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martedì 5 maggio 2020

Il Raffaello di Nietzsche.

La Trasfigurazione di Raffaello alla luce della teoria estetica di Nietzsche.
Post di Rossana Rolando. 

Raffaello Sanzio, Trasfigurazione, 
particolare
Nella ricorrenza dei 500 anni dalla morte di Raffaello (1483-1520), vorrei ricordare e leggere (audio alla fine del post) una bellissima pagina di Nietzsche, dedicata alla Trasfigurazione, l’ultima tela (1518-20)* del pittore urbinate, oggi conservata presso la Pinacoteca vaticana. Il brano è contenuto ne “La nascita della tragedia”, l’opera del 1872, molto discussa e osteggiata dai filologi, il cui contenuto è in realtà squisitamente filosofico, preludio di tutto il percorso teoretico successivo.
Nello scritto nietzschiano la descrizione del capolavoro di Raffaello non muove da un interesse religioso, ma si inserisce all’interno di un discorso sull’arte e sulla sua funzione culturale.
In particolare essa compare nel quarto capitolo¹, quando Nietzsche ha già presentato la tragedia attica di Eschilo e Sofocle come vertice estetico dell’unione di due impulsi fondamentali: l’apollineo, corrispondente alla visione luminosa e gioiosa di forme pure e armoniose, il dionisiaco dato dall’abisso enigmatico del dolore, dal fondo incomprensibile dell’esistenza. In questa suprema sintesi, espressa dallo spirito tragico, si è resa possibile la funzione liberatrice dell’arte che ha spinto l’uomo greco ad elevarsi alle altezze della creazione estetica. Viceversa - come si leggerà più avanti nel testo - quando è venuto meno il necessario legame della forma bella con “tutto il mondo dell’affanno”, è iniziata la decadenza del mondo greco, che ha ridotto l’arte a frivolezza, superficiale intrattenimento, serenità senza profondità.
Nel contesto del discorso sull’arte, intrecciato con l’analisi della tragedia attica, si inserisce dunque la pagina dedicata a Raffaello. Proprio la Trasfigurazione viene considerata da Nietzsche come una moderna esemplificazione dell’unione tra apollineo e dionisiaco e, potremmo dire, una sorta di testamento estetico dell’artista nel quale egli esprime, al di là degli “oggetti” sacri rappresentati, la sua idea dell’arte, quale sublimazione perenne del dolore, in forme e luoghi di luce.
Raffaello Sanzio, Trasfigurazione, 
particolare
Raffaello viene definito come un «immortale “ingenuo”»². E il termine riconduce di nuovo alla grecità, a quella interpretazione neoclassica³ del mondo greco come espressione di serenità, equilibrio, misura… che Nietzsche contesta e rielabora. Per il filosofo, l’ingenuità greca non è paragonabile ad una sorta di innocenza originaria, un candore e una purezza paradisiache che precedono la storia con il suo “travaglio del negativo”, quasi si trattasse di una condizione fanciullesca, non ancora cresciuta alla dura scuola della vita. Al contrario essa è una conquista dello spirito greco, successiva allo sguardo gettato sull’abisso dell’esistenza, sul flusso terribile di nascita e morte, sul contraddittorio, spaventoso caos del divenire.
Raffaello viene quindi assimilato a questo secondo significato di “ingenuità”. Nella sua composizione scenica, il desiderio di bellezza, affonda le radici in una profonda sensibilità nei confronti del dolore: la rappresentazione che dà gioia non è generata da un atteggiamento ancora immaturo nei confronti della vita – e in questo senso ingenuo – ma è invece il risultato di una lotta che nasce dalla dimestichezza con la sofferenza e dalla quale si generano - vittoriose contro i mostri - immagini pacificanti di luce. Nella bellezza artistica che dà piacere interiore a chi la contempla c’è tutta la consapevolezza dell’enigmatico, dell’oscuro, del dissonante e tuttavia c’è anche la potenza del sogno che dimentica “la veglia e il suo terribile assillo”.

Raffaello Sanzio, Trasfigurazione
La grande tavola del dipinto viene così descritta: «la metà inferiore col ragazzo ossesso, gli uomini in preda alla disperazione che lo sostengono, gli smarriti e angosciati discepoli, ci mostra il rispecchiarsi dell’eterno dolore originario, dell’unico fondamento del mondo: “l’illusione” è qui un riflesso dell’eterno contrasto, del padre delle cose».
In questa prima sezione della tela l’illusione – costituita dalla serie delle immagini raffigurate – narra il “dolore originario”, che Nietzsche racchiude nel termine “dionisiaco” e che qui si configura in una delle sue possibili, molteplici forme, nel volto del ragazzo “indemoniato”, urlante, fuori di sé, nell’eloquente tratto degli occhi sbiechi, intorno al quale si avverte l’angosciata preoccupazione dei parenti, i volti accesi, l’enfasi ripetuta dei gesti.
Nella parte superiore della tela «si leva poi, come un vapore di ambrosia, un nuovo mondo illusorio, simile a una visione, di cui quelli dominati dalla prima illusione non vedono niente – un luminoso fluttuare in purissima delizia e in un’intuizione priva di dolore, raggiante da occhi lontani».
Questa seconda serie di immagini - chiaro mondo dell’apollineo, come viene definito nel testo -  è la rappresentazione della Trasfigurazione di Gesù, con a fianco le apparizioni di Mosè ed Elia, sullo sfondo il cielo sfumato del tramonto e a terra gli apostoli Pietro, Giovanni e Giacomo, abbagliati di luce, soverchiati dalla potenza della visione.
Raffaello Sanzio, Trasfigurazione, 
particolare
Nietzsche richiama l’attenzione sull’effetto iconografico della separazione tra lo spazio elevato, teatro della Trasfigurazione, e la zona in cui si svolge il dramma del fanciullo ossesso, nella parte inferiore della tela.
E’ interessante notare come tale interpretazione di Raffaello contrasti con il topos del pittore illuminista, tutto e solo luce, per sottolineare invece il fondo oscuro, enigmatico, incomprensibile di cui si alimenta lo sforzo trasfigurante. La cosa è detta, senza riferimento a Nietzsche, ma con una chiara parentela interpretativa, nella lezione di Claudio Strinati dedicata a Raffaello, sotto il titolo evocativo di “Evidenza e Mistero” (video qui sotto).

✴️ Note.

* Ultima opera di Raffaello, completata da Giulio Romano nella sezione inferiore.
1. Friedrich Nietzsche, La nascita della tragedia, Adelphi, Milano 1984, p. 36.
2. Ibidem, p. 36.
3. Ibidem, pp. 133-134.
4. Ibidem, pp. 33-34.
5. Ibidem, p. 35.
6. Ibidem, p. 36.
7. Ibidem, p. 36.
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7 commenti:

  1. merita un bel commento il post di Rossana, curato nello stile, puntuale nella disamina che Nietzsche fece del dipinto di Raffaello, fulcro della filosofia della vita. Spicca la competenza che consente di districare filosofia e arte. Generoso e di qualità l'apparato multimediale . Altro pregio sta nel recupero parziale della mostra su Raffaello che l'epidemia ci ha negato. Grazie Rossana!

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    1. Ciao Rosario, mi dai la spinta per inserire il video sulla mostra delle Scuderie del Quirinale che volevo già includere originariamente e che poi ho tralasciato. Grazie per la tua sollecita amicizia.
      [video]https://www.youtube.com/watch?v=FAqlVLQV-2E[/video]

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  2. Grazie di cuore per il gradito apprezzamento. Buona giornata.

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  3. Molto interessante il fatto che lo sforzo trasfigurante dell'arte e il suo desiderio di bellezza non derivi da "un atteggiamento ancora immaturo nei confronti della vita", ma - se ho ben capito - dal fatto che l'arte affonda le radici e trae spessore da una sofferenza e un buio che, in qualche modo, va attraversato e risolto.
    Grazie di cuore!

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    1. Ciao Annamaria, hai capito benissimo. Tra l'altro, la teoria estetica di Nietzsche, relativa alla tragedia attica, considera la musica (e non la storia raccontata sulla scena) come la vera radice di ogni trasfigurazione, perché è il coro ad essere portatore del dionisiaco, cuore pulsante della vita. Infatti, il titolo dell'opera è questo: "La nascita della tragedia dallo spirito della musica". Ciao, un abbraccio.

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  4. Buon giorno,
    Credo di aver impiegato circa 5-6 anni per arrivare a sfiorare il significato/concetto dei due impulsi che muovono il mondo artistico, apollineo e dionisiaco. Devo ringraziare Raffaello.
    In sostanza, Raffaello aveva compreso l'esistenza di quei due impulsi già nel 1500. Ma non gli aveva dato un nome. Li ha "rappresentati" in un quadro.

    La sua disquisizione, sulla falsariga di quello che Nietzsche dice nella Nascita della tragedia, a tratti mette i brividi.
    La ringrazio anche da parte mia per questo insegnamento gratuito.
    A. Piemontese



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