La scuola oggi: tra inclusione, competizione, integrazione scuola-lavoro.
Post di Gian Maria Zavattaro
Immagini delle illustrazioni di Franco Matticchio.
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Franco Matticchio |
“Che vergogna! Essere stati contemporanei di papa Giovanni, di don
Mazzolari, di don Milani; anzi, essere stati loro amici e commensali, e non
avere imparato. E non essersi convertiti. Ed essere quelli di sempre. Peggio di
sempre! Sì, perché si viene dopo un concilio, si viene dopo queste lotte
furibonde dei poveri contro i ricchi, lasciando soli i primi e “fornicando”
sottilmente (ma poi non tanto segretamente) coi secondi. […] Fin quando la
chiesa, una “certa chiesa”, non trova il coraggio di dire che anche don Lorenzo
Milani è un santo, questa chiesa non impara! Vuol dire che non cambia, non si
converte neppure di fronte alla”lezione” di Dio; vuol dire che non ha compreso
i “segni dei tempi”; anzi non ha “temuto Dio che le attraversava la strada. […]
Non si dichiara santo uno che abbia “esercitato le virtù teologali e morali in
grado eroico”? Uno che sia un modello di fedeltà a Cristo, alla sua chiesa, ai
poveri? Allora c’è da sfidare chiunque a trovare altri che sia più fedele, nei
nostri tempi, di don Lorenzo Milani. Chi può essere un esempio più efficace ai
nuovi credenti, ai giovani inquieti che cercano il regno più di quanto noi
conformisti riusciamo a immaginare?” (D. M. Turoldo, Il mio amico don Milani, Servitium
ed., Sotto il Monte BG,1997, pp. 28, 41-42).
Scuola e inclusione.
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Franco Matticchio |
La recente ricerca
OCSE (organizzazione per la cooperazione e lo
sviluppo economico) ha confrontato gli esiti degli
studenti 15enni UE sottoposti ai test PISA nel 2000 (comprensione del testo,
matematica e scienze) con quelli ottenuti dagli stessi nel 2012 (test PIAAC),
in teoria ormai inseriti in attività lavorative. La scuola italiana sarebbe la migliore d’Europa per
quanto riguarda l’inclusione sociale, ma solo fino ai 15 anni, poi, specie in
Italia, si osserva un allargamento della forbice a sfavore di chi proviene da
famiglie svantaggiate. La scuola riduce le disparità, ma i poveri restano.
Lo si vede bene dal
rapporto annuale ISTAT 2017: in povertà assoluta 1,6 milioni di
famiglie, il 28,7% a rischio di povertà o esclusione sociale. La disuguaglianza
aumenta: i figli della classe dirigente diventano classe dirigente, i figli dei
laureati diventano laureati, gli altri lasciano la scuola presto. Lo si vede bene dall’esercito
dei Neet (Not in Education Employment or Training), circa 2,5 milioni di
giovani tra i 16 e i 30 anni esclusi da scuola e lavoro: il 96% provengono
da famiglie svantaggiate, soprattutto dagli istituti professionali e dal
Sud. L’inclusione della scuola è transitoria se non illusoria. La verità statistica
non mette in evidenza la complessa problematicità dell’inclusione, non coglie
realmente le trame ed i
risvolti della quotidiana varietà delle esclusioni.
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Franco Matticchio |
Prendiamo ad es. i
disabili che meriterebbero un discorso a sé: il d.m. 378, che si fa
coraggiosamente carico della “Inclusione scolastica degli studenti con disabilità”, è tuttavia intessuto di troppi auspici e di realistici
ottativi “di norma” (classi con non più di 20 alunni e un solo disabile per
es.) e di fatto metacomunica che la realtà è e sarà ben diversa. Prendiamo
in particolare il bullismo dilagante. Una ricerca recente (EU NET ADB su un campione di
giovani europei tra 14-17 anni) rivela che il 21,9% degli intervistati è
stato vittima dei bulli! E' di qualche giorno fa la legge di contrasto al
cyberbullismo: ben vengano, quando necessario, le norme repressive, i tutor,
gli interventi del questore e quant'altro, ma rimane il problema della
prevenzione intesa come mirata educazione alla cittadinanza e ad un'etica
pubblica condivisa (1).
Prendiamo il “Rapporto Giovani
2017-La condizione giovanile in Italia” dell’Istituto Toniolo, basato su un campione
di 6172 giovani tra i 18-32 anni: il lavoro e la situazione economica generale
(bassi salari, precarietà, difficoltà a trovare lavoro) per oltre il 70%
dei giovani italiani hanno nell'ultimo anno impedito l'uscita dalla casa
dei genitori e la conquista dell’autonomia.
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Franco Matticchio |
Percentuali equivalenti si
riscontrano anche rispetto al rinvio permanente della nascita del primo
figlio per giovani coniugati. Determinante sarebbe il percorso
formativo. La categoria più penalizzata è quella dei Neet; seguono i
lavoratori a tempo determinato. Insomma i ventenni Neet si stanno
trasformando in trentenni Nyna (Not Young and Not Adult)! E c’è la punta
estrema dei Neet: circa 120.000 giovani hikikomori (così li chiamano in Giappone, da noi autoreclusi) il cui numero cresce ogni anno,
che rifiutano
qualsiasi contatto con l'esterno. Secondo M.Lancini, psicoterapeuta, presidente Fondazione
Minotauro, è una silenziosa epidemia: un bel giorno "scelgono di tagliare con il mondo perché vittime di bullismo o
perché rifiutati dai coetanei" e non escono più dalle loro stanze di
adolescenti, in cui si confinano giorno e notte, con la Rete come unico ponte
verso l'esterno, in fuga da un mondo da cui sentono emarginati. "Forma estrema di protesta sociale, grido di
dolore, per non sentirsi adeguati ai propri coetanei, incompresi a scuola,
schiacciati dalla competizione. A questi ragazzi ipersensibili, spesso
intelligentissimi, sembra l'unica salvezza da un mondo che li fa soffrire”
(2).
Integrazione scuola-lavoro.
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Franco Matticchio |
Si capisce allora l’attenzione per
l’integrazione scuola-lavoro. Avere un lavoro (avete presente la lezione che ha
impartito al mondo politico ed imprenditoriale Papa Francesco a Genova sabato
27 maggio?), riappropriarsi cioè della propria dignità ed essere liberi da
ricatti e sudditanze, è premessa essenziale per l’effettivo esercizio dei
diritti-doveri di cittadinanza. E irrinunciabile compito della scuola essere
aperta e radicata nel proprio contesto territoriale e globale, con cui
interagire (meglio dunque parlare di integrazione più che di alternanza...) e
di cui conoscere i risvolti socioeconomici, compresi i concreti sbocchi
occupazionali. Qui è ancora il richiamo alla testimonianza di don Milani:
fortissima l’aderenza della sua scuola dentro la trama e l’intreccio di tutti i
problemi della società, in costante e critico dialogo con la realtà politica,
sociale, lavorativa. E pensate ai suoi laboratori. Ma la priorità non era far
acquisire un sapere specialistico, bensì formare la persona, il cittadino
capace di esercitare i propri diritti-doveri, la responsabilità verso se
stesso, gli altri, l’ambiente.
Positivo certamente l’obbligo,
introdotto dalla riforma “Buona Scuola”, di raddoppiare le ore di tirocinio
degli istituti tecnici e professionali, oggi a quota 400, e di introdurne 200
nei licei. Nel 2014/15 273.000, 652.641. Nel 2015/16 gli
studenti coinvolti, con partecipazione record dei liceali; oltre 1.000.000 quest’anno, nel prossimo
sono previsti 1.500.000. Giustamente il MIUR è orgoglioso di
questi risultati.
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Franco Matticchio |
Un po’ meno i docenti (ancora una volta oberati di
nuovi oneri e di pletoriche pratiche burocratiche, relazioni, modelli da
compilare ecc.) ed i sindacati della scuola (una ricerca della Cgil
sul primo anno di attuazione della legge 107, che ha coinvolto 205 scuole
in 87 province con 180.335 studenti intervistati, evidenzia il rischi di molte
esperienze: 1 su 4 è fuori da percorsi di qualità, il 10% ha partecipato solo
ad attività propedeutiche, l’80% delle esperienze sono state fatte almeno in parte
nel periodo estivo. Il picco degli studenti non inseriti si registra al Sud,
nelle isole e negli istituti professionali. L’81% delle scuole si sarebbe
comunque orientato sulla base delle proprie vocazioni curriculari: gli istituti
tecnici verso le imprese (98%), i licei verso enti pubblici (91%). Il modello
organizzativo sarebbe “ancora poco
collegiale”...). Un dato invece
sicuramente interessante e positivo, pur
a fronte di percentuali minime per ora sociologicamente poco significative,
è il raddoppio in questo a. sc. della alternanza scuola-lavoro nel
volontariato: più di 8.200 studenti, con 441 docenti di 237
istituti, in progetti realizzati dalla rete dei CSV in collaborazione
con 656 associazioni. Il volontariato si avvia ad essere sempre più realtà che
promuove la cittadinanza attiva fra i giovani, occasione di crescita
professionale, terreno di sperimentazione anche per le associazioni.
Vogliamo a questo punto parlare della competizione a scuola? Quale?
Competizione a scuola.
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Franco Matticchio |
Competizione è una parola equivoca,
dai contrastanti significati. E’ che oggi il significato dominante è
quello mediato dalla spirale del mercato, il cui motto si potrebbe
tradurre così: “Ciò che conta è il
successo. Sii sempre vincitore! E ricorda: per le ineluttabili leggi di mercato
mors tua vita mea!”. Competizione a braccetto con l'esclusione. Nella
scuola la com-petizione non può tradire il significato etimologico del latino
cum-petere: tendere verso, insieme ricercare ed insieme chiedere e
domandare. La scuola è extraterritoriale rispetto al modello neoliberistico e
alla cultura dello scarto, che sono prodotti storici e nulla vieterebbe di
trasformare il modello e la prassi attuale in un pensiero sistemico di
convergenza, in una economia di comunione, in un mercato equo e
solidale… Competizione a scuola dovrebbe significare piena realizzazione di
tutte le potenzialità e talenti differenti e differenziati di ognuno, offrire
cioè a tutti solide “competenze”, educare a porre insieme domande ed insieme
ricercare la via delle risposte, nel dialogo e nella inclusione, non
nell'esclusione, evitando attentamente di favorire una cultura del voto
fiscale, dove uno vale per il voto che prende (Che cosa ne pensano i docenti
che consegnano i compiti in classe 2 o 3 mesi dopo, in tal modo metacomunicando
una prassi di voto puramente fiscale e non una cultura della valutazione
formativa e promozionale, volta a migliorare sia l'apprendimento sia
l'insegnamento? E, peggio ancora, quelli che aspettano gli ultimi giorni
dell'anno per riempire con eroico furore il registro di voti, visto che la
normativa richiede un numero “congruo”?).
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Franco Matticchio |
La realtà però si presenta
diversamente, se si riflette sullo stress degli studenti per il voto. Il citato rapporto Pisa (programma di valutazione triennale degli studenti quindicenni realizzato
dall’Ocse) mostra come la scuola italiana sia tra le più
stressanti al mondo per l’ansia da prestazione causata da interrogazioni,
compiti in classe, brutto voto. L’ansia comunque scende quando gli insegnanti
si dimostrano inclini all’ascolto e al dialogo, quando riescono a far capire, e
soprattutto lo testimoniano nella loro prassi quotidiana, il significato non
fiscale ma formativo-promozionale dei voti. Compito arduo, visto che il 55%
degli studenti italiani dichiara di condividere l’affermazione “Voglio essere il migliore, qualsiasi cosa
faccia“: espressione che può essere sia oggetto di benevola
interpretazione sia di malevola presa d'atto di una strisciante cultura del
successo anche a scuola, con ogni probabilità introiettata dall'extrascuola e dalle
famiglie che programmano i figli ad essere sempre vincenti. Se per gli studenti
non vanno bene le cose, per gli insegnanti non vanno meglio: in una sua
ricerca l’Università La Sapienza ha evidenziato che, oltre agli stipendi bassi,
i servizi scarsi, il rapporto conflittuale con presidi, colleghi e genitori, i
docenti italiani maggiormente esposti a rischio burnout sono
quelli con classi molto numerose, con più di 25 alunni
(cosiddette classi pollaio) che aumentano in misura esponenziale il
loro stress e rischiano di ridurre conoscenze-competenze.
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Franco Matticchio |
Proviamo a scorrere una “giornata tipo” di un prof. tra
lezioni da preparare ed effettuare, riunioni di dipartimento-consigli di classe
con e senza i rappresentanti dei genitori ed alunni, collegio docenti, registri
elettronici da riempire, valutazioni Invalsi con l’annesso tempo prezioso per
allenare gli studenti alle risposte standard dei quiz, infinite procedure
burocratiche (Bes, Dsa, moduli per l’autovalutazione della scuola, relazioni a
non finire…) e poi le ore cedute per l’alternanza scuola-lavoro (viste, in
mancanza di una progettualità creativa da parte propria e da parte del
legislatore, come pura e semplice sottrazione a scapito delle conoscenze e
competenze disciplinari) e i modelli da compilare, assemblee mensili di
istituto e di classe, simulazioni tre volte all'anno di evacuazione-fuga per
terremoto o incendio e cento altre cose...
Allora ecco l’appello “contro il
declino dell’ italiano a scuola” del Gruppo
di Firenze per la scuola del merito e della
responsabilità, sottoscritto da 600 docenti universitari. “Gli studenti italiani arrivano
all’università senza sapere leggere e scrivere. Non sono capaci di fare
discorsi secondo una logica compiuta, sono un branco di analfabeti”.
Lasciando ad altri la
facile tentazione di rispondere per le rime (quis custodiet custodes?) e
restituire al mittente quanto dovuto, diamo una occhiata alla ”buona scuola”... (continua nel prossimo post).
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Franco Matticchio |
“Don Lorenzo Milani. Come tutti i
profeti, lo disse il Signore, egli è morto lapidato moralmente (se fosse nato
quattro secoli prima, forse anche fisicamente); egli è entrato immediatamente
nella coscienza (e nella storia) con la stessa violenza con cui ne è stato
rifiutato. Nel faticoso travaglio del rinnovamento della società e della Chiesa
italiana è stato l’escluso, vilipeso, portato dinanzi ai tribunali
ecclesiastici e civili; ma egli rientra con la forza del profeta. I profeti, si
sa, hanno un compito non tanto di indottrinarci, quanto di mettere la nostra
coscienza a un bivio, al bivio del sì e del no, dal quale bivio dipendono non
solo l’orientamento culturale e la civiltà dei popoli ma, se siamo credenti,
dipende la stessa nostra salvezza eterna” (Ernesto Balducci, Io
e don MiIani, ed. S. Paolo 2017, pp. 60-61).
Per le note al post cliccare qui.
Questo articolo è un estratto
della relazione tenuta a Sassello, presso il Campo Scuola Agesci 2017,
sotto la guida degli amici Donatella Mela e Fabrizio Coccetti.
Gian Maria , trascinato dalla sua rievocazione di don Milani, ci offre un saggio della sua competenza professionale ( ex preside) ma soprattutto la prova concreta della sua passione per la scuola "centro dell'educazione dell'uomo".
RispondiEliminaTutto si concentra sulla parola paideia. Se si parte da lì ( e la scuola italiana ultimamente se ne dimentica ) discende il percorso maieutico, il dialogo, l'attenzione individuale a ciascun discente, le corrette riforme, mai dettate da contingenze è sempre ispirate ai principi umani.
Grazie, Gian Maria ! Una testimonianza per i docenti !
Ognuno ha le sue deformazioni professionali ed anche per questo, caro Rosario, ci somigliamo. Discorrere della scuola vuole dire semplicemtne discorrere del presente e del futuro dei nostri figli e nipoti, delle speranze ed attese, sconforti e promesse, del vissuto dei nostri docenti ed alunni. Non vuol dire solo esprimere sensazioni soggettive, ma stabilire precisi rapporti e riferimenti con le dinamiche sociali, con il territorio in cui siamo inseriti, con le attese dei cittadini, con la politica scolastica locale e nazionale, con il modo di intendere la cultura, con la necessità soprattutto in questo momento di rilanciare insieme, giovani ed adulti, i valori della cittadinanza, solidarietà, pace, giustizia, accoglienza reciproca – parole troppo spesso abusate - perché la scuola va dove la vogliamo far andare e dove va la società. E così partire, come suggerisci, entrando nel cuore della paideia, fatta di utopia e di speranza.
EliminaIo non sono un insegnante. Mi sarebbe piaciuto molto esserlo, ma la mia conoscenza del mondo della scuola è limitata all'esperienza diretta sui banchi e nella assistenza nei loro percorsi scolastici alle mie due figlie oggi laureate e precarie in ambiti lavorativi non congrui.
RispondiEliminaHo letto con molta attenzione il post precedente e ho atteso questo. Come dice Rosario traspaiono competenza e passione, solidità di pensiero e attenzione al sociale, ma questo era già fuori discussione. A me sembra, però, di non essere rappresentato a sufficienza pur non mancando i momenti critici alla tendenza a lasciar cadere i residui e agli atteggiamenti non ottimali dei docenti. Quello che ho trovato abbastanza avvilente, nel percorso scolastico delle figlie (una liceo classico l'altra scientifico), tralascio di ripensare a me per mia evidente colpa, è la incapacità della scuola di suscitare interesse vero partecipazione sincera proprio al processo formativo. Servono nuovi programmi e soprattutto docenti univeritari in grado di far sbocciare ottimi insegnanti, come voi. Ancora grazie.
Caro Gianni, il tuo commento merita una risposta meditata e perciò non breve... Dico subito che, come genitore, ho vissuto anch'io uno smarrimento analogo al tuo: quante magagne nella scuola, quanti problemi irrisolti, quanta incapacità di emozionare, trascinare perchè privi di autentico I Care. Come preside ho avuto a che fare con tantissimi e validissimi docenti, ma anche – e non pochi - docenti cui si potrebbe applicare il famoso frammento di Eraclito:“presenti essi sono assenti”. Eppure oggi come ieri le ore intense di lezione dei docenti possono decidere, come è successo a me liceale, del futuro e della vita di un ragazzo o di una ragazza. Il rischio dello smarrimento appartiene alla nostra scuola, nomade, in cammino, sempre alla ricerca di un’offerta formativa rispondente ai bisogni dell'oggi, una scuola che non sia solo specchio passivo della società, ma anche luogo di anticipazione del dover essere, luogo e tempo dell’annuncio e della denuncia. E' che oggi la scuola non è più l’unica agenzia formativa e neppure la più importante e decisiva di fronte allo strapotere dei media e delle cosiddette agenzie parallele, troppo spesso veri e propri pesuasori occulti di tutti noi e soprattutto dei nostri figli e nipoti, i quali passano mediamente 4-5 h al giorno a scuola per 8/9 mesi, ma molte di più, circa 6 e per 12 mesi, davanti a tv, internet, videogiochi. Non mi meraviglia che la scuola sia lo spazio dell'ìmperfezione: imperfetta perché viva. Proprio per questo, con tutte le sue fragilità istituzionali e personali, può divenire sia tempo e luogo di relazione, comunicazione, inclusione, integrazione, e-ducazione, crescita totale, dove i docenti si caricano del destino di gioia e di sofferenza dei loro alunni (entro una comunità di persone, di volti, senza rifiutarsi a nessuno, anche se avverso) sia tempo e luogo di alienazione intesa proprio nel senso hegeliano di estraniazione (perdita della propria identità, propria essenza, propria autostima, dove è difficile guardarsi negli occhi). Sta indubbiamente ad ogni docente - e non c'è decreto ministeriale che tenga – fiutare i segni dei tempi e dare senso alla sua professione in questa nostra Italia ed Europa frantumata: uomini e donne che nella scuola si ritrovano per aiutare i giovani a dare risposta positiva ai loro bisogni di conoscenza, di correlazione, creatività, radicamento ed orientamento, identità, in una relazione di aiuto in cui l’altro è centrale e percepisce la comprensione empatica del docente che non recita ma vive il suo ruolo con imprescindibile congruenza. E poi ogni studente, dopo, faccia pure le scelte che vuole. Ogni docente (e anche ogni preside che si rispetti) diventa una promessa: da “pro-mittere”, mandare innanzi, far crescere, garantire, annunziare, presagire, sottoporre allo sguardo, trasmettere libertà... E' qualcosa che ormai solo la scuola può fare. In questo contesto l’insegnamento, qualunque cosa si faccia, è sempre proposta di conferimento di senso e grande è la responsabilità di ogni docente. Hai perciò ragione: questa prospettiva richiede docenti di alto livello, reclutamento severo, valutazione severa, stipendio serio. Tralascio il mio giudizio caustico sull'università. Piuttosto penso alla responsabilità politica dei nostri governanti: stiamo parlando del futuro dell’Italia. Il riconoscimento a parole del primato dell'educazione (anche di quella degli adulti!) non può limitarsi ad un puro esercizio retorico, ma dovrebbe implicare una strategia operativa di flussi di risorse verso il sistema formativo, investimenti per l'innovazione, impegni di tutte le forze politiche ad una coerente attenzione alla scuola. Ma qui la speranza rischia di trasformarsi in un'impossibile utopia....Grazie per il tuo bel commento. Buona giornata.
EliminaGrazie per l'accoglienza. Buona giornata anche a te, Gian Maria.
EliminaChe belle le illustrazioni di Matticchio!
Evidenzio: "Fin quando la chiesa, una “certa chiesa”, non trova il coraggio di dire che anche don Lorenzo Milani è un santo, questa chiesa non impara! Vuol dire che non cambia, non si converte neppure di fronte alla”lezione” di Dio; vuol dire che non ha compreso i “segni dei tempi”; anzi non ha “temuto Dio che le attraversava la strada".
RispondiEliminaPronuncia la parola scuola e Gian Maria vien dietro con un profluvio di parole sagge, meditate e prospicienti...La risposta a Gianni è da se' un nuovo post!
RispondiEliminaNella relazione maieutica è un reciproco insegnare-apprendere. La scuola, casa del Sapere, accende gli animi ( non nel senso negativo), in quello positivo di passione per la Libertà, per la Vita, per il Bene.
E qui mi fermo!🔥
Citerò il suo post, con tanto di link, nella mia relazione finale al Collegio Docenti come referente per la Dispersione scolastica nella scuola dove opero. Ancora grazie.
RispondiEliminaGrazie a Lei . Lo considero un onore. Buona serata.
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