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lunedì 16 ottobre 2023

Ricoeur legge Hannah Arendt.

La visione filosofica di Hannah Arendt.
Post di Rosario Grillo.

Hannah Arendt, 1944 (Archive/Archive Photos/Getty Images).
In un libercolo (1) P. Ricoeur compie un franco riconoscimento dell’impianto arendtiano, muovendo in direzione della cura della democrazia malata. La sua analisi mette a fuoco gli assi centrali del fare politica.
 
💥Innanzitutto quando si richiama il pensiero di H. Arendt, ci si sofferma quasi sempre sulla sua opera principale (Le origini del totalitarismo), dimenticando il piano organico dei suoi scritti. (2) Ci si priva, per questo, del sostrato teorico della sua Weltanshauung.
Bisogna passare almeno alla Vita activa e al corredo delle opere minori, che tanto minori non sono, in quanto fungono da indispensabili tasselli di completamento del quadro teorico arendtiano, capace di ispirare un umanesimo in guarigione dalla ferita del totalitarismo.
Quest’ultimo, per giunta, non è fenomeno-fungo, improvviso; è piuttosto l’ultima stazione di un processo di degenerazione politica.
Dev’essere ben chiaro, per prima cosa, che, anche quando il discorso diventa teorico e metastorico, la fenomenologia politica, praticata dalla Arendt, scorre sempre dentro un letto di fiume concreto e chiama in causa la “ vita activa”, un tessuto confezionato con ben tre fattori della condizione umana: animal laborans, homo faber, zoon politikon (lavoro, opera, politica). La politica - se ne evince - è agire.
Hannah Arendt, 1933
Si fa più chiaro l’orizzonte quando viene messo a fuoco l’intervento nefasto compiuto dal totalitarismo, riconoscendolo imbottito di tecnocrazia e di psicologia di massa. Prendono valenza certe origini, certi maestri e principi fondamentali. Le origini non possono che essere quelle greche; in sequenza i maestri richiamati vengono ad essere Platone Aristotele. Ancor più dei greci, contano le azioni dei Romani: per effetto della messa a punto del diritto e a conferma della dirimenza dell’ agire politico. Congruente a questo: l’importanza che H. Arendt attribuisce a Machiavelli, assiduo cultore delle “cose antiche” (romane), e a Madison, padre costituente della Dichiarazione americana nello spirito dei Padri Pellegrini fondatori.
La disamina delle due creature di H.Arendt: Che cos’è l’autorità? e Sulla violenza, mette Ricoeur in grado di rilevare il senso fondante della autorità. Innanzitutto essa è assunta nel senso della maiestas romana, e porta in seno il potere di cui è latore l’uomo, un potere però che Arendt sottolinea nella forma di: “agire di concerto”.
Sta qui la presenza-ombra della autorità, insidiata dalla dominazione che è attiva quando il potere è: agire in proprio (per conto di individui o di pochi).
Ricoeur argomenta, per così dire, di traverso, chiamando in causa osservazioni critiche di altri, di Habermas ad esempio. Quest’ultimo,  in effetti, rimprovera la Arendt: di far scadere la verità (norma fondativa) in opinione, vista l’eccedenza della pluralità.
Ricoeur, invece, replica che la pluralità è coessenziale alla democrazia; essa si innesta nel potere in quanto: agire di concerto.
Hannah Arendt, 1924
Conta inoltre - timbro originale del pensiero arendtiano - lo spazio, precisamente lo spazio pubblico di apparizione (3)(4): con la clausola che esso assume qualità trascendentale come lo spazio kantiano, in Kant era condizione a priori del vedere, qui, conditio sine qua non, dell’agire politico.
Ebbene, a questo punto, possiamo trarre le conclusioni: per vedere la conferma o meno dell’intervento curativo sulla democrazia malata.
L’ultima definizione porta in risalto le pesanti difficoltà odierne della democrazia sfuggita al controllo popolare. I rilievi della Arendt: fragilità- presenza ombra - obliato informavano già sulla necessità di aver cura di ripetere incessantemente la fondazione. (5) Ricoeur chiosa e conclude così: “L’obliato della politica pare scindersi in due: l’obliato di quel che noi siamo per il solo fatto di agire insieme - fosse anche in forma polemica -, e l’obliato di quel che siamo stati in forza di una fondazione anteriore sempre presunta e forse sempre introvabile?” (6)
 
💥Riflessioni sul margine della contingenza e dell’eterno.
Ricoeur punta decisamente a riconoscere ed estrapolare dall’assunto di Vita activa quel che sta sulla cresta della distinzione tra vita contemplativa e vita activa. La distinzione aiuta ad evitare commistioni, però permette comunicazione. Vita contemplativa rimanda infatti ad abiti umani, spogli del mutamento storico, al contrario di vita activa che è immersa nel mutamento, con il fine del suo governo.
Mettiamo attenzione al fatto che filtra qualcosa dal piano metastorico nella sfera dell’attività umana corrente; bisogna tenerne conto perché in essa è inscritto il valore della condizione umana.
Hannah Arendt, 1958 (Sammlung online)
Senza questo accorgimento si appiattisce la vita activa, di seguito la politica, sulle tendenze frivole secolari. Sulle conseguenze, entrando nello specifico, e richiamando la triade: lavoro-opera-azione: nel lavoro si travolge il valore della dignità umana, rendendolo servo del meccanismo economico del momento (rapporto di produzione); nell’azione si verifica la stessa corruzione, asservendola ad esigenze esogene e misconoscendo lo spazio pubblico. (7)
L’impasto innaturale determina il topos del Consumismo, che, in profondità, è una inversione tra uso e consumo, degradato il frutto dell’opera, l’elaborato che dura, in prodotto di consumo (deperibile). (8)
 
💥 Note.
(1) Ricoeur ,Hannah Arendt, Morcelliana.
(2) Guarda su Wikipedia.
(3) “ …questo altro concetto, sul quale si è scritto molto, è quello di spazio pubblico, più precisamente di spazio pubblico di apparizione. (…) Per contro, il concetto di spazio pubblico d’apparizione, definendo il quadro quasi spaziale (e anche espressamente spaziale, in termini di territorio e di frontiere, nel caso classico dello Stato-nazione), esprime la visibilità stessa del legame sociale, del ‘tra’ dell’inter-esse.” P. 39.
(4) Ricoeur, che tanto ha curato il campo della storia vissuta e della memoria, insiste per la collocazione precisa di questo concetto arendtiano: nel terreno metastorico.
(5) Sarebbe a dire: ripetere indefessamente l’atto costitutivo (non può che essere  la Costituzione).
(6) Ivi p. 53.
(7) Metto in risalto la quantità di concetti che H. Arendt ha assorbito dalla Fenomenologia è da Heidegger. A quest’ultimo appartiene il concetto di temporalità, che informa “Essere e tempo”. Finanche l’ultimo Heidegger. Di esso, il tema dell’abitare heideggeriano transita nella durata arendtiana.
(8) Di recente, Elettra Stimilli, in Filosofia dei mezzi, Neri Pozza 2023, si è soffermata sullo stesso nodo problematico parlando, con le parole della Arendt, di stravolgimento della relazione significato- fine. Per questo, uscendo fuori dalla composizione ordinata di lavoro opera azione si è portata l’azione al livello del lavoro, dove l’uomo fa rientrare il suo fare in un ciclo biologico, con l’effetto che qui - operare tecnico - si spinge il mezzo, diventato fine, a riprodursi infinitamente come fine superiore.

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