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domenica 23 ottobre 2016

Il gioco.

Sul gioco nei suoi molteplici significati, ma soprattutto nella sua dimensione esistenziale, come valore per la vita.
Di Rosario Grillo.
Museo del giocattolo 
di Napoli
Vi parrà strano che un settantenne si metta a scrivere del gioco; posso assicurarvi però che non lo faccio per uno stato di alienazione.
È, invece, sempre un risvolto della vita che voglio esplorare, per rilevarne la natura e l’importanza. Intendo il risvolto “luminoso e gioioso” della vita, che, pure nel suo insieme, è un intreccio inscindibile di gioia e di dolore.
Intreccio compreso in un orizzonte, che, per un credente, è di salvezza, di trionfo della Vita sulla Morte. Una polarizzazione, che introduce – ho in mente l’etimo greco: protepticon, che in sé implica capacità “esortatrice”, di solito trascurata nella versione tecnica: introduzione – alla relazione tra il gioco e la vita.
Senza alcun dubbio, il gioco è indice di momento di evasione, non dalla realtà, bensì dallo stress, dal “peso della vita”; gioco = svago, che produce felicità.
Museo del giocattolo 
di Napoli
Puntuale conferma di ciò si può avere nell’età tipica del gioco: quella infantile. Stando ben attenti, però, a non dare per scontata una limitazione del gioco alla sola età infantile, perché al contrario, il gioco è una componente permanente dello sviluppo biologico dell’essere umano.
Qui il pensiero va a tutti i modi, le forme, i luoghi che rappresentano il momento ludico. Da ciò discende la messa a punto del rapporto strettissimo tra sport e momento ludico. Ragione che invita a respingere ogni “adulterazione” dello sport in chiave di esercizio professionale e, peggio ancora, di strumento di affare economico.
Quanto siamo lontani dallo spirito olimpico! Dovrebbe ammonire l’entusiasmo popolare che ha circondato le ultime paraolimpiadi!
Museo del giocattolo 
di Napoli
Non c’è dubbio, comunque, che il giocattolo, la miriade sorprendente di giochi che l’uomo ha costruito nel corso della storia - dove sono costanti: la palla, la bambola e la marionetta - ha un legame strettissimo con il Bambino. In proposito, val la pena di richiamare il valore pedagogico attribuito al gioco.
In epoca romantica a Froebel è attribuito il merito di aver concepito con chiarezza la funzione educativa del gioco. “Ogni atto umano per Froebel è creativo ed è quindi espressione diretta del divino che è in ogni uomo. L’espressione dei processi rappresentativi e le corrispondenti azioni che ne derivano, che iniziano a comparire nei bambini dovranno dunque essere liberi, in quanto ogni espressione, causa la sua origine divina, è in sé buona e giusta... La spontaneità del bambino va comunque salvaguardata ad ogni costo ed è in questo contesto che Froebel introduce l’importante concetto del gioco come strumento educativo... 
Museo del giocattolo 
di Napoli
Il gioco è visto come momento in cui nel bambino si sperimenta il concetto di unità tanto caro a Froebel, in quanto permette in un certo senso al bambino di penetrare nelle cose, facendole sue, e alle cose di penetrare in lui, prestandogli i loro attributi nel gioco di finzione” (da L’infanzia come gioco: Froebel, in www.sapere.it ).
Di grande interesse le riflessioni che uno  psicopedagogista inglese, Daniel Winnecott, fa su gioco, indagando “l’area transizionale”, cioè quello spazio che separa il momento della unione indistinta bambino-madre dalla consapevolezza di una distinzione tra l’io e l’altro, a cominciare dalla madre.
“Io ho asserito che quando noi assistiamo all’impiego  che fa un bambino di un oggetto transizionale, il primo processo di un non-me, noi assistiamo al tempo stesso al primo uso che fa il bambino di un simbolo e alla prima esperienza di gioco”.
Museo del giocattolo 
di Napoli
In questa chiave ci parla del ruolo “salvifico” dell’orsacchiotto (o simile) che accompagna il bambino nel buio della notte (esperienza della separazione).
A conclusine della nostra piccola rassegna, nel gioco si nascondono sì: creatività, libertà e fantasia, ma vi sono contenuti, altresì, funzioni mediatrici della scoperta dell’”esterno”, della vita di relazione, della alterità.
La mia attenzione, infine, va a suggerire attenzione alla tutela del bambino per salvaguardarlo dalla schiacciante predominanza di pseudogiochi, privi di qualità interattiva, che, pericolosamente, inclinano il bambino alla passività e alla dipendenza. 

Su questo tema si possono vedere anche questi articoli:
Il gioco della vita. 
La metafora del gioco della palla.

Museo del giocattolo 
di Napoli
Si consiglia di mettere in pausa la musica del blog prima di avviare il video.



3 commenti:

  1. Questa edizione della paraolimpiadi mi ha coinvolto molto più che in passato: stanchezza verso un mondo che ha perso molto del fascino dei protagonisti delle mie prime olimpiadi, Berruti e Wilma Rudolh, Cassius Clay, Abebe Bikila.
    Le motivazioni degli atleti delle paraolimpiadi possono apparire più nobili, sicuramente più toccanti, ma in fondo neanche questo è gioco autentico.

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  2. Vorrei solo aggiungere una postilla alle osservazioni di Gianni, che condivido, sottolineando quanto Rosario afferma a proposito delle stretto rapporto sport-momento ludico e del rischio di “adulterazione” e di strumentalizzazione economica. Anch’io ho seguito con interesse le paraolimpiadi e non sono riuscito a liberami dal dubbio, anzi dal sospetto di assistere ad una recita annuale: una certa ambigua metacomunicazione intrisa di spettacolo, ma forse lontana dall'autentico quotidiano “I care “ di don Milani.

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  3. Caro Rosario, mi sembra, più che opportuno, indispensabile in questi tempi bui parlare del gioco come dimensione esistenziale in tutte le età. Il che vuol dire giocarsi, entrare in relazione, accettare il rischio e l’incertezza della gratuità, dell’amicizia, della solidarietà e, come tu dici altrove, della “concordia dialettica”. E così alla mia non tenera età (meno tenera della tua) mi piace giocare: amare mia moglie, i miei cari, gli amici, i profughi che frequento, le persone tutte che incontro, i nemici…; leggere e pensare; riscoprire ogni giorno il sole, il tramonto e la luna calante; vedere all’alba il mare dalla terrazza le colline dietro casa ed i monti lontani appena abbozzati; andare cantando in moto sul mio scooter; gustare il cibo e le bevande; insomma riscoprire ogni giorno per me e per tutti coloro che incontro “ il risvolto luminoso e gioioso della vita che, pure nel suo insieme, è un intreccio inscindibile di gioia e di dolore”. Qualche domenica fa, all’Angelus, ci ricordava papa Francesco di inneggiare alla vita anche in situazione dolorosa nonostante il frastuono di lacrime in cui siamo immersi perché il dolore non è da confondere con la tristizia, di vivere il presente nella sua plenitudine, di amare il mondo nell’unico modo possibile che è quello di prestare attenzione, prendersi cura dell’altro come di sé, uscendo da sé. E’ un gioco nel quale tento di cimentarmi ogni giorno.

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