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domenica 28 gennaio 2018

Silenzio e Parola.

Il silenzio come origine e come fonte dell'autentica parola: quella ascoltata e quella pronunciata.
Post di Rosario Grillo
Immagini Giovanni Segantini (esponente di spicco del divisionismo italiano (pittore della montagna e del silenzio), 1858-1899).

Giovanni Segantini, 
Ave Maria a trasbordo (particolare)

Facciamo silenzio
prima di ascoltare la Parola,
perché i nostri pensieri
sono già rivolti verso la Parola.
Facciamo silenzio
dopo l'ascolto della Parola,
perché questa ci parla ancora,
vive e dimora in noi.
Facciamo silenzio
la mattina presto,
perché Dio deve avere la prima Parola,
e facciamo silenzio
prima di coricarci,
perché l'ultima Parola
appartiene a Dio.
Facciamo silenzio
solo per amore della Parola.
(Dietrich Bonhoeffer)

Giovanni Segantini, 
Mezzogiorno sulle Alpi
Nelle aule scolastiche, tempo fa, il maestro intimava alla classe chiassosa il silenzio con questo ritornello: silenzio perfetto, a chi parla uno schiaffetto!
Comincio con il tono scherzoso per toccare un tema nevralgico, che attraversa tutto il corso del pensiero, se individuiamo nel mistico la figura che da sempre ha coltivato il silenzio.
Comunque il tema raggiunge il suo culmine dalla fine dell’Ottocento al Novecento, interessando filosofia, letteratura, arte e cinema.
Non c’è dubbio che per l’uomo comune passa una bella differenza tra parola e silenzio. Anzi, per lui, sono in contraddizione.
Ed invece, qui io voglio sostenere, richiamando autori a sostegno, che non è così e che l’apparente contraddizione discende fatalmente dalla presenza o dall’assenza del suono.
Potrei cavarmela con la bocciatura della tesi nominalistica di un pensatore medievale: il concetto è flatus vocis.
Ma è solo il “primo agitare delle acque” della riflessione, perché, nel seno della mia argomentazione, compare lo scopo di stigmatizzare le pretese della pura Ontologia.
Per condurre con chiarezza l’argomento dentro lo spazio ristretto che mi sono concesso, metto in preminenza: l’idea di crisi.
La parola crisi, etimologicamente, conduce in greco al verbo separare.
Giovanni Segantini, 
Studio di scala
Con ciò la sua significanza è legata al timore di un vuoto. Ma, per tanti versi, quel vuoto è necessario: per assegnare vita, entità e libertà, alle parti separate.
In virtù di questa separazione, si riconosce una relazione.
La chiave riassuntiva della crisi storica (direi: cosmica) si trova nel silenzio di Dio davanti al genocidio degli ebrei. Ecco: il Silenzio!
Lo smarrimento prese diversi filosofi, ma E. Lévinas ebbe modo di replicare identificando Dio come l’ineffabile Alterità, irraggiungibile dalla parola logocentrica, sorgente del Silenzio-Fondamento.
Diventa chiaro così, che prima di e davanti a, ogni parola che definisce e determina, che risente del comando di una ragione più o meno arbitraria - e comunque esposta all’arbitrio - in origine è il silenzio.
Nella tradizione francese, massima confidente del tema della coscienza, incontriamo Merleau-Ponty (1908-61), che s’interroga espressamente sul problema del silenzio.
A difesa dell’Umanesimo, nella crisi provocata dal dilagare della Tecnica, sostenne che “ […] La nostra visione dell’uomo rimarrà superficiale finché non risaliremo a questa origine, finché non ritroveremo sotto il brusio delle parole, il silenzio primordiale, finché non descriveremo il gesto che rompe questo silenzio”¹ .
Giovanni Segantini, 
Donna alla fonte
È bene chiarire, a questo punto, che non si vuole la scomparsa della parola, ma la consapevolezza: che essa è salva, è fondata, quando non dimentica la relazione con il silenzio. Solo questa relazione protegge dall’inconsistenza, il brusio, e più ancora: dall’esercizio dell’autorità egocentrica, che può portare fino ad Auschwitz.
Il silenzio, dicono i mistici, svuota, libera: dalle inezie e dalla superbia.
In quest’orizzonte sta l’affinità tra silenzio e deserto.
Da cui: la predilezione per il luogo eletto dagli eremiti, dai monaci. (Lo stesso si può dire della ricerca dei luoghi solitari, irraggiungibili e remoti, lontani dal chiasso del consorzio umano).
Mi ripassano in visione le immagini significative del maestoso film Il grande silenzio, che riprendeva per due ore immagini della vita cenobitica, immersa nel silenzio spirituale.
“La grande virtù del deserto è quella di spogliarti, di farti morire al passato e farti rinascere come Gesù dice a Nicodemo: devi rinascere in spirito e verità. La vita cristiana è morire a te stesso e rinascere per l’altro. Abbandonare la fede astratta verso un Essere invisibile e orientarla verso l’amicizia con Gesù è il suo progetto di pacificare il mondo”².
Giovanni Segantini, 
Ritorno dal bosco
Non solo misticismo; anche filosofi contemporanei del padre del cogito, come Pascal (lieve sfasatura!), hanno riconosciuto i limiti del dire predittivo, invocando il Deus absconditus.
Si entra allora nella cifra della parola frammentaria. Prendendo in prestito da M. Blanchot: della parola nomade. Di lui è d’uopo citare un’espressione tematica: dire tacendo.
Kierkegaard, filosofo danese, ebbe la capacità di investire con la sua ironia molti capisaldi della cultura, seduta trionfalmente su un sistema.
Fu lui a rompere con l’ordine logico, il panlogismo del pensiero accademico di Hegel.
Senza entrare nel merito della diatriba tra essenza ed esistenza, voglio da lui estrapolare appunto il piano di denuncia della cultura secolarizzata - a quell’epoca tutt’uno con quella borghese - deposito di una parola tronfia, che si vuole ostracizzare.
In questo frangente egli mise in moto anche la parola frammentaria e metaforica, antisistema,  che più tardi Nietzsche allargherà.
In un’opera in ispecie, Kierkegaard fa protagonista Johannes de Silentio, con lo scopo di proclamare la profondità - autenticità esistenziale - del silenzio, a fronte delle parole altisonanti ma vacue.
Giovanni Segantini, 
Al balcone (particolare)
Aggiungo che il protagonista dell’opera (Timore e tremore) è Abramo, cavaliere della Fede: fede assunta nell’assurdo.
Riflettendoci su, si notano i rischi che corre il fedele... e la chiesa. Nel suo ordine istituzionale combatté infatti Kierkegaard.
Solo che: nell’angustia e nel tormento si perviene al volto autentico della Divinità. Non quello del Giudice, che verrà a giudicare, ma quello del Misericordioso.
In questa angolazione riprese il tema E.Lévinas, per dare consistenza all’etica. Questa la chiave fondante della dottrina dell’Alterità, che all’inizio si è richiamata.
Finisco con l'evocazione  dell’importanza del silenzio nell’area psichiatrica.
La psichiatria frequentemente cede al punto di vista tecnico-fisiologico-sanitario, perdendo di vista l’aspetto umanistico.
Così non è per il nostro Eugenio Borgna, psichiatra illustre, professionista sensibile ed intellettuale aduso alla letteratura e alle arti. Le ferite dell’anima, come egli le chiama, richiedono mescolanza di parole e silenzio: momenti, dosati appropriatamente, per superare la barriera della incomunicabilità, e per intessere un rapporto comunicativo con persone offese e/o violate dal dolore³.
Del dolore, cifra tipica del credente, parla B.Forte, impostando la teologia come sapienza preparata dal silenzio.
Suo il riconoscimento del punto d’incontro nel mistero del silenzio del fedele con Dio, il Verbo, il Logos.

Giovanni Segantini, 
Ave Maria a trasbordo

Note e Link.
1.Fenomenologia della percezione, sottolineatura mia.
2.Paoli, La pazienza del nulla, p. 9.
2.E.Borgna, Le passioni fragili, Feltrinelli.
3.B. Forte, parola e silenzio nella riflessione teologica http://www.nostreradici.it/parola_silenzio.htm.
🌟Dall'altra parte di bisogno di riscoprire la Parola in un tempo stanco di parole. Ecco allora la domanda: come dire la Parola a una cultura che non ha più certezze forti, legate al Logos, a una cultura tentata dalla rinuncia ad ogni forza del dire, in cui tutto sembra risolversi nella comunicazione volgare e rassicurante della persuasione mediatica? Noi viviamo in un tempo di "mediocrazia" , formula che ormai ha sostituito quella di democrazia. Non è più il consenso del popolo, ma è la persuasione del popolo attraverso il sistema mediatico a vincere.
🌟Quanto detto finora ci porta a questa conclusione: riscoprire il silenzio e la parola nel loro reciproco fecondo rapporto, è un'urgenza assoluta del nostro tempo. Abbiamo bisogno di imparare nuovamente a parlare, ma a parlare nel senso di dire parole che vengano dal silenzio e che dimorino nel silenzio dell'ascolto dell'altro; imparare a tacere non nel senso di chiudersi nella prigionia delle nostre solitudini, ma di lasciarsi raggiungere dalla parola che evoca, che abita, che attira, che trasforma (da Bruno Forte).

Non abbiate paura di soffrire il pensiero, di lottare con questa domanda radicale. È questo che rende la nostra vita degna di essere vissuta. Possiamo constatare che non c'è una parola capace di rispondere a tutte le domande.
Ecco il secondo punto: se è vero che il pensiero nasce dal dolore, se è vero che il dolore è la categoria universale, che siamo diversi dagli altri per il possesso, ma siamo solidali per la povertà, allora la nostra condizione è una condizione esodale. L'uomo è un mendicante del cielo, un viandante, un pellegrino. Siamo sempre in cerca di una patria intravista, ma non posseduta.
Heidegger dà questa definizione straordinaria dell'uomo: l'uomo è la sentinella della silenziosa quiete del transitare dell'ultimo Dio». Diventi veramente umano, quando nel silenzio fai spazio all'ascolto di questo brivido, di questo passaggio, che è la ferita di Dio nella tua vita.
Veniamo così al terzo momento.

Se l'esistenza è esodo, che spazio ha in questa esistenza il silenzio? lo chiamo qui il silenzio provenienza e attesa della parola. Il silenzio, nell'uomo viandante, nel pellegrino del senso, è anzitutto attesa: il silenzio nasce allo stupore davanti alla inspiegabilità della vita, del dolore. Quindi il silenzio è in qualche modo il grembo dell'avvento di Dio, dove tu fai silenzio perché la ferita della morte, la ferita del dolore ti hanno colmato di stupore, di attesa, di invocazione (da B.Forte).
🌟Utile da consultare anche E.Lévinas, Parola e silenzio
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10 commenti:

  1. Caro Rosario ,non ci sarebbe proprio da aggiungere altro. La tua è una riflessione che provoca ed induce giustamente al silenzio: quello che non prova, non disserta, non dimostra, ma testimonia, ristabilisce le grandezze, ritrova i centri di gravità. Lasciami però riprodurre un pensiero di Madeleine Debrel in uno dei libretti AVE che mi ha accompagnato nei miei anni (Il silenzio nella città, in AA..VV., La solitudine, AVE, Roma, 1966, pag. 11): “ Il silenzio è carità e verità. Esso risponde a colui che chiede qualcosa, ma non dà che parole cariche di vita. Il silenzio, come tutti gli impegni della vita, ci induce al dono di noi stessi e non ad un’avarizia mascherata. Ma esso ci tiene uniti per mezzo di questo dono. Non ci si può donare quando ci si è sprecati. Le vane parole di cui rivestiamo i nostri pensieri sono un continuo sperpero di noi stessi. “Vi sarà chiesto conto di ogni parola”. Di tutte quelle che bisognava dire e che la nostra avarizia ha frenato. Di tutte quelle che bisognava tacere e che la nostra prodigalità avrà seminato ai quattro venti della nostra fantasia o dei nostri nervi”. Grazie. Buona domenica.

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    1. Lascia che ringrazi prima Rossana per il suo “straordinario” e per il corredo stupendo del post.
      A te dico ancora grazie per la corrispondenza degli intenti.
      Poco fa ho ascoltato una poesia recitata , dove risalta : il Silenzio è Divino, la parola è umana.
      Ed è vero : la parola ci distingue nel nostro limite.

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  2. Maria Antonietta la Barbera28 gennaio 2018 alle ore 10:40

    e di nuovo un post "provvidenziale": mercoledì inizierò un nuovo corso di scrittura creativa; scegliere lo spunto iniziale per il primo incontro non mi è mai facile, non conoscendo il nuovo gruppo e mi affido ai "segni". Il tema trattato in questo post mi è molto congeniale; l'ho approfondito in particolare per la pubblicazione di un testo, nel lontano 1990: "Silenzio e Parola in Raïssa Maritain"...
    Credo che inizierò dal ruolo del silenzio nel quotidiano caos comunicativo...
    Grazie.

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    1. Felici di questa "consonanza" di interessi sul tema trattato dall'amico Rosario Grillo. Mia moglie ha molto amato il "Diario" di Raïssa Maritain in tempi giovanili ed io considero Emmanuel Mounier uno dei miei "padri spirituali". Buona domenica.

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    2. Confermo la risposta di Gian Maria e ringrazio con simpatia

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  3. Argomento da leggere e rileggere ....scopro che " silenzio " è quella parte del pensiero che protegge la " parola ......perché la " parola " ne è " il cuore " ......Si potrebbe dire che le due parole richiedano ....responsabilità... equilibrio... rispetto ...cioè meritano di essere trattate con amore .... ..... Dal vostro utile argomento traggo infine una definizione di " silenzio e parola " come una lotta tra temperanza e intemperanza per una necessaria presa di coscienza .....Grazie ....a voi tutti ....

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    1. Molto interessante l'accostamento "silenzio e parola" con "temperanza e intemperanza": l'esercizio del silenzio - e della parola che si nutre di esso - richiede un cammino di ascesi interiore. Grazie.

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  4. Da questo scritto magistrale, 'ritaglio' le riflessioni che mi sono state più utili: "È bene chiarire, a questo punto, che non si vuole la scomparsa della parola, ma la consapevolezza: che essa è salva, è fondata, quando non dimentica la relazione con il silenzio. Solo questa relazione protegge dall’inconsistenza, il brusio, e più ancora: dall’esercizio dell’autorità egocentrica, che può portare fino ad Auschwitz.Il silenzio, dicono i mistici, svuota, libera: dalle inezie e dalla superbia."
    Grazie. E grazie a Rossana per l'ottimo corredo delle immagini di Segantini.

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    1. Sempre gentile. Grazie per il commento e per la segnalazione del preciso punto dell'articolo di Rosario (in effetti molto efficace). Un caro saluto.

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  5. Mariangela Romanisio9 aprile 2018 alle ore 15:29

    Ringrazio il signor Rosario Grillo per la condivisione di questi messaggi sul Silenzio e sulla Parola.
    Aggiungo un contributo del grande Pablo Neruda, laddove dice:

    "la parola è un'ala del silenzio"

    PABLO NERUDA - XLIV sonetto

    Saprai che non t'amo e che t'amo
    perché la vita è in due maniere,
    la parola è un'ala del silenzio,
    il fuoco ha una metà di freddo...

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