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domenica 8 marzo 2020

La cultura nei tempi della solitudine.

Riflessioni sulla cultura nel tempo del coronavirus. In che modo e quando la cultura può renderci diversi e migliori?
Post di Gian Maria Zavattaro
Immagini delle illustrazioni di Guido Scarabottolo (con gentile autorizzazione, pagina instagram).

Guido Scarabottolo
Per molti, in questi tempi di forzato isolamento - civilmente ed eticamente necessario - dovuto alle misure di contenimento del contagio da Coronavirus, leggere un libro, ascoltare musica, seguire una videoconferenza... possono costituire modalità attive per trasformare la solitudine in un'opportunità. 

La riflessione proposta in questo post prende avvio dalla odierna situazione e si sviluppa a partire da una serie di domande:  in quale senso le azioni culturali sopraddette (leggere un libro, ascoltare musica, seguire una conferenza... e altro) possono diventare un'opportunità e provocare un cambiamento? In altre parole, in che modo e quando la cultura può renderci diversi e migliori? La “cultura” è in sé e per sé fattore di crescita delle persone e con loro della società in cui vivono? Tutte le prestazioni culturali? Quale cultura? La mia, la tua, la loro? Che cosa vuol dire cultura  in questo nostro tempo di privazione? E’ riservata a pochi eletti o  potenzialmente appannaggio offerto a  tutti?

✳️ Cultura: parola polisemica, ambigua, ambivalente, sempre oscillante tra umanizzazione  e disumanizzazione. Nella storia umana, ieri come oggi, uomini e donne  hanno prodotto in tutto il mondo sublimi innumerevoli opere “culturali” (artistiche, filosofiche letterarie, musicali, di ingegno, invenzione scoperta…), hanno ampliato a dismisura le conoscenze di  sé degli altri dell’universo, progressivamente ci hanno reso più consapevoli dei valori universali che uniscono tutta l’umanità oltre le frontiere del tempo e dello  spazio. 
Guido Scarabottolo
Ma nella storia dell’umanità, ieri  e tanto più oggi, uomini e donne piegano (aggiungerei: tradiscono) la “cultura” aderendo partecipando programmando orchestrando pianificando la banalità del male: immani stermini di massa, cinici respingimenti di migranti, violenze d’ogni genere, guerre a non finire, business maledetti come la tratta di donne e bambini… e, più silenziosamente e diffusamente, corruzione, clientelismi, favoritismi, non di poveri disgraziati ignoranti  ma di uomini tronfi  superdecorati di titoli e lustrini, feudi baronali annidati  ai vertici delle gerarchie di ogni colore e tipologia. Su tutto ciò non mi soffermo se non per ribadire l’ambiguità della cultura quando si fa disumanizzante, quando si pretende di asservirla al potere, quando si fa elitaria casta,  consorteria che non ha nulla a che fare con la comunità, se non per asservirla e plagiarla.

✳️ Quid est? Non credo possibile una definizione univoca, certa ed ultima di cultura. Come  affermava Gadamer (1), se  Platone dovesse oggi scrivere un dialogo socratico sulla cultura e delineare  un Socrate alla ricerca della sua definizione, concluderebbe inevitabilmente - come del resto in tutti i suoi  dialoghi - senza alcuna  definizione. 
Guido Scarabottolo
Eppure la questione del significato della cultura è il problema dell'uomo in ogni tempo, quello di decidere quale umanità si vuole promuovere, di scegliere quali orientamenti dare all’avvenire. Questione primaria anche in questo  nostro tempo, in questo nostro villaggio globale assillato da immigrazioni massicce, da sperequazioni di pochi ricchi e masse pulsanti di povertà, da continue trasformazioni tecnologiche informatiche e cambiamenti nel modo di organizzare il nostro vivere quotidiano, di rapportarci con il tempo,  di gestire il tempo libero. E ancora l’affacciarsi di nuove generazioni che stanno esprimendo nuovi linguaggi, esigenze nuove di “curiositas” e di “meraviglia”, tentennanti tra integrazione e disintegrazione, tra dimensione interculturale e sovranismo, tra contraddittorie ed antitetiche modalità relazionali di accoglienza  e di rifiuto di ogni diversità.  
Se non posso definire, posso però scegliere da che parte stare, descrivere, indicare la via che io vorrei percorresse la “cultura”, aperta a tutti cittadini ed a ciascuno, radicata nel territorio, appartenente  alla vita di tutti i giorni, al mondo dell’educazione e dei giovani: per tutti possesso della parola e  consapevolezza di appartenere alla comunità delle persone (altra cosa è la società degli individui).

Guido Scarabottolo
✳️ Cultura è appartenenza alla comunità, “conversazione di umanità”, sentimenti che creano la comunità". Costitutivamente vocata al suo servizio,  assolve la sua funzione educativa e formativa senza presunzione con la ferma umiltà dell’arte maieutica, interpretando sapientemente i sentimenti diffusi dei cittadini (giovani, donne, anziani, lavoratori, disoccupati, emarginati) esprimibili in parole chiare e semplici come giustizia pace ben-essere solidarietà ospitalità felicità bellezza ambiente...  

✳️ Cultura come possesso della parola: dare conoscenze, rendere consapevoli i cittadini, tutti ed ognuno, farli affiorare alla storia e scoprirsi soggetti ed autori della propria esistenza. Dare la parola: quale? “La forma per eccellenza della parola (2), la parola della  domanda su se stessi gli altri l’universo,  la  parola della poesia e dell’arte che ha come oggetto il bello,  la parola della  promessa, della riconciliazione e del perdono. “che è come una prima e ultima parola”,  perché la cultura  non è ciò che occupa il tempo libero, è quello che può impedire agli uomini di accanirsi l’uno contro l’altro e di essere peggiori di qualsiasi altro animale. Peggiori perché gli animali non conoscono come gli uomini la guerra, cioè il combattere contro i loro simili fino all’annientamento”; perché restituisce alla diversità il  suo vero volto: “la diversità, l’inestricabile alterità che divide l’uomo dall’uomo, si fa superabile, anzi viene sublimata  nella prodigiosa realtà di un vivere e di un pensiero comuni e solidali” (3). 
Guido Scarabottolo
Dunque possedere la parola significa pensare e pensare significa conoscere, essere consapevoli: espressioni  pregne di libertà personale, modo di intendere e fare cultura che richiede anzi esige il coraggio di  Sàpere aude”, “Abbi il coraggio di servirti del tuo proprio intelletto” (4): esortazione latina giustamente famosa grazie a Kant, che ne fa il motto dell’Illuminismo nel 1784 in “Risposta alla domanda: che cosa è l’Illuminismo?”.     
Aude”: abbi il coraggio prima di tutto di essere te stesso, di scegliere sempre e solo in base alla tua coscienza, libero di fronte ad ogni potere.    
“Sàpere”: se come verbo transitivo significa sapère - conoscere - capire - intendersi di, nel suo significato etimologico, come intransitivo, è aver sapore - sapère di -  odorare di - avere il senso del gusto - gustare - sentire il sapore ed in senso figurato avere intelligenza - essere saggio, prudente, assennato. 
Tramontate le illusioni illuministiche, qual è per noi il possibile significato del “sapio”  oggi in questa società? Società in cui la condizione umana generalizzata è l’incertezza; le malattie sociali pandemiche sono l’incapacità di reggere le manipolazioni e le pressioni più o meno  occulte, la paura degli altri e di ogni diversità, la riduzione a sudditi consumatori individualisti, plagiati, eterodiretti, smarriti nelle nostre “vite di corsa”  affidate alla liquida esperienza del momento. 
Guido Scarabottolo
Il latino sapio radicalmente contesta la dimensione di queste collettive esistenze: etimologicamente significa ho sapore (il mio proprio sapore), ho il senso del gusto (il mio gusto) e reclama perciò la mia irrinunciabile singolarità costruita nelle mie quotidiane scelte ed in relazione al mio libero e liberante vissuto. 
“Sapere aude” oggi comporta il "noi" (sapere audeamus), il coraggio di gustare la libertà come responsabilità personale, il gusto di essere persone che pensano, pur riconoscendo la propria ignoranza ed i propri limiti (5).  Il coraggio di odorare di filosofia, di poesia, musica, arte. Il coraggio di sentire il sapore della ricerca che investe tutta l’esistenza, guardare  dentro noi stessi per potere osservare il mondo, sperare di una speranza non ingenua ma tragica, scevra da ogni apriorismo, avversa ad  ogni manipolazione, sincera, come lo sguardo sognante dei nostri bimbi (6).   Il coraggio infine, per citare ancora Kant, dell'“uso pubblico della ragione”:  non una faccenda privata o neutrale,  ma capacità di vagliare  criticamente questa nostra società ed i suoi stereotipi per prender parte attiva e chiara posizione a favore di una comunità umana nuova.
La donna e l’uomo che hanno sapore (sapiunt) sono in grado di dare sapore, di formare al gusto di  pensare, di amare, di diffondere le proprie conoscenze imparando l’arte del dialogo, dell'ascolto, del confronto, in  una relazione vissuta e ricercata come fabbrica di solidarietà nell'ospitalità reciproca. 

✳️ Ultima domanda: Chissà, forse  questa via della cultura, ovvero dell'odierno coraggio del sàpere audeamus,  può essere  farmaco anche in questi giorni di travaglio virale?
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✳️ Note.
1.H. Gadamer,  Elogio della teoria, discorsi e saggi, Guerini e Associati, Milano, 1990. 
2. H. Gadamer, o.c., p.27.
3. o.c., p.24 e 27.
4.v. Orazio, Epistole 2 40 e  P. Martinetti, Antologia kantiana, Paravia, To,1944, p. 212.
5. “Scientia inflat” (S. Paolo, 1 Corinzi 8,1). 
6. Matteo,18,1-5.10.12-14.

2 commenti:

  1. Come nei fronti di battaglia, rispondo da un fronte( Treviso).
    Anche se qui la frontiera non appare...e credo che sia comune a tutti i fronti diquesto nemico virus: improvviso rapido e scivoloso.
    Nella rarefazione bulimia ( il paradosso è voluto), le tue domande calme e riflessive, responsabilizzanti, Gian Maria, sono una grande consolazione ed insieme una guida.
    Tu sai andare al nocciolo. Perché c’e una radice del morbo, che è esistenziale- storico, intendo congiunturale,in quanto legato al momento storico, che però rischia di essere scambiato per duraturo e perenne. Il nocciolo è lì dove lo collochi : la diversità, scambiata per nemico ed invece preziosa levatrice di alterita’.
    L’antitodo è la cultura -giusto- la cultura che dialoga, che accoglie, che si appassiona, che crea con la trama della alterita’.
    Grazie del sorso di Vita!

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  2. Caro Rosario, dopo l’allucinante affollatissima danza macabra della movida a Treviso che hai denunciato ieri sulla tua pagina facebook (cui corrispondono le piste di sci affollate e le spiagge liguri invase da torme di turisti provenienti dalla zone”rosse”, emblematica la visione di Boccadasse a Genova), la mia impressione è che stiamo assistendo ad una "alterazione" collettiva, un’inconscia compulsione narcisistica e autodistruttiva a sfidare l’alterità appunto "alterandosi", nella presunzione di una immunità garantita dall’ammucchiata in cui tutti , complici, si fanno l’occhiolino, mentre medici infermieri operatori socio sanitari spendono le loro forze e si espongono per gli altri e, temo, tra poco anche per questi colpevoli incoscienti. La cultura contro la stupida barbarie, sempre pronta a dilagare in questi frangenti. Coraggio, continueremo a parlare e ci sforzeremo di rispettare tutte le regole, soprattutto quelle che ci costano e anche ci paiono eccessive dalla nostra piccola parziale limitata visuale egocentrica.

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