Una coinvolgente rilettura della figura di Nicodemo che mette in discussione gli stereotipi relativi al personaggio evangelico e gli usi del termine derivato "nicodemismo".
Post di Gian Maria Zavattaro.
Crijn Hendricksz Volmarijn (1601-1645), Cristo e Nicodemo |
L’ “Elogio di Nicodemo”,
scritto da Martinazzoli nel 2002 (1), non vuole essere l’esegesi di una
“memorabile pagina” del Vangelo (Giovanni 3,1-21), si limita a “proporre
qualche ragguaglio” intorno a Nicodemo.
Il saggio si apre sul dipinto
di Caravaggio La
deposizione nel sepolcro, dove “Nicodemo solleva, quasi
abbracciandoli, gli arti inferiori di Gesù in un gesto che si direbbe insieme
compassionevole e professionale e, anche per il modo in cui regge con le
braccia il peso e la fatica, il suo viso e i suoi occhi sembrano guardare
fuori dal quadro”. E si chiude “con un abbraccio dato all’uomo che aveva
abbracciato il corpo di Cristo” (2).
Nicodemo nella Deposizione di Caravaggio (1602-1603) |
Nicodemo è un fariseo, un capo dei Giudei,
perciò “anche un politico”, al quale non può sfuggire “la potenzialità
rivoluzionaria e destabilizzante delle parole e dei comportamenti di Gesù”. Si
reca da lui di
notte; nel Sinedrio tenta di difenderlo da Caifa, ricordando
l’intangibilità della legge che richiede di ascoltare il reo prima di
condannarlo (ma “omette il fatto che lui ha già ascoltato”); poi tace (3).
Infine è con Giuseppe d’Arimatea a prendere il corpo di Gesù, porta una mistura
di mirra e di aloe di circa cento libbre, lo avvolge in bende insieme con oli
aromatici, com’è usanza seppellire per i Giudei (Giovanni, 19).
Per noi è colui che andò da Gesù di
notte: “un tòpos
dell’ambiguità, dell’accortezza e, meglio, della dissimulazione”, tanto da
meritare il discutibile onore di una denominazione d’origine: “nicodemismo”, accusa che nel
linguaggio della politica e del potere vuol dire doppio gioco. (4)
E’ una precisa imputazione - incalza
Martinazzoli - che “conviene leggere, per essere equanimi, con non poca
pedanteria”.
Perugino, Pietà con Nicodemo e Giuseppe d'Arimatea (1495) |
Emerge un duplice interrogativo: si
possono conciliare le ragioni della coscienza con la politica? Qual è oggi “lo
stato di salute del nicodemismo?
“Il nicodemismo, nell’accezione
che abbiamo visto, è più che l’antitodo, la tana in cui ripara il suddito
costretto sotto un dominio assoluto ed illimitato. E’ la notte dell’arbitrio ed
il corollario della paura. Si accompagna a tutte le storie e a tutte le
geografie in cui registriamo l’eclissi della libertà” (6) ed è legato al
controverso tragitto compiuto dalla società umana “verso una conformazione
democratica, cioè limitata, del potere, anzitutto del potere politico,
maturando la consapevolezza che solo la distinzione, la separazione dei poteri
ne attutisce il rischio e ne aumenta l’abitudine ordinatrice e regolatrice”
(7).
Martinazzoli ci sollecita a
dichiarare questa parola oggi, “come si fa per le monete, fuori corso e non più
utilizzabile” per una duplice motivazione.
La prima ragione riguarda la stessa legittimità
semantica del “nicodemismo” e ci riporta al vangelo di Giovanni, che non
spiega perché Nicodemo sia andato da Gesù di notte. La circostanza di tempo
allude certamente a un incontro riservato, ma non è detto che fosse
in gioco una volontà di doppiezza (8).
E’ invece l’incontro, non
l’ora notturna, a decidere la via di Nicodèmo ed è questo incontro che ne
dovrebbe avvalorare la memoria. “La fatica dolorosa del ‘rinascere’ che gli
viene proposta non è un luogo ideologico ma la provocazione perenne che
ci tocca, quale che sia la nostra fede o il nostro scetticismo. Si tratta del
punto in cui la nostra libertà incrocia la nostra personale
responsabilità di fronte al male del mondo, che ci riguarda per la
ragione che esso sta conficcato al fondo della condizione umana. […] Come in
questi giorni inquieti, segnati dalla ferocia e dalla collera” (9).
Cima da Conegliano, Cristo sostenuto da Nicodemo, Giovanni Evangelista e la Madonna, 1490 |
La domanda rivolta da Nicodemo al
Sinedrio (La
nostra legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò
che fa?) è “la domanda più elementare e più fastidiosa” che nessuno
può eludere, neppure noi che viviamo sul confine della violenza e del
nichilismo: che cosa è il bene e
che cosa è il male? “Di questo, anche di questo parlò Gesù a
Nicodemo: “E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini
hanno preferito le tenebre alla luce, perché le opere erano malvagie” (Giovanni
3,21).
Nicodemo viene censurato perché
ascolta quasi clandestinamente: è “una congiura che davvero non merita consensi
in tempi nei quali si pratica non tanto il trasformismo quanto il
libertinaggio delle idee e delle scelte”10).
La seconda ragione è appunto la “sua inattualità,
nel senso che, se una cosa non c’è più, non c’è ragione perché debba
sopravvivere il nome”. Ebbene nella nostra società “alla dissimulazione si è
sostituita l’ostentazione strepitosa, alla durata dei comportamenti
l’istantanea magia degli eventi, alla discreta traccia dell’essere la vistosa
evidenza dell’apparire, alla costanza della ragione le capriole
dell’improvvisazione accattivante.
Tutto deve essere clamorosamente visibile ed
esibito, tutto deve stare alla superficie, nulla nella profondità. Ciò che
importa è essere puntuali all’ora del successo o della sua illusione… Così
l’impudenza sorpassa l’ipocrisia, mentre la prosopopea sostituisce la
sincerità”. Svanisce il pudore, “non solo quello del corpo, ma l’altro,
quello della parola”. Le parole! Cambiano secondo la convenienza, “futili come
il calcolo che le sottende e la presunzione che le ispira. […] L'importante è
che tutto si svolga sotto la luce artificiale dei riflettori, possibilmente televisivi,
solleciti all’occhio bulimico dell’homo videns,
spesso e rischiosamente prossimo all’homo demens”. Trionfo
dei furbi che abbracciano tutte le fedi e tutte le morali purché
funzionali al tornaconto del momento, convinti che “i mezzi non
tanto giustificano i fini quanto li generano” (11).
Nicodemo nella Pietà di Petrus Christus, (1460) |
Di fronte a questa devastante
inconsistenza diventa doveroso l’elogio di Nicodèmo, della sua
discrezione, persino dei suoi dubbi e della sua ambiguità. “Nicodèmo non
avrà diradato i dubbi, che sono compagni di un’esistenza consapevole, ma si può
pensare che lo abbia consolato e convinto una conquistata certezza: quella di
chi sa che, alla fine, il mistero si illuminerà della sua stessa luce” (12).
Il mio pensiero reverente va alle
ultime ore di Martinazzoli, che intravede la risposta ultima e sussurra ‘domani saprò la
verità’ (13).
“Forse non ha avuto torto chi ha
parlato di lui come di un profeta” (14).
Note.
Henry Ossawa Tanner, Gesù e Nicodemo, 1899 |
2. M. Martinazzoli, La legge e la
coscienza. Mosè, Nicodemo e la Colonna infame, La Scuola, 2015,pp. 48-50
e p. 126.
3. cfr. o.c., p.53.
4. “Leggo sullo Zingarelli alla voce
“nicodemismo”: comportamento di chi nasconde le proprie convinzioni
religiose, politiche, ideologiche, adeguandosi esteriormente alle opinioni
dominanti. Aggiungo, per completezza, che lo stesso dizionario conosce anche il
vocabolo “nicodemita” riferito a chi, nel sedicesimo secolo, aderiva alla
dottrina della riforma protestante, nascondendo, per timore di persecuzioni, le
proprie convinzioni e manifestando esteriormente ossequio al cattolicesimo”.
(p.p.55-56) Martinazzoli tiene a precisare che l’evangelista
racconta che Nicodèmo “andò da Gesù di
notte” e non suggerisce altro, ben diversamente da Giuseppe d’Arimatea, che
era discepolo di Gesù, ma di nascosto per timore dei Giudei. “Come mai Nicodemo
diventa l’archetipo della
dissimulazione, mentre Giuseppe d’Arimatea sta all’origine, sia pure per
tramiti assai avventurosi, addirittura della Leggenda del Santo Gral?” (p.56)
5. p.58.
6. cfr. pp.59-60. Di riflessioni
intorno al “nicodemismo” c’è traccia nella pubblicistica antifascista dopo la
fine della dittatura e lì si rinvengono amare e dolenti confessioni. Cfr. a
p.60 un esempio senza menzione dell’autore “che non conviene giudicare con
facile cipiglio”.
7. p.61.
8. Un cospicuo scrittore polacco Jan
Dobraczynski nel suo romanzo epistolare Lettere di Nicodemo ipotizza
il rispetto umano, la cautela del conformista, ma non l’ipocrisia politicante,
tanto che nello stesso romanzo, dopo l’incontro, non esita farsi seguace
del Cristo.
9. Martinazzoli scrive all’indomani
dell’11 settembre 2001.
10. cfr. pp. 63-64..
11. pp. 64-65.
12. cfr. pp.65-66.
13. Testimonianza di Tino Bino,
Prefazione all’o.c., p.11.
14.Pietro Gibellini, Postfazione
all’o.c., p.126.
secondo capitolo dell'incontro con Martinazzoli : soggetto Nicodemo. Il personaggio è fin troppo noto; da qui l'uso paradigmatico senza rispetto della individuaità. La riflessione di Martinazzoli, che tu, Gian Maria segui e delucidi così bene, tocca il lato umano universale ( incontro con il Bene, istanza della Giustizia, scelta tra bene e male ) ed interroga la società in ogni epoca. Quindi anche ( soprattutto) oggi. Spingendo ad andare oltre il " sentito dire ", le " frasi fatte ", la violenza verbale e la condanna sommaria, chiedendo a ciascuno responsabilità individuale e libertà di giudizio. Grazie
RispondiEliminaCaro Rosario, quello che colpisce - come tu hai ben colto - nella lettura di Martinazzoli è proprio il rovesciamento dello stereotipo di Nicodemo come figura dell'ambiguità in un'immagine di uomo profondamente inquieto e pudico, alla ricerca della giustizia e della verità. Nella notte - stupendo simbolo dell'umana oscurità - avviene l'incontro e il risveglio del suo cuore inquieto. Un grande abbraccio, Rossana e Gianni Maria.
RispondiEliminasplendido!!! certo, Nicodemo è incontro. è intimo
RispondiEliminaElogio della riservatezza e del nascondimento di ciò che è prezioso e intimo. Buona serata.
RispondiEliminaRiflessioni acute e pregnanti. E' sempre un arricchimento leggere i suoi scritti. Grazie.
RispondiEliminaCome è un arricchimento, per noi, leggere i suoi scritti! Buona serata.
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