Riflessioni sulla cultura nel tempo del coronavirus. In che modo e quando la cultura può renderci diversi e migliori?
Post di Gian Maria Zavattaro
Immagini delle illustrazioni di Guido Scarabottolo (con gentile autorizzazione, pagina instagram).
Guido Scarabottolo |
La riflessione proposta
in questo post prende avvio dalla odierna situazione e si sviluppa a partire da
una serie di domande: in quale senso le azioni culturali sopraddette
(leggere un libro, ascoltare musica, seguire una conferenza... e altro) possono
diventare un'opportunità e provocare un cambiamento? In altre parole, in che
modo e quando la cultura può renderci diversi e migliori?
La “cultura” è in
sé e per sé fattore di crescita delle persone e con loro della società in cui
vivono? Tutte le prestazioni culturali? Quale cultura? La mia, la tua, la loro?
Che cosa vuol dire cultura in questo nostro tempo di privazione? E’
riservata a pochi eletti o potenzialmente appannaggio offerto a
tutti?
✳️ Cultura: parola polisemica, ambigua,
ambivalente, sempre oscillante tra umanizzazione e disumanizzazione.
Nella storia umana, ieri come oggi, uomini e donne hanno prodotto in
tutto il mondo sublimi innumerevoli opere “culturali” (artistiche, filosofiche
letterarie, musicali, di ingegno, invenzione scoperta…), hanno ampliato a
dismisura le conoscenze di sé degli altri dell’universo, progressivamente
ci hanno reso più consapevoli dei valori universali che uniscono tutta
l’umanità oltre le frontiere del tempo e dello spazio.
Guido Scarabottolo |
✳️ Quid est? Non credo possibile una definizione
univoca, certa ed ultima di cultura. Come affermava Gadamer (1), se
Platone dovesse oggi scrivere un dialogo socratico sulla cultura e
delineare un Socrate alla ricerca della sua definizione, concluderebbe
inevitabilmente - come del resto in tutti i suoi dialoghi - senza
alcuna definizione.
Eppure la questione del significato della cultura è
il problema dell'uomo in ogni tempo, quello di decidere quale umanità si vuole
promuovere, di scegliere quali orientamenti dare all’avvenire. Questione
primaria anche in questo nostro tempo, in questo nostro villaggio
globale assillato da immigrazioni massicce, da sperequazioni di pochi ricchi e masse pulsanti di povertà, da continue trasformazioni tecnologiche informatiche e cambiamenti nel modo di organizzare il nostro
vivere quotidiano, di rapportarci con il tempo, di gestire il tempo
libero. E ancora l’affacciarsi di nuove generazioni che stanno esprimendo nuovi
linguaggi, esigenze nuove di “curiositas” e di “meraviglia”, tentennanti
tra integrazione e disintegrazione, tra dimensione interculturale e sovranismo, tra contraddittorie ed antitetiche modalità relazionali di accoglienza e di rifiuto di ogni diversità.
Se non posso definire, posso però scegliere da che parte stare, descrivere, indicare la via che io vorrei percorresse la “cultura”, aperta a tutti cittadini ed a ciascuno, radicata nel territorio, appartenente alla vita di tutti i giorni, al mondo dell’educazione e dei giovani: per tutti possesso della parola e consapevolezza di appartenere alla comunità delle persone (altra cosa è la società degli individui).
Guido Scarabottolo |
Se non posso definire, posso però scegliere da che parte stare, descrivere, indicare la via che io vorrei percorresse la “cultura”, aperta a tutti cittadini ed a ciascuno, radicata nel territorio, appartenente alla vita di tutti i giorni, al mondo dell’educazione e dei giovani: per tutti possesso della parola e consapevolezza di appartenere alla comunità delle persone (altra cosa è la società degli individui).
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✳️ Cultura come possesso della parola: dare
conoscenze, rendere consapevoli i cittadini, tutti ed ognuno, farli affiorare
alla storia e scoprirsi soggetti ed autori della propria esistenza. Dare la parola:
quale? “La forma per eccellenza della parola (2), la parola
della domanda su se stessi gli altri l’universo, la parola
della poesia e dell’arte che ha come oggetto il bello, la parola
della promessa, della riconciliazione e del perdono. “che è come una
prima e ultima parola”, perché la cultura “non è ciò
che occupa il tempo libero, è quello che può impedire agli uomini di accanirsi
l’uno contro l’altro e di essere peggiori di qualsiasi altro animale. Peggiori
perché gli animali non conoscono come gli uomini la guerra, cioè il combattere
contro i loro simili fino all’annientamento”; perché restituisce alla
diversità il suo vero volto: “la diversità, l’inestricabile alterità
che divide l’uomo dall’uomo, si fa superabile, anzi viene sublimata nella
prodigiosa realtà di un vivere e di un pensiero comuni e solidali” (3).
Dunque possedere la parola significa pensare e pensare significa conoscere,
essere consapevoli: espressioni pregne di libertà personale, modo
di intendere e fare cultura che richiede anzi esige il coraggio di “Sàpere aude”, “Abbi il
coraggio di servirti del tuo proprio intelletto” (4): esortazione latina
giustamente famosa grazie a Kant, che ne fa il motto dell’Illuminismo nel 1784
in “Risposta alla domanda: che cosa è l’Illuminismo?”.
Guido Scarabottolo |
Aude”: abbi il coraggio prima di tutto di essere te stesso, di scegliere
sempre e solo in base alla tua coscienza, libero di fronte ad ogni potere.
“Sàpere”: se come verbo transitivo significa sapère -
conoscere - capire - intendersi di, nel suo significato etimologico, come
intransitivo, è aver sapore - sapère di - odorare di - avere il
senso del gusto - gustare - sentire il sapore ed in senso figurato avere
intelligenza - essere saggio, prudente, assennato.
Tramontate le illusioni illuministiche, qual
è per noi il possibile significato del “sapio” oggi in questa
società? Società in cui la condizione umana generalizzata è l’incertezza;
le malattie sociali pandemiche sono l’incapacità di reggere le manipolazioni e
le pressioni più o meno occulte, la paura degli altri e di ogni
diversità, la riduzione a sudditi consumatori individualisti, plagiati,
eterodiretti, smarriti nelle nostre “vite di corsa” affidate alla liquida
esperienza del momento.
Il latino sapio radicalmente contesta
la dimensione di queste collettive esistenze: etimologicamente significa ho
sapore (il mio proprio sapore), ho il senso del gusto (il mio gusto)
e reclama perciò la mia irrinunciabile singolarità costruita nelle mie
quotidiane scelte ed in relazione al mio libero e liberante vissuto.
“Sapere aude” oggi comporta il "noi" (sapere audeamus), il coraggio di gustare la libertà come responsabilità personale, il gusto di essere persone che pensano, pur riconoscendo la propria ignoranza ed i propri limiti (5). Il coraggio di odorare di filosofia, di poesia, musica, arte. Il coraggio di sentire il sapore della ricerca che investe tutta l’esistenza, guardare dentro noi stessi per potere osservare il mondo, sperare di una speranza non ingenua ma tragica, scevra da ogni apriorismo, avversa ad ogni manipolazione, sincera, come lo sguardo sognante dei nostri bimbi (6). Il coraggio infine, per citare ancora Kant, dell'“uso pubblico della ragione”: non una faccenda privata o neutrale, ma capacità di vagliare criticamente questa nostra società ed i suoi stereotipi per prender parte attiva e chiara posizione a favore di una comunità umana nuova.
Guido Scarabottolo |
“Sapere aude” oggi comporta il "noi" (sapere audeamus), il coraggio di gustare la libertà come responsabilità personale, il gusto di essere persone che pensano, pur riconoscendo la propria ignoranza ed i propri limiti (5). Il coraggio di odorare di filosofia, di poesia, musica, arte. Il coraggio di sentire il sapore della ricerca che investe tutta l’esistenza, guardare dentro noi stessi per potere osservare il mondo, sperare di una speranza non ingenua ma tragica, scevra da ogni apriorismo, avversa ad ogni manipolazione, sincera, come lo sguardo sognante dei nostri bimbi (6). Il coraggio infine, per citare ancora Kant, dell'“uso pubblico della ragione”: non una faccenda privata o neutrale, ma capacità di vagliare criticamente questa nostra società ed i suoi stereotipi per prender parte attiva e chiara posizione a favore di una comunità umana nuova.
La donna e l’uomo che hanno sapore
(sapiunt) sono in grado di dare sapore, di formare al
gusto di pensare, di amare, di diffondere le proprie
conoscenze imparando l’arte del dialogo, dell'ascolto, del confronto, in
una relazione vissuta e ricercata come fabbrica di solidarietà nell'ospitalità reciproca.
✳️ Ultima domanda: Chissà, forse questa via della cultura, ovvero dell'odierno coraggio del sàpere audeamus, può essere farmaco anche in questi giorni di travaglio virale?
🎓🎓🎓🎓🎓🎓🎓🎓🎓🎓🎓🎓🎓
✳️ Note.
✳️ Ultima domanda: Chissà, forse questa via della cultura, ovvero dell'odierno coraggio del sàpere audeamus, può essere farmaco anche in questi giorni di travaglio virale?
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✳️ Note.
1.H. Gadamer, Elogio della teoria, discorsi e
saggi, Guerini e Associati, Milano, 1990.
2. H. Gadamer, o.c., p.27.
3. o.c., p.24 e 27.
4.v. Orazio, Epistole 2 40 e P. Martinetti, Antologia kantiana, Paravia, To,1944, p. 212.
5. “Scientia inflat” (S. Paolo, 1 Corinzi 8,1).
6. Matteo,18,1-5.10.12-14.
2. H. Gadamer, o.c., p.27.
3. o.c., p.24 e 27.
4.v. Orazio, Epistole 2 40 e P. Martinetti, Antologia kantiana, Paravia, To,1944, p. 212.
5. “Scientia inflat” (S. Paolo, 1 Corinzi 8,1).
6. Matteo,18,1-5.10.12-14.
Come nei fronti di battaglia, rispondo da un fronte( Treviso).
RispondiEliminaAnche se qui la frontiera non appare...e credo che sia comune a tutti i fronti diquesto nemico virus: improvviso rapido e scivoloso.
Nella rarefazione bulimia ( il paradosso è voluto), le tue domande calme e riflessive, responsabilizzanti, Gian Maria, sono una grande consolazione ed insieme una guida.
Tu sai andare al nocciolo. Perché c’e una radice del morbo, che è esistenziale- storico, intendo congiunturale,in quanto legato al momento storico, che però rischia di essere scambiato per duraturo e perenne. Il nocciolo è lì dove lo collochi : la diversità, scambiata per nemico ed invece preziosa levatrice di alterita’.
L’antitodo è la cultura -giusto- la cultura che dialoga, che accoglie, che si appassiona, che crea con la trama della alterita’.
Grazie del sorso di Vita!
Caro Rosario, dopo l’allucinante affollatissima danza macabra della movida a Treviso che hai denunciato ieri sulla tua pagina facebook (cui corrispondono le piste di sci affollate e le spiagge liguri invase da torme di turisti provenienti dalla zone”rosse”, emblematica la visione di Boccadasse a Genova), la mia impressione è che stiamo assistendo ad una "alterazione" collettiva, un’inconscia compulsione narcisistica e autodistruttiva a sfidare l’alterità appunto "alterandosi", nella presunzione di una immunità garantita dall’ammucchiata in cui tutti , complici, si fanno l’occhiolino, mentre medici infermieri operatori socio sanitari spendono le loro forze e si espongono per gli altri e, temo, tra poco anche per questi colpevoli incoscienti. La cultura contro la stupida barbarie, sempre pronta a dilagare in questi frangenti. Coraggio, continueremo a parlare e ci sforzeremo di rispettare tutte le regole, soprattutto quelle che ci costano e anche ci paiono eccessive dalla nostra piccola parziale limitata visuale egocentrica.
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