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martedì 19 aprile 2016

In cosa crede chi non crede? C.M.Martini e U. Eco.

Carlo Maria Martini
In cosa crede chi non crede? è un libretto, riedito da Bompiani nell’aprile 2014 (quando Eco era ancora tra noi e Martini era morto due anni prima, nel 2012), che riprende un dialogo epistolare intercorso tra Martini ed Eco nel 1995-96, pubblicato sulla rivista Liberal e poi in un piccolo volume tradotto in 16 paesi.
Si tratta di quattro scambi (in tutto otto lettere) sulle seguenti tematiche: il senso e il fine della storia; l’inizio della vita umana e il problema dell’aborto; il ruolo della donna nella chiesa e la questione del sacerdozio femminile; i fondamenti di un’etica laica e le convergenze etiche tra credenti e non credenti.
Umberto Eco
Mi soffermo su quest’ultimo aspetto. E’ Martini ad impostare il colloquio su questo tema, ponendo il problema e chiedendo ad Eco qual è  “il fondamento ultimo dell’etica per un laico, nel quadro del ‘postmoderno’. Cioè, in concreto […],  quali ragioni dà del suo agire chi intende affermare e professare principi morali, che possono richiedere anche il sacrificio della vita, ma non riconosce un Dio personale?” (pp. 93-94). Martini prosegue chiarendo il suo pensiero. Egli non intende affatto negare la possibilità concreta di comportamenti moralmente retti da parte del laico non credente, ma vuole domandare la giustificazione teorica di tale retto operare. Il confronto, nell’ottica di Martini, potrebbe portare ad una più intensa e proficua collaborazione su temi eticamente rilevanti tra credenti e non credenti, soprattutto in quegli spazi che esulano dai territori delle leggi civili e penali e toccano le relazioni interpersonali e la responsabilità verso gli altri.

Pinturicchio, Disputa di Gesù 
con i dottori del Tempio, particolare 
(Cappella Baglioni, Spello)
Martini insiste soprattutto sull’etica dell’alterità: quali ragioni ha un laico non credente per preferire “l’altruismo, la sincerità, la giustizia, il perdono dei nemici […], anche a costo della vita, ad atteggiamenti contrari?”. Certo l’appello alla dignità umana può essere condiviso da credenti e non credenti, ma – conclude Martini – che cosa fonda tale dignità “se non il fatto che ogni essere umano è persona aperta verso qualcosa di più alto e di più grande di sé? Solo così essa non può essere circoscritta in termini intramondani e gli viene garantita una indisponibilità che nulla può mettere in questione” (p. 102).
Pinturicchio, Disputa di Gesù 
con i dottori del Tempio, particolare
Raccolto il tema del dibattere Eco propone le sue risposte. Inizia con il confermare l’ultima affermazione di Martini, relativamente ad una forma di “religiosità” laica, utilizzando queste belle espressioni: “fermamente ritengo che ci siano forme di religiosità, e dunque senso del sacro, del limite, dell’interrogazione e dell’attesa, della comunione con qualcosa che ci supera, anche in assenza della fede in una divinità personale e provvidente” (p. 107). Quindi Eco procede sul terreno proposto da Martini per discutere se, a partire da questi presupposti, sia possibile la fondazione di un’etica laica.
Le argomentazioni sono di due ordini. 
Pinturicchio, Disputa di Gesù 
con i dottori del Tempio,
particolare
La prima riguarda la presenza di nozioni universali che prescindono dall'appartenenza ad una fede e possono avere una valenza in termini di fondazione etica. Eco non ricorre all’argomento illuministico della comune ragione umana in cui sarebbero inscritti principi morali universali: tesi che non ha retto i colpi dello sgretolamento postmoderno. Egli sostiene invece l’universalità della percezione che noi uomini tutti abbiamo del nostro corpo, delle azioni mentali e fisiche che lo riguardano. “Pertanto (e già si entra nella sfera del diritto) si hanno concezioni universali circa la costrizione: non si desidera che qualcuno ci impedisca di parlare, vedere, ascoltare, dormire, ingurgitare, espellere, andare dove vogliamo; soffriamo che qualcuno ci leghi o ci costringa in segregazione, ci percuota, ferisca o uccida, ci assoggetti a torture fisiche o psichiche che diminuiscano o annullino la nostra capacità di pensare”. 
E’ in base a questi diritti del corpo che si può fondare un’etica del rispetto della mia e dell’altrui corporalità. Quello che io desidero per il mio corpo è desiderato dall’altro - che è corpo come me - per il suo corpo e quindi “la dimensione etica inizia quando entra in scena l’altro” (p. 111).
Pinturicchio, Disputa di Gesù 
con i dottori del Tempio, particolare
La seconda argomentazione posta a fondamento di un’etica laica è invece radicata nella finitezza e nell’impossibilità da parte del non credente di pensare una prospettiva ultramondana: amare gli altri può diventare così il modo per dare un senso alla propria esistenza, per lasciare qualcosa di sé dopo la morte, per trasmettere un’eredità, un esempio. E così, con un aneddoto, Eco racconta di quel suo amico che un giorno, celebrando la figura del papa Giovanni XXIII, gli disse: “Papa Giovanni deve essere ateo. Solo chi non crede in Dio può volere tanto bene ai propri simili” (p. 114). Anzi, secondo Eco, proprio la finitezza senza prospettiva ultraterrena del laico non credente, può indurre quest’ultimo a chiedere perdono agli altri per il male compiuto e a perdonare a sua volta, perché non essendoci un oltre in cui venir perdonati, tutto si decide in questa vita e solo l’altro può liberare dalla pena, altrimenti disperata e senza alcun rimedio, del male compiuto.
Pinturicchio, Disputa di Gesù 
con i dottori del Tempio, 
particolare
Né Eco si sottrae alla considerazione – anticipata da Martini – della provenienza religiosa di una concezione e di un atto come il perdono. Egli conclude con pagine molto alte sulla figura di Cristo, il cui esempio può valere anche per il laico non credente: “se Cristo fosse pur solo il soggetto di un grande racconto, il fatto che questo racconto abbia potuto essere immaginato e voluto da bipedi implumi che sanno solo di non sapere sarebbe altrettanto miracoloso (miracolosamente misterioso) del fatto che il figlio di un Dio reale si sia veramente incarnato. Questo mistero naturale e terreno non cesserebbe di turbare e ingentilire il cuore di chi non crede” (p. 122). E, ancor prima: “Se fossi un viaggiatore che proviene da lontane galassie e mi trovassi di fronte a una specie che ha saputo proporsi questo modello, ammirerei soggiogato tanta energia teogonica, e giudicherei questa specie miserabile e infame, che ha commesso tanti orrori, redenta per il solo fatto che è riuscita a desiderare e a credere che tutto ciò sia la Verità” (pp. 121-122).
Ce n’è abbastanza per continuare il dialogo.

Pinturicchio, Disputa di Gesù con i dottori del Tempio
Cappella Baglioni, Chiesa Collegiata di Santa Maria Maggiore, Spello (Perugia)
IL PITTORE LAICO.
Pinturicchio, Disputa di Gesù 
con i dottori del Tempio, 
particolare
L’affresco di Bernardino di Betto, detto il Pinturicchio (1454-1513), raffigura La disputa di Gesù con i dottori del Tempio. La scena non è ambientata all’interno del Tempio - che campeggia sullo sfondo, in prospettiva - ma nella Piazza antistante. Intorno a Gesù non ci sono solo i sapienti, ma anche giovani donne e anziane, insieme ad altre persone che si trovano a passare di lì. Scegliere la Piazza, piuttosto che il Tempio, come luogo in cui rappresentare il famoso passo della disputa coi dottori (Lc. 2, 41-50) vuol dire già offrire un’interpretazione: Gesù non discute semplicemente con dotti e religiosi, ma con tutti gli uomini. La Piazza è il luogo che appartiene a chi crede e a chi non crede, è spazio aperto a tutti. In mezzo, sul pavimento, sono visibili alcuni libri, simboli di tutto l’umano sapere, cercare, pensare. La dialettica tra fede e dubbio è necessaria e non si sottrae al confronto. Per questo Maria trattiene Giuseppe che vorrebbe avvicinarsi a Gesù, forse per ricondurlo nel recinto privato e protetto del cerchio familiare.
Se questa è la chiave interpretativa dell’affresco, si può allora pensare che la piacevolezza cromatica dei colori, la raffinatezza dei particolari cesellati come in una miniatura (si notino le piante accanto al Tempio), la ricerca felice dell’ornamento non siano soltanto riconducibili alla scelta di uno stile godibile e “scorrevole”, ma anche e più profondamente ad una ben precisa intenzionalità contenutistica che immerge la fede nel mondo e tanto più qualifica Pinturicchio come “il più laico dei pittori del suo tempo” (G.C.Argan). 

Post ed iconografia di Rossana Rolando.

2 commenti:

  1. Questo scritto è bellissimo. Fa vibrare di commozione intelligente il lettore/la lettrice. Grazie. Anzi, un grazie doppio per aver ricordato il pensiero di "giganti" quali il card.Martini e Umberto Eco e per aver accostato alle loro considerazioni i quadri del Pinturicchio. Buon fine settimana.

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  2. Grazie! Sì, un confronto – quello tra Martini ed Eco – gestito in maniera esemplare ed oltremodo rispettoso della diversità. Molto interessante per chi ha il gusto del dialogo. Buona domenica.

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