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venerdì 18 marzo 2016

Ritratto degli Arnolfini, lettura di Massimo Cacciari.

Jan van Eyck, 
Il ritratto dei coniugi Arnolfini,
particolare
Il capolavoro di Jan van Eyck, Ritratto dei coniugi Arnolfini, narra il matrimonio tra Giovanni Arnolfini - ricco mercante lucchese residente a Bruges  - e Giovanna Cenami. La simbologia è densa e piuttosto nota. Ad essa accenno appena: all’interno della stanza nuziale arredata secondo i canoni della più alta raffinatezza fiamminga,  il cavaliere è ritratto con il braccio sollevato nel gesto solenne del giuramento di fedeltà e la donna, con lo sguardo abbassato in segno di umiltà, porge il palmo vuoto allo sposo e appoggia l’altra mano sul ventre, promessa e presagio di fertilità. 
Jan van Eyck, 
Il ritratto dei coniugi Arnolfini,
particolare
In fondo alla parete uno specchio convesso (speculum sine macula, simbolo della purezza virginale), incorniciato dalle dieci scene della Passione, riflette la presenza di altre due persone nella stanza – testimoni dell’unione - di cui una è senz’altro quella del pittore van Eyck che ha posto la sua firma sopra lo specchio (van Eyck è stato qui, 1434). In primo piano, nella scena, il cagnolino indica la fedeltà matrimoniale così come l’unica torcia accesa del lampadario ricorda l’amore coniugale. Gli zoccoli abbandonati lì davanti e in fondo, nel retro della stanza nuziale, evocano la consapevolezza della sacralità di quel luogo in cui camminare scalzi, in segno di rispetto, come fu richiesto da Dio a Mosè nel calpestare la terra santa (Es, 3,5)…
Jan van Eyck, 
Il ritratto dei coniugi Arnolfini,
particolare
Massimo Cacciari ha definito quest’opera - insieme a poche altre - “estrema, intendendo indicare con questo termine la capacità del dipinto di andare oltre la propria semplice presenza per dare vita ad un pensiero filosofico, ad una specifica visione del mondo. Nei suoi vertici l’arte suscita filosofia, l’immagine diventa concetto e il linguaggio pittorico – nelle sue forme e nei suoi colori – si carica di un contenuto spirituale. Ne deriva un approfondirsi della comunicazione artistica che fa dell’opera d’arte luogo ri-velativo, s-velamento, a-lètheia, nel senso dell’heideggeriano evento. L’arte non riproduce la realtà semplicemente, ma mette in opera la verità, si fa luogo di apertura al vero, spazio in cui la verità accade. Perciò alcune opere d’arte possono risultare “decisive”.

Jan van Eyck, 
Il ritratto dei coniugi Arnolfini,
particolare
Cacciari coglie in questa icona fiamminga una vera e propria teologia della visione: vi legge, infatti, il matrimonio simbolico tra Fede (Giovanni Arnolfini) e Speranza (la sua sposa). Illuminate da un unico lume, quello del Figlio, le due virtù teologali sono “accolte” nello specchio purissimo della salvezza. La Fede regge solidamente la Speranza nell’invisibile che deve venire. Nessuna inquietudine sembra turbare questo sguardo in avanti, verso un futuro che non è ancora. 
Jan van Eyck, 
Il ritratto dei coniugi Arnolfini,
particolare
Eppure le opere “estreme” suggeriscono un percorso che va oltre la loro immediatezza, anche simbolica. E Cacciari lo raccoglie tutto nella distanza tra lo sposo e la sposa. Il dipinto, infatti, nella sua assoluta perfezione, comunica un senso di solitudine, di fredda lontananza, di dissonanza. Dov’è l’Amore in questo spazio sacro? Senza Agape, Fede e Speranza sono vane. Cacciari avanza la sua ipotesi interpretativa: Amore potrebbe identificarsi nella luce che filtra dalla finestra e tutto avvolge in modo impalpabile e inafferrabile? La luce, infatti, è l’elemento qualificante della pittura fiamminga, come la prospettiva caratterizza la pittura italiana ad essa contemporanea. Amore non è rappresentabile nell’immagine, non può essere portato alla luce perché è la luce che tutto il resto illumina. Ma questo può essere compreso? 
Jan van Eyck, 
Il ritratto dei coniugi Arnolfini,
particolare
Forse no, se è vera l’impressione - che dal dipinto si riceve - di una distanza incolmabile tra la figura dello sposo e della sposa, inquieto segno di un’unione “raggelata” tra Fede e Speranza,  del tutto intellettualistica, priva di anima e di vita.
Così Cacciari ha spostato il piano interpretativo e ha visto dentro e oltre la celebrazione del matrimonio di un ricco mercante, con tutta la simbologia cristiana del tempo, la sostanza teologica della visione, la Parola in cui risuona il paolino inno alla Carità: la Fede e la Speranza non sono nulla senza la Carità (cfr. 1 Cor. 13, 1-13).

Jan van Eyck, 
Il ritratto dei coniugi Arnolfini,
particolare.
Lo scritto di Cacciari a cui si fa riferimento in questo post è contenuto in Tre icone, Adelphi, Milano 2013, pp. 43-51.
Per quanto riguarda Heidegger si rimanda al testo L'origine dell'opera d'arte, Christian Marinotti Ed., Milano, 2012, pp. 89-133. 

Post e iconografia di Rossana Rolando.

2 commenti:

  1. Grazie, Rossana, per questo post così "intenso"...leggendo, o meglio, riflettendo, mi è venuto da pensare a quella luce che Cacciari evidenzia... Agape come Spirito?? Può essere intesa così??
    Fede e Speranza... possono essere" asettiche ", scontate, prive di slancio, sopite, statiche.. È quella LUCE, Santo Spirito, che è lAmore che dona e si dona, riceve e ridona, che sempre" diviene "... Lui solo fa della Fede il vero fidarsi e affidarsi e della Speranza la" certezza " che le promesse saranno adempiute.
    Un caro saluto

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  2. Grazie Nele nele, sono contenta che ti sia sembrato “intenso”. Per me è stata una lettura –quella di Cacciari – davvero molto coinvolgente e preziosa. Sì, l’Amore come Luce, come respiro e soffio… nella teologia cristiana come Spirito. Mi colpisce l’idea di una Luce che permette di vedere senza essere vista, che tutto anima senza apparire in nessun punto… Un abbraccio, Rossana.

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