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sabato 10 giugno 2023

Scuola senz'anima.

"Indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso”. Lettere di don Milani
Post di Gian Maria Zavattaro
Immagini delle illustrazioni di Victoria Semykina (qui il sito).
 
Illustrazione di Victoria Semykina
La scuola è un laboratorio che anticipa ciò che dovrebbe essere nel futuro la collettività. (Papa Francesco). (1)
La scuola dovrebbe avere sempre come suo fine che i giovani ne escano con personalità armoniosa, non ridotti a specialisti. Lo sviluppo dell’attitudine generale a pensare e giudicare indipendentemente dovrebbe sempre essere al primo posto, e non l’acquisizione di conoscenze specializzate” (Albert Einstein).
 
In questo “tempo di privazione” c’è il rischio che ogni scuola si stia avviando a tradire la propria vocazione, la propria “anima”. M. Augé direbbe che da “luogo” di relazione-educazione rischia di trasformarsi in “non-luogo”: punto e basta. Come ogni evento ed istituzione umana la scuola vive nel tempo della società hic et nunc con i suoi valori e contraddizioni, ne è il riflesso, ma va oltre perché tempo-luogo educativo proiettato verso il futuro. È “presente” nel suo tempo nella triplice modalità di presente del presente, presente del passato, presente del futuro (“esse nosse velle”). “Siede fra il passato e il futuro e deve averli presenti entrambi (2): sconfina, sfugge ad ogni esclusiva appropriazione, abita sia il pensiero convergente (contenuti e regole funzionali ai bisogni-interessi della società) sia il pensiero divergente (creativo critico innovativo). È il suo ruolo “profetico” (3), spesso tradito, emblema dell’etica della responsabilità nei riguardi anche delle future generazioni: appartiene al suo tempo ma non si perde in esso, riconosce la memoria e la storia nella pre-visione di un futuro più umano.
Illustrazione di Victoria Semykina
Ebbene il rischio è che la sua anima si dissolva nel conformismo gregario: rassegnata servile accettazione di ogni imposizione, resa al disincanto, svuotamento fattuale dell’autonomia didattica-organizzativa costituzionale. “Anima” è la singola identità di ogni scuola, respiro d'umanità, di aspirazioni e speranze: è il suo modo di abitare il pensiero e vivere le relazioni nella comunione tra generazioni, insegnando-imparando; è la dedizione dei dirigenti, la passione dei docenti, i sogni degli studenti, il quotidiano travaglio di tutte le componenti, donne e uomini, giovani e non giovani, con le loro gioie, speranze, sofferenze, illusioni e delusioni, anche fallimenti a volte prezzo del crescere-far crescere; è il gusto della libertà di pensiero, di ricerca del sapere e oggi soprattutto è respiro della “lentezza” che sconfessa l’illusorio mito della vita che tutto arraffa fuori e dentro il digitale e vede gli altri e il mondo sempre solo di corsa; è apertura agli incontri, alla convivialità e solidarietà, alle avventure che si chiamano poesia, meraviglia, gratuità, bellezza; è il corale veleggiare da una disciplina all’altra (nessuna esclusa!) con la parola, l’ascolto, la lettura (la lectio!), educando alla cittadinanza attiva compresa quella digitale, al pensiero critico convergente e divergente (4), alla comprensione della complessità,
ma non alla sudditanza. Anima che riconosce e si serve, senza divenire serva, dell’ésprit de géometrie - di cui oggi emblema è l’IA -, ma che vive l’urgenza dell’ésprit de finesse nella didattica quotidiana, che è guardare in faccia l’alunno, svelare (a-letheia) ciò che era celato e nascosto dietro quel che appare (doxa),opporsi alla barbarie intesa secondo l'etimo greco: balbettio, assenza di parola-logos cioè di pensiero, incapacità di comunicare e di "vedere" la realtà, di rapportarsi ad essa con responsabilità. Anima che si domanda continuamente: quale ruolo hanno gl'insegnanti nella vita di ogni loro alunno?
Illustrazione di Victoria Semykina
Può rispondere, temo, solo chi nel quotidiano relazionarsi sa “vedere” cioè guardare negli occhi, leggere i bisogni di ognuno per dare senso al cammino degli allievi, accompagnarli, con-partecipare attenzione e passione, educare (ex-ducere), condurre fuori dal caos, dalla frammentazione, dall’insignificanza: appunto in-segnare. Non è prioritario il traguardo del “merito” individuale - ammesso che lo si possa stabilire nella diversità delle partenze - è importante il percorso, il pro-cedere, andare innanzi, “dare nuove opportunità a chi non ne ha” (5).
Se questa è l’anima della scuola allora forse posso capire cosa vuol dire perderla: rinnegare o snaturare il senso del suo esistere, risucchiato nei labirinti burocratici, nel rincorrere discutibili e mai discusse norme che rischiano di ignorare le vere urgenze, imposte nell’ottica del “tutto va bene” - “tutto fa brodo”.
E i docenti? Sulle loro spalle ricade l’arduo compito di definire un nuovo umanesimo che sappia accogliere-valorizzare la cultura tecnologica e insieme difendere-diffondere il primato dell’humanitas, nel confronto delle diversità e nell’ospitalità reciproca, senza tradire la responsabilità dell'educatore verso l’altro. Come vivono i docenti giovani la loro professione? Ripiego o passione? Vivacchiano i non più giovani con il dominante pensiero di  andare in pensione al più presto oppure, testardi, si ostinano ad emozionarsi e spendersi? Non cambio la scuola se mi arrendo, se non scopro o riscopro la passione di in-segnare, sognando con gli studenti un mondo che non c’è, pazzia che non cede al ricatto del disincanto.
 
Illustrazione di Victoria Semykina
E gli studenti? La scoperta della lentezza è la chiave per “vedere”, leggere, decifrare, interpretare, interrogare ed interrogarsi. Senza un tempo più lento non esiste nessun genere di lettura non solo di libri cartacei o virtuali, ma di se stessi, degli altri, del mondo sociale e naturale. E temo poi che oggi la spinta ministeriale a correre per il traguardo del "merito" possa essere intesa come apologia del successo narcisistico, longa manus della “cultura dello scarto”: non importa se sia stata offerta a tutti e a ciascuno l'opportunità di imparare, non interessa il fatto che si diano risposte uguali  a persone in situazioni disuguali…
E i genitori? Le scuole hanno un’anima anche attraverso i loro atteggiamenti - comportamenti in un condiviso progetto culturale della scuola, nel rispetto ben chiaro delle diverse competenze e ruoli, nell’impegno di reciproco rispetto, interrogandosi e ricreando soprattutto relazioni. Qui casca l’asino: al ritornello della cronica emergenza educativa dei giovani, con altrettanta foga si dovrebbe urlare l’emergenza educativa degli adulti, in specie di taluni genitori, non pochi, incuranti di responsabilizzare i figli sul loro andamento scolastico perché loro stessi irresponsabili. Per mille motivi impreparati a gestire con autorevolezza la quotidiana dialettica con i figli adolescenti, li difendono in ogni caso ad oltranza a scapito della autorevolezza dell’insegnante. Rivalsa di formazione reattiva...
Rimane insolvente il compito più delicato di ogni scuola: essere fedele al presente, tra il passato e il futuro, avendoli presenti entrambi. Se rimarrà insoluto, non ci sarà scampo per la scuola senz’anima, a dispetto di tutte le millantate riforme.
 
Note.

Illustrazione di Victoria Semykina

1.Dopo aver elaborato questo post, riprendendo il tema dell’anima già sviluppato anni fa, ho incrociato il recente libro di R.Barzotti e R.Cetera L’anima della scuola, Le parole (e le domande) giuste per riconquistare l’anima perduta della scuola, ed.S.Paolo,2023, la cui piacevole lettura suggerisco vivamente: “un aiuto, un piccolo schiaffo che, con affetto, viene dato al lettore”. La citazione di in epigrafe di Papa Francesco è tratta dalla pagina  terminale (141) del testo.
2, ”….e allora il maestro deve essere per quanto può profeta, scrutare “i segni dei tempi”, indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso”. Lettere di don Milani priore di Barbiana, Mi, Mondadori,1970, p. 222-223.
3. Padre Balducci, in riferimento a don Milani, così spiegava: “I profeti, si sa, hanno un compito non tanto di indottrinarci, quanto di mettere la nostra coscienza a un bivio, al bivio del sì e del no, dal quale bivio dipendono non solo l’orientamento culturale e la civiltà dei popoli ma, se siamo credenti, dipende la stessa nostra salvezza eterna” (E. Balducci, Io e don MiIani, ed. S. Paolo 2017, p.61).
4. Non vedo contraddizione tra pensiero convergente e pensiero divergente: abbiamo bisogno di entrambi per orientarci nel mondo e per decifrare la complessità delle relazioni sociali; abbiamo bisogno di convergere e divergere, di annunciare e di denunciare, di ésprit de géometrie e di ésprit de finesse, di possedere la parola della scienza  e della  tecnologia insieme alla parola della filosofia poesia arte musica…
5. Insomma I Care di don Milani, attenzione di S.Weil. Interessante la radice etimologica delle parole  che designano i membri della relazione pedagogica. Oltre i vocaboli già segnalati (in-segnante, docente, e-ducare): allievo (da allevo) alunno (da àlere, allevare ma soprattutto nutrire), educando (da ex-ducere),discepolo, discente (da discere e didasko tratti dalla radice dek propria dell’area greca slava latina= rivedere mentale), studente (dal latino stadere che in origine significa appoggiarsi, dove l’azione implica l’altro, supporto al pari della madre, cfr. Devoto). L lingua inglese è poi ancora più esplicita: to breed = sia allevare sia educare…. Sull’attenzione vale  la pena ricordare la pagina notissima di di S. Weil, in cui  precisa il valore dello studio – qualsiasi studio, dalla versione latina al problema di geometria “anche se sbagliati” – ed il suo significato sociale  umano religioso, che non è mai solo affare individuale, perché studiare  vuol dire cultura, cioè,  possesso della parola, appartenenza alla comunità e responsabilità verso gli altri.La capacità di  prestare attenzione  a uno sventurato è cosa rarissima, difficilissima; è quasi un miracolo, è un miracolo. […] La pienezza dell’amore del prossimo sta semplicemente nell’essere capace di domandargli: “Qual è il tuo tormento?” […] Per questo è sufficiente, ma anche indispensabile, saper posare su lui un certo sguardo. Uno sguardo anzitutto attento, in cui l’anima si svuota di ogni contenuto proprio per accogliere in sé l’essere che essa vede così com’è nel suo aspetto vero. Soltanto chi è capace di attenzione è capace di questo sguardo. E’ quindi vero, sebbene paradossale, che una versione latina, un problema di geometria, anche se sbagliati, purché si sia dedicato ad essi lo sforzo adeguato, possono in un giorno lontano renderci meglio capaci di portare a uno sventurato l’aiuto che può salvarlo nell’istante dell’estremo sconforto, Per un giovane capace di cogliere questa verità e abbastanza generoso per desiderare questo frutto più di ogni altro, gli studi saranno pienamente efficaci  dal punto di vista spirituale, anche al di fuori di ogni credenza religiosa”. S. Weil, Riflessioni sull’utilità degli studi scolastici al fine dell’amore di Dio, in  Attesa di Dio, Rusconi, Mi, 1991, pp.83-84.

2 commenti:

  1. Gian Maria hai convocato i “ giganti “ per ribadire il valore “ inestimabile “ della scuola( da sant’Agostino a Simone Weil a don Milani), portando consapevolmente il discorso sul suo “ tratto “ maieutico -universale”, lontano dall’asservimento al campo istituzionale statuale, che la rende oggetto di continui compromessi e di latente assorbimento. Oggi, nell’Italia che ci ritroviamo, il pericolo è evidente e l’esortazione con il richiamo alla memoria è indispensabile.
    Fondamentale: la tua scelta di condensare e rappresentare, con la voce Anima, il succo delle passioni delle speranze delle potenzialità di tutti gli attori coinvolti, dagli alunni ai genitori passando per docenti e dirigenti.
    Nulla da aggiungere alle tue parole, illuminate e illuminanti.🤗✨✨

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  2. In onore di Nuccio Ordine, grande intellettuale morto ieri, inserisco questo suo "profetico" appello a ritrovare il senso della scuola:
    [video]https://www.youtube.com/watch?v=6x46fa1Z6co[/video]

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