone una delle sue tipiche domande, brevi e dirette. Chiede proprio a Lachete, un generale esperto in cose militari, che cosa sia il coraggio. Egli risponde sicuro che coraggioso è “chi , durante la battaglia, mantenendo la propria posizione, si difende dai nemici e non si dà alla fuga”. L'atto del fuggire è immediatamente associato alla viltà, secondo una concezione molto comune. Ma Socrate non rimane soddisfatto della risposta scontata e frettolosa. Riprende con il suo solito stile, sgretolando le certezze dell’interlocutore - spesso frutto di stereotipi non sottoposti al vaglio critico - e suggerendo un altro pensiero: ci può essere chi, indietreggiando, non rimanendo fermo al proprio posto, combatte tuttavia contro i nemici e mostra così il proprio coraggio. Alla perplessità di Lachete, Socrate aggiunge che si può continuare a combattere fuggendo. C’è una fuga che non è vigliaccheria, ma è strategia difensiva che permette di continuare a battersi.
La metafora bellica ha una sua rilevanza esistenziale, applicabile ben al di là del suo ristretto significato. La troviamo addirittura in ambito cristiano, già nelle parole di San Paolo: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede…”³
Ivan Kostantinovič Ajvazovskij, Mare in tempesta di notte, 1849
I filosofi stoici, tra i quali Seneca, paragonano la vita ad una lotta in cui rimanere saldi, nonostante le avversità, mantenendo il proprio equilibrio: “Per conoscere se stessi, è necessario mettersi alla prova: nessuno ha mai conosciuto le proprie forze, se non cimentandosi”. In una delle sue Lettere a Lucilio, tuttavia, la logica della fortezza stoica, priva di cedimenti, lascia spazio alla più umana aspirazione alla quiete, volta ad evitare i colpi del destino: “Non sono d’accordo con quelli che si spingono in mezzo ai flutti e, apprezzando una vita agitata, lottano ogni giorno strenuamente contro le difficoltà. Il saggio saprà sopportare queste avversità, ma non ne andrà in cerca, e preferirà vivere in pace che in guerra”.
Rifiutare di spingersi “in mezzo ai flutti” significa evitare ciò che procura ansia, sofferenza, frustrazione.
La stessa immagine della navigazione, utilizzata da Seneca, in riferimento alla vita, si ritrova in Henri Laborit, nel suo libro Elogio della fuga, il cui incipit è davvero fulminante: “Quando non può più lottare contro il vento e il mare per seguire la sua rotta, il veliero ha due possibilità: l’andatura di cappa (il fiocco al collo e la barra sottovento) che lo fa andare alla deriva, e la fuga davanti alla tempesta con il mare in poppa e un minimo di tela. La fuga è spesso, quando si è lontani dalla costa, il solo modo di salvare barca ed equipaggio”.
Ivan Kostantinovič Ajvazovskij, Nuvole e fulmini
Ecco, siamo arrivati al punto chiave della riflessione proposta in questo post. Ci sono situazioni – relazionali, lavorative, sociali – in cui l’unico modo per mantenere la propria “normalità”, il proprio equilibrio psichico, sottraendosi a forme depressive e a somatizzazioni dolorose, è la fuga.
Continua Laborit: [La fuga] permette di scoprire rive sconosciute che spuntano all’orizzonte delle acque tornate calme. Rive sconosciute che saranno per sempre ignorate da coloro che hanno l’illusoria fortuna di poter seguire la rotta dei carghi e delle petroliere, la rotta senza imprevisti imposta dalle compagnie di navigazione”
E conclude: “Forse conoscete quella barca che si chiama Desiderio.”
E’ chiaro, quindi, che la fuga, in determinate circostanze, permette di continuare a desiderare, a scoprire, a vivere, liberando dalla chiusura paralizzante delle rotte “senza imprevisti”, allineate sui percorsi imposti dalle compagnie di navigazione.
Fuor di metafora, vi sono casi in cui “non rimane che la fuga”: non da se stessi, ma verso se stessi.
In conclusione, ciascuno deve sapere valutare il discrimine tra la rinuncia irresponsabile – rispetto a doveri, agli impegni che la vita presenta – e il necessario abbandono di ciò che imprigiona la mente e non permette di abitare liberamente i propri spazi interiori.
 
Note. 
Ivan Kostantinovič Ajvazovskij, Mare nero di notte, 1879
1. Henri Laborit, medico, biologo e filosofo del comportamento umano, francese, autore del saggio Elogio della fuga, uscito in Francia nel 1976. L'edizione italiana, qui citata, è quella di Mondadori, Milano 2021.
2.  Lachete, in Platone, Tutti gli scritti, a cura di Giovanni Reale, 190 E-191 A-B.
3. (2 Timoteo, 4,7). 
4. Seneca, Tutti gli scritti, a cura di Giovanni Reale, La Provvidenza, p. 14.
5. Sottolineatura e citazione di John Sellars, Sette brevi lezioni sullo stoicismo, Einaudi, Torino 2021, p. 40.
6. Henri Laborit, Elogio della fuga, cit., Prefazione, p. 3.
7. Ibidem.
8. Ibidem, p. 9.
 
 
 
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5 commenti:

  1. Interessante come sempre la riflessione che proponi cara Rossana, ma direi anche particolarmente impegnativa per la necessità di distinguere quando la fuga è frutto di egoismo o debolezza e quando invece diventa una maniera sana di preservare se stessi e la propria saldezza interiore. E si potrebbero fare tanti esempi.
    Permettimi però di soffermarmi un attimo sulla musica. Il brano di Bach che hai scelto è uno dei miei preferiti. Adoro questaToccata, adagio e fuga ancor più di altri pezzi più famosi. Ma hai scelto molto bene anche l'interprete: Enrico Viccardi è infatti organista di grande pregio che ho potuto ascoltare più volte dal vivo perchè - guarda caso - abitiamo nella stessa città.
    Grazie e un abbraccio di buona serata!

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    1. Cara Annamaria, hai colto bene la complessità - sul piano etico - di una scelta che può diventare, in particolari situazioni, l'unica razionalmente percorribile, come argomenta Laborit.
      Il tuo giudizio sulla scelta musicale mi conforta molto, conoscendo la tua speciale preparazione.
      Grazie a te e buona serata!

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  2. Su suggerimento del nostro amico Fabio, ex insegnante di scienze, che - ci ha scritto - "all’elogio della fuga di Laborit dedicavo più di una lezione nelle classi in cui facevo il programma di biologia e facevo vedere il bel film di Alain Resnais “ Mon oncle d’Amerique” che ha come filo conduttore la teoria di Laborit", pubblico un video in cui vengono ripresi alcuni studi relativi al tema.
    [video]https://www.youtube.com/watch?v=iVcJY5PbCH4[/video]

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  3. Cara Rossana conosci la ragione che mi ha impedito fin qui di commentare il tuo post. La fortuna mi è venuta incontro perché nel frattempo hai inserito il secondo video, così rivelativo. Affronti con maestria dialettica un tema complesso, che ha la sua base nella matrice biologica. È una fortuna che il pensiero recente, ruotante sulla etologia e sulla antropologia e sulle loro relazioni, si sia immunizzato delle vecchie armature deterministiche e meccanicistiche, ed oggi si riesca a dare centralità al “ corpo” senza dimenticare ciò che va oltre mantenendo il legame. La salute “ psicofisica”: un tema rilevante. Un grazie e un abbraccio da Rosario

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  4. Altrettanto rivelativo, mi pare, è il finale, che inserisco qui. Grazie Rosario, un grande abbraccio.
    [video]https://www.youtube.com/watch?v=abNUa9tgqQE[/video]

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