Post di Gian Maria Zavattaro.
Händel, Messiah, 1741 |
In questo tempo di covid e di guerra ci apprestiamo all’Avvento, frammisti ad una umanità divisa tra guerra e pace, amore e odio, spreco e fame, I Care e indifferenza, dedizione d’innumerevoli persone per gli sventurati e cinico profitto di speculatori. Perché attendere? Attendere chi, che cosa? Quale concreta attinenza hanno questi interrogativi con il vivere dolente e il tragico morire di tanti, con la dilagante povertà, la solitudine disperante, l’incertezza e precarietà della vita che scuote sicurezze, scelte, abitudini, modi di relazionarsi con gli altri e con se stessi?
Händel, Messiah,1741 |
Oggi, immersi nel presente liquido, l’attesa ci pare tempo sprecato, né amato né conveniente, nella corsa compulsiva al consumismo, conformismo e per molti alla sopravvivenza fisica. L’Avvento è invece “il tempo dell’attesa vivificante”, in cui riscoprire il silenzio, contemplare, ascoltare, riconoscere la Parola dello Spirito “che dà la vita”, pazientare, pregare, amare, perdonare, essere misericordiosi per avere misericordia, vivere intensamente, cioè “vegliare”: “il tempo del senso della vita”, paradigma di ogni nostro istante che dovrebbe essere sempre teso in modo esplicito od implicito a vivere, cercare l’essenziale, al di là dei propri autoinganni e urgenze assillanti. Tempo della memoria perché nulla vada perduto, della cura del presente, della speranza contro la disperazione; tempo di gioia nonostante tristezza e afflizione; tempo di preghiera, di lode, ringraziamento, adorazione e invocazione Maranathà Vieni signore Gesù; tempo della sobrietà; tempo dell’ospitalità e dell’“elemosina” espressa dal greco eleèo, appassionata tenerezza, dono del proprio tempo e di sé nel prendersi cura e accudire gli altri e, in plenitudine, gli ultimi.
Händel, Messiah, 1741 |
Concludo con l’appassionata riflessione-preghiera del grande teologo K. Rahner: “Noi diciamo che tu devi di nuovo venire. Ed è vero. Ma non è propriamente un ‘nuovo’ venire; poiché nell’umanità che hai assunto in eterno per tua, non ci hai mai lasciato. Solo deve rivelarsi sempre più che tu sei veramente venuto, che le creature sono già mutate nel loro cuore, dopo che tu le hai prese nel tuo cuore. Ma devi venire sempre più: deve manifestarsi sempre più ciò che in fondo ad ogni essere è già accaduto, deve consumarsi la falsa apparenza che la finitudine non sia ancora libera da quando tu l’hai assunta a tua vita. Ecco: tu vieni. Non un passato né un futuro: è il presente che si adempie. È sempre la sola ora del tuo venire; e quando essa toccherà la sua fine, avremo fatto anche noi l’esperienza che sei venuto. Fa’ che io viva in questo tuo avvento, affinché io viva in te, o Dio che vieni. Amen”. (2)
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