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domenica 4 agosto 2024

Felicità possibile

La felicità come vita pienamente sentita, sottratta all'apatia e all'indifferenza.
Post di Rossana Rolando
Immagini e video di Norman Sgrò (qui il sito)
 
Quid faciat laetas segetes…hinc canere incipiam
Che cosa renda feconde [liete, felici] le messi…da qui comincerò a cantare
(Virgilio, Georgiche, 1,1).
 
Norman Sgrò, Plus ultra
💥Socrate e il maiale
Parlando della felicità, nel vago senso che ciascuno può dare a questo termine, prima di una riflessione articolata e argomentata, ci si può chiedere anzitutto se essere felici sia davvero lo scopo dell’esistenza o se la serietà del vivere non chiami a compiti ben più alti che non garantiscono affatto la felicità individuale. Così pensa Kant il quale esclude l’utilità personale come movente del retto agire (pur non negando l’aspirazione alla felicità come conseguenza possibile della virtù), così ragiona, d’altra parte, un utilitarista come J. Stuart Mill che - in polemica con una certa identificazione di felicità e piacere - ritiene sia meglio “essere un uomo insoddisfatto piuttosto che un maiale soddisfatto, essere un Socrate infelice piuttosto che uno stupido felice. E se lo stupido o il maiale sono di diversa opinione, è perché conoscono solo un lato della questione”.
Norman Sgrò, Pneumo (Respiro)
Certo, una provocazione pungente, ma salutare, soprattutto oggi, nel sistema socioeconomico del consumo esasperato, all’interno del quale le grandi inquietudini sono narcotizzate e sostituite dalle piccole voglie dell’ultimo prodotto commerciale, dalle promesse sempre disilluse, di un “nuovo” che non è mai tale, dal piacere indistinto, svuotato di ogni domanda etica.
Se la felicità è questa cosa elementare, tutta risolta in un facile appagamento, ignaro della complessità e profondità dell’esistenza, allora sarà preferibile l’insoddisfazione di chi s’impegna per più alti obiettivi (un ideale di giustizia, un sogno di liberazione, una professione vissuta come vocazione e dedizione…), sia pure al prezzo di sofferenze, insuccessi e fatiche.¹
Ma vi è forse un significato diverso della felicità, connesso ad una vita degna di essere vissuta - ricca di valore, colma di pensiero, capace di continua crescita e maturazione - e, per questo, felice.
 
💥 Struggimento o realtà
Norman Sgrò, Evanescente
Pensare la felicità, nel solco della tradizione filosofica e letteraria, significa anzitutto orientarsi tra due direzioni: l’una legata al registro dell’assenza e della mancanza, al desiderio di qualcosa che non si possiede, ma che si “riconosce” nei rapidi ed evanescenti squarci - attimi, barlumi - in cui si manifesta; l’altra descritta come una condizione presente e possibile, uno stato della mente e del proprio essere che perdura nel tempo. 
Nel primo caso la felicità è oggetto che rimane inafferrabile e, prevalentemente, non dipende da uno sforzo umano, si può dire che capiti in sorte (εὐτυχία, in greco); nel secondo caso è un’attività, un modo d’essere che implica partecipazione operosa.
Kandinsky, chiaramente orientato verso la seconda opzione, descrive l’atto d’esistere con una duplice immagine: “si può osservare la strada stando dietro il vetro della finestra: i rumori ne vengono attutiti, i movimenti diventano fantomatici e la strada stessa appare, attraverso il vetro trasparente, ma saldo e duro, come un’entità separata, che pulsi in un «al di là». Oppure si apre la porta: si esce dall’isolamento, ci si immerge in questa entità, vi si diventa attivi e si partecipa a questo pulsare della vita con tutti i propri sensi”. E subito stabilisce un’analogia con la creazione artistica: l’opera d’arte chiede allo spettatore di entrare in essa, divenendone parte attiva, vivendone la pulsazione.²
 
💥 La storia della parola
Norman Sgrò, Modellare le curve
L’etimologia della parola greca eudaimonia (εὐδαιμονία) indica il buon demone che guida verso la felicità, intesa come vocazione da seguire, ma anche come pienezza di essere, fioritura della vita corrispondente al proprio demone. Il termine latino felicĭtas (fēlix), su cui lavora Michele Balzano, ha invece a che fare con la fecondità, con il dono e la generatività, con il rendere felice (ed esserlo), quindi porta a pensare la felicità come gratuità e gratificazione data dal rapporto con gli altri.³ 
Lo stesso Aristotele ritiene, d’altronde, che non si possa essere felici in solitudine.
 
💥 Felicità possibile
Sulla linea della felicità come condizione reale ed espansione della vita buona si pone la riflessione fenomenologica di Roberta De Monticelli – di cui continuo la lettura appassionata – nel suo L’ordine del cuore, testo che intende fondare un’etica del sentire e che dedica un ultimo denso capitoletto alla felicità possibile. Tre aspetti mi colpiscono in questa trattazione: il primo riguarda la definizione di felicità come vita pienamente sentita (che può comprendere in sé anche l’aspetto tragico e doloroso dell’esistere); il secondo, coerentemente, individua il termine opposto alla felicità, non identificandolo nella sofferenza (quando non sia assurda e insensata), ma piuttosto nella deficienza del sentire e dell’essere, nell’apatia e nell’indifferenza; il terzo concerne la posizione che la felicità assume nel processo della vita pratica: non fine verso il quale tendere, ma condizione che spinge ad agire in un certo modo.
Norman Sgrò, Le origini del fuoco
E qui il pensiero corre subito al grande Spinoza il quale sottolinea proprio questo: l’uomo agisce virtuosamente (in modo buono, grato, generoso, amorevole) perché beato (e non viceversa), dal momento che proprio l’aver provato la felicità (beatitudo) di certi comportamenti spinge ad agire di conseguenza.
 
💥 Note
1. Il richiamo al passo di John Stuart Mill (tratto da Utilitarismo) e lo sviluppo della critica alla facile soddisfazione si trovano in Martha C. Nussbaum, Chi è il guerriero felice, contenuto in Il valore aggiunto della filosofia. Tra etica ed economia, Morcelliana, Brescia 2023, pp. 122-123.
2. Wassily Kandinsky, Punto, linea, superficie, Adelphi, Milano 2021, pp. 21-22.
3. Marco Balzano, Felicità, in Le parole sono importanti, Einaudi, Torino 2019, pp. 19-24.
4. Aristotele, Etica nicomachea, Laterza, Bari 1983, Libro VIII, p. 193. a proposito dell’amicizia: “Essa infatti è una virtù o s’accompagna alla virtù; inoltre essa e cosa necessarissima per la vita. Infatti, nessuno sceglierebbe di vivere senza amici, anche se avesse tutti gli altri beni”.
5. Roberta De Monticelli, L’ordine del cuore. Etica e teoria del sentire, Garzanti, Milano 2012, pp. 287-294.
6. Cfr. Baruch Spinoza, Etica, Sansoni, Firenze 1963, p. 649 (Proposizione XLII).
 
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4 commenti:

  1. Cara Rossana: le tue riflessioni sono balsamo per il cuore e per la mente. Grazie. E grazie di cuore per le ottime indicazioni bibliografiche. Un abbraccio e buon tutto.

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  2. Ciao, cara Maria. Condividere letture e percorsi di riflessione con chi nutre interessi affini è già fonte di una piccola - ma benerfica - felicità. Un cara abbraccio.

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  3. Post ricchissimo di spunti di riflessione, come sempre! Interessanti in particolare le definizioni di felicità nel libro di Roberta de Monticelli.
    Grazie, cara Rossana, e un abbraccio di buone vacanze!

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  4. Grazie, Annamaria. De Monticelli è filosofa di grande lucidità e impegno. Come vedi mi appassionano molto il suo approccio e il suo percorso. Sono contenta se è sembrata interessante anche a te. Un abbraccio e buone vacanze.

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