Il primato della coscienza - strumento per riconoscere il giusto e il bene - viene ricordato nel saggio di Mino Martinazzoli. E l'avvertimento è tanto più prezioso nel nostro tempo in cui domina la logica della semplice legalità contrattuale.
Post di Gian Maria Zavattaro Immagini della vita di Mosè negli affreschi della Cappella Sistina.
Cosimo Rosselli, Mosè e le tavole della legge (1481-1482), Cappella Sistina |
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Cosimo Rosselli, Mosè e le tavole della legge (1481-1482), particolare (Mosè spezza le tavole) Cappella Sistina |
I tre saggi raccolti nel testo citato sono come il suo “testamento spirituale”, che trova nella Bibbia “libro dei libri” il fondamento dell’agire politico e sociale di un uomo alieno da ogni presunzione, nutrito di letteratura, assetato di assoluto e proprio per questo vivificato dal “rovello del dubbio” e consapevole dei limiti della politica (3).
Provo a riflettere sul primo saggio proposto dal libro sopra citato, riservandomi un'ulteriore riflessione su Nicodemo.
✴️ Mosè: la libertà e la legge.
“La fondazione del fondamento”. In Es. 32:1-20 Mosè consegna le tavole dei dieci Comandamenti alla sua gente ingrata, incapace di attendere, “dalla dura cervice”. (4) Ha un doloroso inizio il Decalogo, ”legge che è il pegno dell’alleanza tra Dio ed il suo popolo, che unifica, nella responsabilità del popolo verso Dio, la libertà e l’obbligo. Pagina imperitura da leggere nei secoli dei secoli poiché, fondandola sulla rivelazione divina, scrive la storia delle origini della moralità”. (5)
Cosimo Rosselli, Mosè e le tavole della legge (1481-1482), particolare (il vitello d'oro) Cappella Sistina |
✴️ Oggi il Decalogo pare diventato muto. Nella società degli individui lo spirito della democrazia non si declina “nel sentimento di un’obbligazione che lega la responsabilità di ciascuno alla sorte intera dell’umanità, al rosario incalcolabile delle creature che hanno camminato, camminano e cammineranno sullo splendore e sul dolore della terra” (8).
Sandro Botticelli (1481-1482), Vita di Mosè (La punizione dei ribelli), Cappella Sistina |
C'è il grave rischio dell’avanzare del potere seduttivo della tentazione totalitaria la quale, “sotto l’etichetta accattivante della ‘libertà di scelta’ individuale vistosamente esibita negli ipermercati mediatici delle filosofie di stagione, rende friabile il diritto all’esistenza dell’‘altro’ più debole e il diritto della terra ad essere abitata, non depredata”. (9)
Nell’epoca della globalizzazione, "nella geografia della violenza e dell’ingiustizia, nell’urto inestricabile delle ragioni e dei torti, dei bisogni e delle pretese", come impegnarci per la globalizzazione della legge, del diritto, delle garanzie di libertà e come potrà essere il mondo? (10) E' la domanda "quid veritas?": domanda che mette in gioco la nostra coscienza e il nostro attuale modo di vivere la legge.
Sandro Botticelli, Prove di Mosè (1481-1482), Cappella Sistina |
Domanda alla quale non c’è risposta se non si ritorna alla persona (11) e alla sua responsabilità, se non si guarda l’etica prima che la politica, se non ci si convince che è problema di verità. Il “Quid veritas?" inquieta, si preferisce rimuoverlo o risolverlo in un relativismo etico predicato come valore che in realtà inficia l’idea stessa di valore e “che non appartiene alla cultura pluralista della coscienza europea“.
Pensare che la nostra libertà abbia a che fare con la verità rinsalda invece il senso della vita sociale, “poiché questa verità non si impone ma semplicemente si testimonia”. (12)
✴️ Raccolgo almeno due provocazioni: non smettere, proseguire.
- "Non smettere di farci domande anche se non possiamo pretendere che ci sia una risposta per tutti e per sempre. Probabilmente è questo il nostro destino, che merita di essere amato perché è pur sempre un grande appassionante destino".
- Proseguire, sulla scia di Mosè, “il viaggio dell’educazione alla libertà, alla disciplina della libertà, al prezzo della libertà”. (13)
✴️ “Domani
saprò la verità”.
Bartolomeo della Gatta e Luca Signorelli, Testamento e morte di Mosè (1482), Cappella Sistina |
Nell'appassionata raffigurazione degli ultimi istanti di Mosè, Martinazzoli ci rassicura: ”possiamo credere che in quell’attimo, a quel limite dell’orizzonte e dell’esistenza, nella rivelazione di ciò che finisce e di ciò che comincia, gli occhi stanchi del morente abbiano compreso l’immortalità”. (14)
Intensa struggente analogia con la testimonianza dell’amico Tino Bini: “Poche ore prima di attraversare la sottile linea che l’ha condotto di là, mentre perdeva conoscenza per entrare in agonia, Mino, nella certezza di intravedere la risposta ultima, sussurrò a chi gli stava vicino “domani saprò la verità”. Moriva il giorno dopo, il 4 settembre del 2011”. (15)
✴️ Note.
Bartolomeo della Gatta e Luca Signorelli, Testamento e morte di Mosè (1482), Cappella Sistina |
2. cfr. o.c., p.118. Penso ad es. alle sue dimissioni da ministro del governo Andreotti insieme a Mattarella ed altri tre, in quanto contrari all’approvazione parlamentare della legge Mammì.
3. cfr. postfazione di Pietro Gibellini, pp. 122-123 e M. Martinazzoli, I limiti della politica, Morcelliana, Brescia, 1985. P. Gibellini nella postfazione cita il seguente passo: “In altri termini si può essere a sinistra, a destra o nel centro. Si può essere persino tutte e tre le cose insieme, ciò che - secondo qualcuno - non guasta. Ma, pregiudizialmente, bisogna essere. Per noi, per un partito, questo significa avere memoria del futuro piuttosto che rimpianto del passato” (p.123).
4. L’attesa delle Tavole da parte di “una turba di pastori, di nomadi stretti ed avviliti tra le potenze di Egitto e Babilonia” è il doloroso inizio del formarsi di un popolo, “strazio di una nascita mai scontata, più spesso revocata e tuttavia raggiunta" (p.23).
5. o.c. p.26. Martinazzoli fa riferimento ad un antico midrash, di cui riporto il finale:”Non vi ho dato la Torah perché sia per voi un peso e perché la portiate, ma perché la Torah porti voi”(p.27).
6. Qualche esempio: il Mosè di Michelangelo (”Perché non parli?”) ed il suo tormento di non saper esprimere l’inesprimibile, nel raffronto con il Mosè di Es. 4:10-16), uomo non di facile parola nemmeno per l’innanzi, ancora più tardo ed impedito ed impari rispetto a Dio, totalmente Altro, il cui nome è “una sigla di quattro lettere, il tetragramma, scritte non per essere pronunciate ma aggirate” (p.18); il Mosè di Schonberg (Mosè e Aronne), di Gregorio di Nissa (Vita di Mosè), di Dante (“quel duca sotto cui visse di manna – la gente ingrata, mobile e retrosa”), il ”piccolo libro” di Kolitz unico superstite del ghetto di Varsavia (“Adesso, questa nostra legge è resa ancora più valida ed eterna dal fatto di essere così violata e calpestata. Amo Dio ma amo di più la sua legge”)… (pp. 16-26).
7. o.c. p. 35. Cfr. pure pp. 27-41.
8. o.c., pp. 39-40.
9. o.c., p.42.
10. cfr. o.c., pp.36-37.
11. Assai pertinente la citazione di Rosmini: “Il diritto altro non è che la persona umana. Non la persona ha il diritto, ma la persona è il diritto”. p. 36.
12. o.c., p.42.
13. o.c., p.43.
14. cfr. pp.43-45.
15.Tino Bino, Prefazione all’o.c., p.11.
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Le abbiamo provate tutte! La politica si è fatta discendere dalla natura razionale dell’uomo, che si completa nella comunione sociale( Aristotele). La si è coltivata come virtù del demos partecipe nell’assemblea pubblica ( Pericle). È stata declinata come frutto di “dispositio innata” immessa da Dio nella società degli uomini, guida dello Stato naturale ( San Tommaso). È stata ripensata come “artificio razionale”, che stipula il “ contratto originario ( Grozio- giusnaturalismo) E nel ‘ 900 Kelsen ha passato una “ mano di vernice giuspositivista “... Mounier, caro a noi del blog ci ha spinto a guardare alla Persona.
RispondiEliminaTanti precedenti e tutti lontani dalla decadenza vistosa della politica in mestiere,peggio in affare.
Non ci salveremo mai se non usciamo dall’inganno di uomini-gruppi- poteri che , in vaio modo, sollecitano il Potere! La politica ha senso, prende senso solo nel Bene ( lo si pure rendere con bene, ma mai scendere all’utile). Grazie Gian Maria per averci fatto riflettere tramite lun testimone come Martinazzoli.
Grazie a te, Rosario. Il richiamo di Martinazzoli alla coscienza ed all’etica (“spirito della democrazia”) è oggi più che mai attuale ed urgente. Era ben presente nel cuore e nella mente di un “laico” come N. Bobbio quando scriveva (Elogio della mitezza, Il saggiatore, Milano 2010): “Ho più volte contrapposto la democrazia ai governi non democratici. Ritengo infatti che una delle caratteristiche positive della democrazia, che ci induce a dire che essa è la migliore, o la meno cattiva, delle forme di governo, è anche questa: la democrazia è quel sistema politico che permette il maggiore avvicinamento tra le esigenze della morale e quelle della politica”.
EliminaChe nostalgia di Martinazz, come lo chiamavamo noi...Un grandissimo...
RispondiEliminaChissà quanti ricordi, pensieri, emozioni, utopie, sogni trasformati ogni giorni in azioni, aspirazioni ed impegni denotano e connotano la “nostalgia”!
EliminaIn un tentativo di difesa dei non pienamente responsabili:http://lanostrastoria.corriere.it/.../ponzio-pilato-non.../
RispondiEliminaProbabilmente oggi Martinazzoli correggerebbe il luogo comune affermato da Tino Bino allo stesso modo del nicodemismo, dichiarandolo anch’esso “fuori corso e non più utilizzabile”, magari citando la testimonianza ad es. di Tertulliano: Ponzio Pilato pro sua conscientia Christianus.. Di Ponzio Pilato sin da piccolo sono stato conquistato ed attratto dalla leggenda che lo vuole, caduto in disgrazia ed esiliato dal’imperatore, a Torino (Augusta Taurinorum), relegato nelle Torri Palatine, a tutt’oggi ben conservate. Quanto basta perché un ragazzino piemontese tutto di lui perdonasse. Resta il fatto che il suo nome (sub Pontio Pilato) è e sarà per sempre unito a quello di Gesù.
EliminaNon conoscevo lo spessore teoretico di Martinazzoli, del quale ho sempre apprezzato le capacità politiche e il grande senso etico. Grazie di quest'arricchimento.
RispondiEliminaQuanto aavremmo bisogno oggi di intellettuali prestati alla politica, privi di "obbedienza devota" e di chiusure e steccati, protesi verso nobili orizzonti, sempre “un poco da un’altra parte” ...
Quest’assenza è precisamente la tragicommedia della nostra Italia odierna (e non solo dell’Italia). La commedia dell’aritmetica del contratto che si trasforma nella tragedia incombente “dell’ostentazione impudente, dell’improvvisazione accattivante, del libertinaggio delle idee e delle scelte”, dove l’orizzonte non è il bene comune e “i mezzi non tanto giustificano i fini quanto li generano” (citazioni da Martinazzoli, Elogio di Nicodemo).
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