Il libro di Marco Balzano, "Resto qui", associato al 25 aprile e alla categoria spirituale della resistenza.
Post di Rossana Rolando.Marco Balzano, Resto qui, Einaudi |
Se associo questo suo libro alla ricorrenza del 25 aprile non è certo per il contenuto storico di liberazione dal nazifascismo - e dall’orrore del potere rappresentato da esso - che la giornata tradizionalmente richiama.
La storia raccontata non rileva alcuna vera discontinuità tra il prima e il dopo (rispetto al 25/4/1945). Narra di un paese della Val Venosta, nel sud Tirolo, vicino alla Svizzera, che conosce l’occupazione fascista prima (fino al 1943) e quella nazista poi (fino al 1945). La politica di italianizzazione condotta dal regime nei confronti della popolazione, di lingua tedesca, innesca una guerra tra italiani e sud tirolesi, tale da condurre questi ultimi, o almeno molti di loro, a vedere nel führer una possibilità di scampo rispetto all’oppressione fascista.
E, soprattutto, racconta di una diga - progettata
prima degli anni ’20, iniziata nel 1940 e portata a termine nel 1950, a guerra conclusa - che seppellisce sotto una tomba d’acqua il paese di Curon (di cui
fanno parte i protagonisti del romanzo), lasciando al suo posto un grande lago,
da cui emerge soltanto il campanile di una chiesa, unica vestigia di un passato
dimenticato.
Tra il fascismo e il dopoguerra, per il
destino del luogo – “i masi, la chiesa, le botteghe, i campi dove pascolavano
le bestie”² - non cambia nulla: nessun 25 aprile interrompe quella
logica per cui “il progresso vale più di un mucchietto di case”³.
❄️Dunque il motivo per il quale credo di poter associare “Resto qui” al 25 aprile va ben al di là della semplice ricorrenza storica: è lo spirito che attraversa il libro e che trova la sua sintesi nella postfazione dello stesso Marco Balzano:
“Se la storia di quella terra e della diga non mi fossero parse da subito capaci di ospitare una storia più intima e personale, attraverso cui filtrare la Storia con la s maiuscola, se non mi fossero immediatamente sembrate di valore più generale per parlare di incuria, di confini, di violenza del potere, dell’importanza e dell’impotenza della parola, non avrei, nonostante il fascino che questa realtà esercita su di me, trovato interesse sufficiente per studiare quelle vicende e scrivere un romanzo”⁴.
❄️Dunque il motivo per il quale credo di poter associare “Resto qui” al 25 aprile va ben al di là della semplice ricorrenza storica: è lo spirito che attraversa il libro e che trova la sua sintesi nella postfazione dello stesso Marco Balzano:
“Se la storia di quella terra e della diga non mi fossero parse da subito capaci di ospitare una storia più intima e personale, attraverso cui filtrare la Storia con la s maiuscola, se non mi fossero immediatamente sembrate di valore più generale per parlare di incuria, di confini, di violenza del potere, dell’importanza e dell’impotenza della parola, non avrei, nonostante il fascino che questa realtà esercita su di me, trovato interesse sufficiente per studiare quelle vicende e scrivere un romanzo”⁴.
Campanile di Curon, Val Venosta |
In questo “valore più generale” colgo il
vero significato della festa della liberazione, intesa come celebrazione della
resistenza ad ogni forma di oppressione del potere costituito e quindi pensata come “categoria
dello spirito”, al di là della cronologia storicamente situata.
Nel romanzo tale valore resistenziale si esprime in due aspetti, in particolare.
🌟 In primo luogo nelle figure dei “restanti”⁵: coloro che “stanno”, come suggerisce il termine re-stare, in quanto “re-sistono”, non cedono all'urto, rimangono saldi.
Erich, il marito di Trina, per il quale la vita è “questione di idee prima che di affetti”⁶, idee così importanti da separarlo per sempre dallo stesso figlio Michael, prima simpatizzante e poi soldato del führer. Erich non aderisce né al fascismo né al nazismo e tuttavia è costretto ad arruolarsi nell'esercito italiano (inviato in Albania e poi in Grecia) e ad uccidere. Dopo l'8 settembre, rientrato orami a Curon, per una ferita alla gamba, teme di essere costretto dai tedeschi occupanti ad arruolarsi nella Wehrmacht e decide perciò di scappare sulle montagne con Trina, sopravvivendo agli stenti e alla fame con altri compagni di diserzione. Al termine del conflitto, una volta ripresa la vita di un tempo, continua ad opporsi con ogni forza alla progettazione e alla realizzazione della diga.
La stessa Trina, voce narrante, è una “restante”: non tanto o non solo per il luogo fisico (per stare – come dice Erich - nel paese in cui si è nati), quanto piuttosto per rimanere fedele ai suoi legami. Resta dalla parte di Erich, prima insegnando nelle scuole clandestine in opposizione al fascismo, poi sposandolo e attendendolo soffertamente, infine seguendolo come disertore in montagna. Trina si riconferma stabilmente dalla parte dei suoi affetti (l’amica Barbara mandata al confino, la figlia Marica fuggita in Svizzera, il figlio Michael sedotto da Hitler…), depositaria di profonde lacerazioni, di dolori vissuti in solitudine, custoditi nel segreto.
Infine Padre Alfred, il parroco di Curon, che nel dopoguerra si mobilita per coinvolgere le più alte cariche ecclesiali in difesa del paese - perché sia messo al riparo dal rischio imminente di essere per sempre sommerso - fino ad organizzare una visita al papa Pio XII. La critica (non insistita, ma comunque presente lungo l’intero svolgimento del romanzo) nei confronti del tema teologico, visto come rifugio consolatorio “di quelli che non vogliono muovere un dito”⁷, ammette un’unica forma di religione: quella che si fa partigiana in difesa degli oppressi. A Trina che domanda ad Erich perché, dopo la guerra, ha ripreso ad andare in chiesa, egli risponde: “Chi ha difeso la nostra lingua quando i fascisti la calpestavano e ci rifilavano la loro scuola? Chi è rimasto a difendere il Sudtirolo? I politici, l’Italia, l’Austria hanno fatto a gara a lavarsene le mani. Solo la Chiesa si è occupata di noi”⁸.
Queste figure resistenziali (Erich,
Trina, padre Alfred, i contadini fuggiaschi) insieme ad altre, meno nette, risaltano
per la loro opposizione caparbia al corso degli eventi, rispetto all’indifferenza
di chi non è mai presenza attiva, troppo vecchio per andarsene e troppo giovane
per rimanere, ma pur sempre impossibilitato a combattere.
🌟 In secondo luogo il valore resistenziale si esprime nel significato conferito alla parola, soprattutto nella sua forma scritta. Missive, articoli, proclami sono i mezzi per esprimere il dissenso, per far sentire ai potenti la propria voce. Soprattutto Trina scrive, lei che ha studiato come maestra e ha imparato l’italiano negli anni del fascismo.
Ma scrive anche in un altro senso, più intimo e personale: lettere che non spedirà mai, pagine e pagine di un diario interiore in cui cerca di contenere i sentimenti, gli affetti, il tempo.
Certo le parole sono fragili: “non basteranno le parole a salvarvi”⁹ (vien detto di fronte al pacco di lettere che Trina ha fatto compilare ai bambini perché non si costruisse la diga) o ancora: “Le parole non potevano niente contro i muri che aveva alzato il silenzio”¹⁰.
Eppure, per Trina, in alcuni casi “le parole possono smuovere le montagne” e l’errore più grosso consiste nel “non interrogarle, non cercarle, non farle parlare prima. Le parole”¹¹.
E ancora, per lei, come si dice già in apertura del romanzo, le parole rappresentano la via per salvarsi dalla crudeltà degli eventi, per arginare e sopportare il lato oscuro della vita: “Io credevo che il sapere più grande, specie per una donna, fossero le parole. Fatti, storie, fantasie, ciò che contava era averne fame e tenersele strette per quando la vita si complicava o si faceva spoglia. Credevo che mi potessero salvare, le parole¹².
🌀Note.
Nel romanzo tale valore resistenziale si esprime in due aspetti, in particolare.
🌟 In primo luogo nelle figure dei “restanti”⁵: coloro che “stanno”, come suggerisce il termine re-stare, in quanto “re-sistono”, non cedono all'urto, rimangono saldi.
Erich, il marito di Trina, per il quale la vita è “questione di idee prima che di affetti”⁶, idee così importanti da separarlo per sempre dallo stesso figlio Michael, prima simpatizzante e poi soldato del führer. Erich non aderisce né al fascismo né al nazismo e tuttavia è costretto ad arruolarsi nell'esercito italiano (inviato in Albania e poi in Grecia) e ad uccidere. Dopo l'8 settembre, rientrato orami a Curon, per una ferita alla gamba, teme di essere costretto dai tedeschi occupanti ad arruolarsi nella Wehrmacht e decide perciò di scappare sulle montagne con Trina, sopravvivendo agli stenti e alla fame con altri compagni di diserzione. Al termine del conflitto, una volta ripresa la vita di un tempo, continua ad opporsi con ogni forza alla progettazione e alla realizzazione della diga.
La stessa Trina, voce narrante, è una “restante”: non tanto o non solo per il luogo fisico (per stare – come dice Erich - nel paese in cui si è nati), quanto piuttosto per rimanere fedele ai suoi legami. Resta dalla parte di Erich, prima insegnando nelle scuole clandestine in opposizione al fascismo, poi sposandolo e attendendolo soffertamente, infine seguendolo come disertore in montagna. Trina si riconferma stabilmente dalla parte dei suoi affetti (l’amica Barbara mandata al confino, la figlia Marica fuggita in Svizzera, il figlio Michael sedotto da Hitler…), depositaria di profonde lacerazioni, di dolori vissuti in solitudine, custoditi nel segreto.
Infine Padre Alfred, il parroco di Curon, che nel dopoguerra si mobilita per coinvolgere le più alte cariche ecclesiali in difesa del paese - perché sia messo al riparo dal rischio imminente di essere per sempre sommerso - fino ad organizzare una visita al papa Pio XII. La critica (non insistita, ma comunque presente lungo l’intero svolgimento del romanzo) nei confronti del tema teologico, visto come rifugio consolatorio “di quelli che non vogliono muovere un dito”⁷, ammette un’unica forma di religione: quella che si fa partigiana in difesa degli oppressi. A Trina che domanda ad Erich perché, dopo la guerra, ha ripreso ad andare in chiesa, egli risponde: “Chi ha difeso la nostra lingua quando i fascisti la calpestavano e ci rifilavano la loro scuola? Chi è rimasto a difendere il Sudtirolo? I politici, l’Italia, l’Austria hanno fatto a gara a lavarsene le mani. Solo la Chiesa si è occupata di noi”⁸.
Curon, Val Venosta, 1948 |
🌟 In secondo luogo il valore resistenziale si esprime nel significato conferito alla parola, soprattutto nella sua forma scritta. Missive, articoli, proclami sono i mezzi per esprimere il dissenso, per far sentire ai potenti la propria voce. Soprattutto Trina scrive, lei che ha studiato come maestra e ha imparato l’italiano negli anni del fascismo.
Ma scrive anche in un altro senso, più intimo e personale: lettere che non spedirà mai, pagine e pagine di un diario interiore in cui cerca di contenere i sentimenti, gli affetti, il tempo.
Certo le parole sono fragili: “non basteranno le parole a salvarvi”⁹ (vien detto di fronte al pacco di lettere che Trina ha fatto compilare ai bambini perché non si costruisse la diga) o ancora: “Le parole non potevano niente contro i muri che aveva alzato il silenzio”¹⁰.
Eppure, per Trina, in alcuni casi “le parole possono smuovere le montagne” e l’errore più grosso consiste nel “non interrogarle, non cercarle, non farle parlare prima. Le parole”¹¹.
E ancora, per lei, come si dice già in apertura del romanzo, le parole rappresentano la via per salvarsi dalla crudeltà degli eventi, per arginare e sopportare il lato oscuro della vita: “Io credevo che il sapere più grande, specie per una donna, fossero le parole. Fatti, storie, fantasie, ciò che contava era averne fame e tenersele strette per quando la vita si complicava o si faceva spoglia. Credevo che mi potessero salvare, le parole¹².
🌀Note.
1. Marco Balzano, Resto qui,
Einaudi, Torino 2018.
2. Marco Balzano, Resto qui, cit. p. 18.
3. Ibidem, p. 167.
4. Ibidem, p.179.
5. Ibidem, p.43.
6. Ibidem, p.130.
7. Ibidem, p. 84.
8. Ibidem, p.144.
9. Ibidem, p.160.
10. Ibidem, p.127.
11. Ibidem, p.145.
12. Ibidem, p. 6.
2. Marco Balzano, Resto qui, cit. p. 18.
3. Ibidem, p. 167.
4. Ibidem, p.179.
5. Ibidem, p.43.
6. Ibidem, p.130.
7. Ibidem, p. 84.
8. Ibidem, p.144.
9. Ibidem, p.160.
10. Ibidem, p.127.
11. Ibidem, p.145.
12. Ibidem, p. 6.
La storia di Curon la conoscevo già e mi aveva talmente incuriosito da smuovere il mio proposito di visitarla. ( Tante volte però il turismo di voyeur è volgare!)
RispondiEliminaDel libro avevo letto qualche recensione.
Tu, Rossana, ricostruisci alla perfezione la trama è il messaggio : l’intimita’ di una storia, il suo valore testimoniale e storico, quindi il significato di “resistenza”.
E mi piace molto il tuo modo originale di celebrare in tal modo la Resistenza...
Per chi - come te e come noi - crede davvero nel valore della Resistenza (nel senso storico e spirituale), il 25 aprile non può ridursi ad un "rito stanco", ad un esercizio di vuota retorica. Guardo con timore alla banalizzazione di questa festa che dovrebbe essere considerata fondante della nostra convivenza e dovrebbe costituire un richiamo a "restare" quotidianamente vigili, "resistendo".
EliminaSì, proprio una grande originalità nel celebrare il 25 aprile, perchè va alla radice del RESISTERE, in un ambito dove la storia ufficiale s'intreccia alla microstoria, alla sua ricchezza e al suo valore.
RispondiEliminaMa l'esortazione a restare saldi, a re-sistere - per quanto fragile - anche con la parola, è quanto mai attuale soprattutto in questi tempi segnati da eventi crudeli.
Grazie, cara Rossana, e un abbraccio!!
Cara Annamaria, le parole - nella loro etimologia (come tu ben cogli) - ci guidano, sono capaci di ridare consistenza e spessore ai pensieri.
EliminaMi affascina la parentela tra re-sistere e re-stare: hanno la stessa radice, quella dello "stare", e lo stesso prefisso (re, addietro) che indica un'opposizione, un radicamento nel tempo, una memoria, come condizione del rimanere saldi.
Un caro abbraccio.
Oggi ho iniziato a leggere "Resto qui" . Mi è piaciuto leggere la trama e il messaggio di questa storia, grazie.
RispondiEliminaSono contenta di questa condivisione di pensieri e di letture. Un saluto.
EliminaGrazie del post e della recensione. Conosco bene quei luoghi per averne frequentato le montagne d'estate ed aver partecipato alla gara podistica che si corre proprio sul percorso intorno al lago artificiale. Ritengo che la storia del Sudtirolo sia una storia di resistenza, come spesso accade per le terre di confine. Lo si percepisce chiaramente ancora oggi, anche da semplice amante della montagna.
RispondiEliminaPreziosa testimonianza della diretta esperienza di una persona sensibile e attenta come lei. Bella anche l'associazione tra resistenza e terra di confine. Tra le parole esaminate nell'ultimo libro di Marco Balzano (Le parole sono importanti) c'è proprio "confine". Un caro saluto.
EliminaMolto bella, se possiamo così definirla, "la recensione" del libro(purtroppo io sono sempre "a corto" di parole) fatta dalla signora Rossana che ha suscitato in me un profondo interesse per lo stesso, tanto che presto andrò ad acquistarlo. Grazie per il vostro lavoro.
RispondiEliminaPer noi è un piacere trovare rispondenza in persone che vivono le nostre inquietudini esistenziali e sanno cogliere comuni valori e dimensioni culturali. Un caro saluto.
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