Immaginare nuova nascita.
Post di Rosario Grillo.
E=mc² Da ignorante di fisica comincio con la legge di Einstein, recuperando la funzione della luce, presente come costante (c).
La luce è una costante universale e, in quanto tale, assoluta.
Non sbagliavano, nel Medioevo, coloro che predicavano Dio attraverso il simbolo della luce. Quando Roberto Grossatesta improntava la metafisica della luce.
Nello scritto di Stefano Della Torre, Dio, (1) si sceglie di dar conto della duplicità, visto che la costante presente nella dottrina einsteiniana della relatività, assume un connotato di assolutezza. Potremmo dire che essa domina il tempo.
Il Big Bang conflagra nella Luce (o attraverso); un fenomeno luminoso accompagna la morte delle stelle (stelle cadenti), molto ma molto tempo dopo che essa è avvenuta.
Sempre S. Della Torre evidenzia la radice della parola con cui chiamiamo Dio.
(theoreo = Theos). Scrive: Ha dunque a che fare con la vista e, più esplicito, la “radice div, da cui il latino divus, e poi dia, ‘giorno’, e ‘diurno’, che recano il senso della luce (che pure ha a che fare con la vista)”. (2)
Andando al pratico e sfiorando la banalità, mi basta mettere sotto osservazione l’associazione luce-vita e, a contrasto, oscurità-morte.
L’oscurità invade tutto ciò che collassa. Nel Nuovo Testamento si conferma la combinazione tenebre-morte (“Mi hai gettato nella fossa profonda, nelle tenebre e nell’ombra di morte” (3) ).
Ora, assodato ciò, voglio prendere spunto dall’ultimo libro di Massimo Recalcati, che si sofferma sul “dolore della morte e della nostalgia”.
La radicalità del saggio di Recalcati sta nella ferrea riconduzione della nostalgia al senso di perdita, molto vicino alla morte. La luce che il suo saggio accende è il risultato positivo che si apre quando orientiamo ciò che fu e non potrà più essere non più in direzione passatista, ma futuribile. In modo da immaginare nuova nascita.
È tragico lo scenario analizzato da Recalcati, perché non risparmia dettaglio alcuno della lista delle perdite che l’uomo, segnato dalla consapevolezza, registra, fin dai primi momenti della sua vita (perdita del seno, perdita dell’infanzia, perdita delle radici…). Suggellato attraverso il richiamo di una definizione secca data da Simone De Beauvoir: “la morte dell’uomo è sempre prematura”. Da essa possiamo inferire che qualsiasi morte, anche di chi ha raggiunto la tarda età di cento e passa anni, è prematura. Siamo diversi dalle foglie, che mutano colore e quindi cadono, morte, dall’albero. Siamo diversi dagli animali, che non hanno coscienza della loro morte.
Recalcati, fermo alla sua professione di psicanalista, si propone la cura della implicata patologia psichica: la fissazione che si propaga dal dolore della morte e della nostalgia.
Come già detto, egli fa una proposta risoluta e risolutiva, nel momento in cui rivolge all’avvenire la risposta attiva - quella che getta il seme della nuova nascita. (4) Si è messo, così, in moto il processo della eredità, perché questa, spesse volte fraintesa quando la si arcaicizza, ha sostanzialmente un aspetto creativo.
Scansando la pedanteria, voglio accennare alla natura strutturale di ciò che nasce - giovane virgulto, forte però di alimenti e ingredienti ed energia (sostanza in toto) che vengono da lontano, frutto di eredità -.
Vito Teti, Quel che resta, Donzelli 2017 |
Teti combatte la scomparsa di paesi abbandonati, esclusi dal “circuito della vita moderna” fatto di industrializzazione consumismo turismo di rapina. In essa di riti e tradizioni, che non sono l’antico, bensì segnano base e linfa di ciò che viene.
Questo è il tema di un’opera sua famosa, Quel che resta (5), fulcro di una categoria: la restanza, attorno alla quale si agglutina una civiltà in divenire. (6)
Scendendo nel contingente - così concludo - non mi sembra un’idea peregrina, anche in reazione allo stile comportamentale dell’uomo attuale: superficiale ed improntato alla’ “usa e getta”.
Note.
(1) Dio, Bollati Boringhieri.
(2) Citato, p. 57.
(3) Salmo 88.
(4) Fuor di tema, voglio sottolineare che questa è l’impronta rivoluzionaria del vero riformismo.
(5) V. Teti, Quel che resta, Donzelli.
(6) “Una «narrazione» della «fine del mondo». Dice mia madre: «Mia nonna e tua nonna dicevano “’mbiatu cu’ no’ nesciu” (beato chi non è nato) perché poi “alli tanti e poi alli tanti” viene la fine del mondo». «Cosa vuol dire mamma?», le domando retoricamente perché ho già capito cosa vuol dire. «E che ne so figlio, dicevano che dopo tanti e tanti anni, non si sa quanto, viene la fine del mondo e beato chi non è nato». Mi guarda con grande pietas, con l’aria di chi è felice di essere nata ed è preoccupata per quelli che resteranno dopo di lei. Le leggende di questo periodo parlavano di un tempo mitico di riferimento e della necessità di rigenerazione. L’idea di un mondo che «muore» e poi rinasce, di un tempo che si rigenera, oggi esce dalle mitologie popolari e si trasferisce nel pensiero di chi non crede più in un progresso senza fine, di chi teme che la crisi ci metterà di fronte a scenari apocalittici e di chi pensa, dopo un lungo periodo di grandi difficoltà, a una rigenerazione del mondo e dell’umanità. Se guardo al tempo andato, non è soltanto per una ragione personale, o per una sterile nostalgia, ma perché credo che in quel passato, al quale è impossibile tornare, si possano trovare lezioni ed elementi per «affrontare» la crisi, per trasformarla in occasione di riflessione, di ripensamento e, forse, anche di rigenerazione.” da Quel che resta p. 5289-5300 in edizione eBook.
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Grazie Rosario e buon anno.
RispondiEliminaGrazie, caro Rosario, per la visione della luce a 360° che allarga il cuore e l amente e per la "rigenerazione" possibile in questo tempo di privazione. E' come sempre il tuo un inno alla e della speranza.
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