Un libro che ogni "educatore" - genitore, insegnante, adulto - dovrebbe sentire scritto per sé.
Post di Rossana Rolando.
"La prima è relativa all’esigenza di
sentirsi amati dai loro figli … non sono più i figli che domandano di essere
riconosciuti dai loro genitori, ma sono i genitori che domandano di essere
riconosciuti dai loro figli. Per risultare amabili è necessario dire sempre
“Sì”, eliminare il disagio del conflitto, delegare le proprie responsabilità
educative, avallare il carattere pseudo democratico del dialogo".
...
"La seconda grande angoscia dei genitori di oggi è quella legata al principio di prestazione. Lo scacco, l’insuccesso, il fallimento dei propri figli sono sempre meno tollerati. Di fronte all’ostacolo la famiglia ipermoderna si mobilita, più o meno compattamente, per rimuoverlo senza dare il giusto tempo al figlio di farne esperienza".
"La seconda grande angoscia dei genitori di oggi è quella legata al principio di prestazione. Lo scacco, l’insuccesso, il fallimento dei propri figli sono sempre meno tollerati. Di fronte all’ostacolo la famiglia ipermoderna si mobilita, più o meno compattamente, per rimuoverlo senza dare il giusto tempo al figlio di farne esperienza".
Chi ha esperienza in campo educativo, chi vive nel mondo della scuola, chi si occupa di problematiche sociali sa quanto le parole sopracitate siano vere.
Per questo riteniamo utile presentare il libro da cui
le affermazioni sono tratte: Cosa resta del padre, Raffaello Cortina
Editore, Milano 2011. L’autore del libro è Massimo Recalcati, uno psicanalista
molto noto, spesso invitato in televisione o in pubblici dibattiti. Potremmo
dire anche molto "di moda" e questo ci potrebbe creare qualche
sospetto se non fosse che ci rendiamo subito conto di quanto siano a ben vedere
scomode e quindi poco adatte ad un facile consenso le cose che l’autore dice e
scrive.
🌟 Il genitore e la legge.
Al di là dei tecnicismi che fanno riferimento alla
psicanalisi di Jacques Lacan cui Massimo Recalcati aderisce, la tesi di fondo
del libro è questa: perché ci sia un’educazione del desiderio, perché si impari
a desiderare è necessario che ci sia una legge, una norma, un No, un limite.
Per "desiderio" Recalcati intende un motivo per vivere, una spinta,
un progetto che esca dal qui ed ora, dall'immediato e che permetta di
proiettarsi nel futuro.
E’ nell’esperienza dell’impossibilità – “non puoi
sapere tutto, non puoi avere tutto, non puoi essere tutto, non puoi godere di
tutto” – che matura il desiderio come slancio verso la vita.
Un esempio del rapporto tra legge e desiderio,
tratto dalla comune esperienza dei genitori di oggi, potrebbe essere questo:
non puoi rientrare all'alba tutte le notti (ecco la LEGGE, il DIVIETO), perché
così facendo non avrai il tempo e le energie per costruire un progetto nella
tua vita (DESIDERIO)... e quindi non riuscirai a dare spazio a una prospettiva,
a una speranza, a un futuro per cui valga la pena vivere.
Noi viviamo in un tempo senza legge e quindi senza
desiderio. La figura del padre (o del genitore, in generale) è stata, nella
tradizione dei nostri nonni, quella che ha incarnato la legge e l’ha fatta
valere. Questa immagine del padre, questa figura di genitore – afferma
Recalcati sulla scia di Lacan – è venuta meno, è tramontata, evaporata … e con
essa la possibilità del desiderio. Perché la legge non ha e non deve avere una
funzione semplicemente repressiva, piuttosto essa crea la condizione per la
quale può nascere l’esperienza del desiderio. Dove non vi è legge non vi è
neppure desiderio e quel che rimane è una pseudo liberazione del desiderio
ridotto a capriccio, ad appagamento immediato, a “godimento compulsivo e
sregolato, privo di desiderio” (p. 52). Si ha tutto, si dispone di tutto,
perché nulla è interdetto, ma manca il desiderio di vivere.
🌟 Il genitore di oggi non incarna più la legge perché incapace di reggere il conflitto che la legge implica.
Dire no significa entrare in conflitto e il conflitto
è la condizione della formazione, dell’educazione. Venendo meno la figura del
genitore che incarna la legge è venuta meno anche la capacità di sopportare il
conflitto generazionale che il no implica. Al conflitto si sostituisce la
retorica del dialogo che appiattisce le relazioni tra genitori e figli e
rovescia i rapporti di subordinazione: non è il figlio che si adegua
all’organizzazione dell’ordine familiare, ma è il genitore e la famiglia che si
adeguano alle esigenze del “dio-bambino e alla sua volontà resa assoluta” (p.
99).
🌟 L’incapacità di sopportare lo scacco.
L’accondiscendenza del genitore si accompagna al
progetto sul figlio, un progetto che non tollera fallimento e sconfitta. I
figli sono idealizzati per rispondere alle angosce narcisistiche dei genitori.
Perciò i giovani oggi non sopportano l’insuccesso perché anzitutto non lo
sopportano i loro genitori.
🌟 Il disagio della giovinezza.
Essersi liberati della legge non significa però essere
più liberi e più felici: i giovani di oggi sono intossicati per eccesso di
godimento, hanno tutto, ottengono tutto, ma non accedono all’esperienza del
desiderio, non sanno desiderare. Così non li rende più felici e più liberi la
loro ansia da prestazione, il loro dover riuscire ad ogni costo, per
corrispondere ai progetti che i genitori hanno su di loro.
Eppure il fallimento, l’errore, la sconfitta
costituiscono importanti vie di formazione della propria identità. Voler
proteggere ad ogni costo i giovani dalle delusioni e dai fallimenti, anziché
accompagnarli come adulti anche nelle loro sconfitte, non educa persone vere,
ma soltanto ego ipertrofici, presi dal culto dell’apparenza e dal falso
prestigio dell’io.
🌟 Crisi dell’educazione.
Come reagire a questa crisi? Pensare di tornare alla
figura del padre che incarna la legge all’interno di una società consumistica
che non conosce divieti e che si fonda sul “perché no?” è impossibile: quella
figura del padre e quella società che ne reggeva la possibilità non esistono
più. E allora: come recuperare in una forma oggi possibile la responsabilità
educativa? Come raccogliere la sfida: quella di essere capaci di dire un “no”
che sia davvero un “no” (a questo proposito Recalcati racconta di un suo
paziente tossicomane che affermava di non aver mai incontrato un “NO!” di quel
genere) e nello stesso tempo di trasmettere un desiderio di vita e di
realizzazione?
🌟 La via della testimonianza.
Se la figura del padre come legge, come No normativo,
e quindi come via per l’interiorizzazione del limite – "non puoi sapere
tutto, non puoi godere di tutto, non puoi essere tutto, non puoi avere
tutto" - e dell’autentico desiderio non è più possibile perché un certo
modello di famiglia, di auctoritas e di società è definitivamente
scomparso, quello stesso senso del limite va trasmesso come eredità alle nuove
generazioni attraverso la testimonianza singolare del genitore o, in generale,
dell'adulto che sa testimoniare nella propria vita il trasporto verso qualcosa,
anche in assenza di un senso ultimo, anche se questa fosse l’unica vita.
L'insegnante che senza volerlo - non perché si propone
di farlo - trasmette il proprio amore per la poesia, si emoziona e sente
trasporto di fronte ai versi di un poeta... dà testimonianza. Testimonianza di
qualcosa per cui spendere la vita, qualcosa che trasporti, che dia energia -
magari diverso per ciascuno: amore, politica, professione, musica … - qualcosa
che permetta di non annegare nella depressione, in quella condizione terribile
in cui tutto è lì, tutto è disponibile, tutto si può avere ... si è circondati
da oggetti del godimento, ma non si desidera vivere.
Per me genitore ed insegnante ormai è "resistenza quotidiana" cercare di testimoniare ai miei figli e ai miei allievi uno stile di vita che abbia un senso, un fine, uno scopo. Ma come è difficile vedere le cose dal di dentro, in profondità, in modo "tridimensionale". Come quando si va al cinema, i 3D vanno visti con gli occhiali speciali, così è per la nostra vita, i fatti che ci accadono, gli argomenti svolti a scuola, un libro che leggiamo. Per guardare così ci dobbiamo mettere "del nostro", dobbiamo riflettere, ci vuole tempo...E' più facile limitarsi alla superficie, alla facciata..si ha la risposta subito, piace o non piace, la scelta è immediata. Oggi si vuole colmare i bisogni col tutto e subito "afferrando", "consumando". Il desiderio, invece, ci spinge a riflettere, ad uscire da noi stessi per raggiungere il nostro scopo. Dobbiamo ritornare a "riprenderci" il senso del tempo, fidarci dell'altro e stabilire alleanze....Vivere le relazioni con gratuità, scrollarci le aspettative che stabiliscono schiavitù non relazioni libere, partendo proprio dai legami più stretti.
RispondiEliminaCiò che maggiormente mi colpisce nel discorso di Massimo Recalcati è la capacità di intercettare una crisi educativa diffusa, che certamente coinvolge la società intera e, in qualche misura, investe ciascuno di noi. Il suo merito, a mio avviso, è quello di dare un messaggio che aiuta tutti a riflettere, senza colpevolizzare i singoli genitori – i quali spesso vivono con sofferenza il proprio disorientamento rispetto ai figli – e senza condannare i figli che, in molti casi, non avvertono il vuoto che pure li attanaglia e li fa star male e confondono il godimento immediato, il consumo del divertimento, l’assenza di progettualità, il non riuscire a vivere al di là del momentaneo, con la vera libertà.
RispondiEliminaMolti insegnanti – e parlo anche di me - avvertono in modo drammatico questa emergenza pedagogica, sentendosi spesso soli nell’affrontare problematiche educative e nell’assolvere il difficile compito di contribuire a formare persone adulte, capaci di trovare significati per cui vivere. Per questo è molto importante riflettere su questi temi, tutti insieme, abbattendo le difese, abbandonando le diffidenze, con l’unico scopo di far crescere gli uomini e le donne di domani.
Recalcati coglie da par suo il problema. La sua analisi mi convince, non la sua risposta che non mi soddisfa pienamente: la testimonianza a cui fa riferimento mi pare più consolatoria ed illusoria che capace di appassionare e suscitare nei giovani il coraggio della resistenza alla società “liquida”. Lasciando ad un prossimo post le opportune considerazioni, vorrei riflettere in merito alla testimonianza offerta da Patrizia ed alle responsabilità dei docenti. Il 44° “Rapporto sulla situazione sociale del Paese 2010” del Censis individuava la natura della crisi in un “calo del desiderio” in ogni aspetto della vita di “una società pericolosamente segnata dal vuoto” con le conseguenti “evidenti manifestazioni di fragilità sia personali sia di massa, comportamenti e atteggiamenti spaesati, indifferenti, cinici, passivamente adattativi, prigionieri delle influenze medianiche, condannati al presente senza profondità di memoria e di futuro”. G. De Rita concludeva la diagnosi suggerendo di tornare a desiderare. La reazione poteva venire secondo De Rita solo dal basso. Per la scuola significa: non è dalle riforme o dal Ministero che può arrivare la svolta, ma da parte degli insegnanti. A fare il buon insegnante non valgono il possesso dei requisiti formali o le argomentazioni di principio, quanto piuttosto il vissuto quotidiano, la passione di educare capace di guardare gli alunni negli occhi, leggerne i bisogni, apprezzare e dare il giusto risalto ad ogni individualità, perché ognuno possa imparare a conoscersi, apprezzarsi, amarsi, emozionarsi, sorprendersi, andare oltre, fare un passo avanti nella scalata delle difficoltà. Il ruolo di ogni insegnante è in rapporto al suo quotidiano relazionarsi con loro, nel suo accompagnare e com-partecipare alla fatica del crescere, nella sua capacità di adattare il proprio insegnamento alle forze ed alle debolezze di ciascuno, nella testimonianza e coerenza tra ciò che predica e ciò che pratica, nella conseguente capacità di fondare sulla propria autorevolezza personale l’autorità derivante dal ruolo che svolge, per rendere la scuola luogo in cui si annuncia la speranza e si organizza la cultura, e non luogo insopportabile per tutti. La strada che pratica ed indica Patrizia è il cammino che come blog cerchiamo di praticare ed indicare dal primo giorno. Con Patrizia e tanti altri amici si cammina insieme da una vita. E’ però fondamentale far scoprire a tutti i nostri potenziali lettori che si sta camminando insieme, che siamo in tanti a pensarla come Patrizia e che la strada che ogni giorno percorriamo, con lentezza (confermo l’elogio della lentezza!) è affollata da persone la cui presenza spinge ognuno di noi a “fidarci dell’altro e stabilire alleanze .…, vivere le relazioni con gratuità, scrollarci le aspettative che stabiliscono schiavitù con relazioni libere, partendo proprio dai legami più stretti”. Cara Patrizia, un saluto affettuoso a Francesco.
RispondiEliminaCome genitore, mi sento coinvolto su questo tema:" Essere genitori oggi." Parrebbe un tema di facile soluzione. Se però così fosse, non ci sarebbero certi figli e certi genitori.Credo che nel problema di scollamento tra figli e genitori, esistano importanti responsabilità di questa società. Una società che ha perso il senso della morale. E' mia opinione che in seno alle famiglie, nei rapporti tra genitori e figli, esistano fratture estranee al nucleo familiare, ma addebitabili a un malcostume sociale diffuso. Mi riprometto di riprendere l'argomento. Un abbraccio Franco.
RispondiEliminaCondivido l'analisi del prof recalcati :sono diversi anni che si è perso il significato del No come divieto e del Sì quando è necessario. Quelli che sono vissuti negli anni 30/40e oltre, grazie ai No oggi posseggono sicurezza e coscienza del loro vissuto e sono felici perché hanno "desiderato".si desiderava un frutto, un dolce, incontrare un amico, di andare ad una festa... E quando il desiderio si realizzava si era appagati. Oggi che si ha tutto e subito i ragazzi non sono mai contenti. Oggi fare il genitore o l'insegnante è veramente una missione impossibile. Però c'è chi ci riesce per fortuna.
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