Pare che il destino dell’Italia, ed
in qualche modo il destino di ognuno di noi (delle persone a noi prossime e di
quelle che mai conosceremo) sia appeso al destino giudiziario di un uomo di
strapotere. Dove è la giustizia? Dove la verità? Dove l’accettazione ed il
rispetto delle responsabilità personali? Dove l’accettazione ed il rispetto
delle prerogative istituzionali e della divisione dei poteri? Dove il senso
della misura e del discernimento? Dove la volontà di convivialità e di
comunione?
In questo tempo della notte e
dell’esodo ognuno di noi è defraudato in quanto uomo o donna e la politica è
svuotata e svilita a partito di affari. Ognuno di noi, vivendo
di ciò che i media decidono e fanno esistere, pare sacrificato ad
una cultura che nega ogni dimensione di comunione, ogni volontà di
solidarietà, ogni speranza di giustizia.
Non si può tacere di fronte a questa
vecchia-nuova difesa dei propri privilegi, alla cultura dell’arroganza, agli
egoismi fiscali e corporativi, agli egoismi regionali, agli egoismi etnici e
razzisti, al liberismo ad oltranza che maschera ipocrisie e giochi degli affari.
Non è solo un pericolo che opprime la
vita, ma un peccato che sterilizza le anime e gli stessi valori cristiani,
troppo spesso usati come paravento e giustificazione di un ordine che è un
disordine, di una carità che è gioco ozioso, di una libertà che è l’iniziativa
lasciata ai potenti di condurre la partita.
Non basta l’indignazione se non si
traduce in presenza. Non basta prendere coscienza se non si prende posizione
contro un disordine troppo esteso e troppo tenace per essere combattuto senza
versare nulla e senza reclamare volti nuovi.
Non basta uscire dal silenzio e
dall’indifferenza sulle ingiustizie.
Non bastano le facili denunce il cui
principale difetto è quello di fare pesare le responsabilità sugli altri.
Occorre l’impegno che è virtù non
dell’istante ma della durata e che è dato dal cambiamento personale, dal
sacrificio, dalla fedeltà e dalla testimonianza come servizio permanente alla
verità.
Né rassegnati né disperati, viviamo
la speranza, amiamo la terra dei viventi, coltiviamo l’utopia che è insieme
denuncia ed annuncio, resistenza e proposta, pensiero creativo e realismo
pragmatico e propositivo.
Ciò che spaventa maggiormente in questa “ora” che stiamo vivendo e che dura ormai da circa un ventennio, è quella situazione spirituale che Italo Mancini descriveva come “asignificanza delle rotture”, espressione con la quale intendeva spiegare il volto attuale della crisi, per cui non è più significante la distinzione tra bene e male, tra giusto e ingiusto. Per questo il rimorso non ha una voce, l’espiazione non è cercata e la pena non è giustificata
RispondiEliminaItalo Mancini è anche per me un riferimento non marginale. Penso in particolare ad un suo scritto di non difficile lettura: “TORNINO I VOLTI”, ed. Marietti.
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