Un percorso lungo i sentieri dell'infinito: tra filosofia, storia della scienza e fede.
🖊Post di Rosario Grillo
🎨Immagini tratte dall'atlante delle stelle (Harmonia Macrocosmica) del cartografo tedesco-olandese Andreas Cellarius (1596-1665).
Andreas Cellarius, Harmonia Macrocosmica, 1660 (Sistema tolemaico) |
Nelle eccezioni l’infinito non poteva che apparire come l’indeterminato (apeiron) o l’illimitato (atomi, chora).
Più avanti, pratiche magiche, ambizioni
umanistiche, fervore storico, portarono il “segno” dell'infinito nel
Rinascimento. È sempre un “infinito intuitivo”, per così dire “di genio”. Ne
sono prova Leonardo da Vinci per un lato e Giordano Bruno per l'altro. (È
necessario sottolineare la chiave limitata e limitante dell'attribuzione a
Leonardo di un'idea dell'infinito.)
Emblematico, invece, l'eroico furore di Bruno,
organon dell’infinità dell'universo.
L’Eroico furore, inoltre, si relaziona all’amore intellettuale, è quindi
una spia della simmetria tra macrocosmo che vibra di infinito, e
microcosmo, associabile all’“aura dell’infinito”.
In chiave fisico matematica, l'infinito appariva in
Galilei e contribuiva al mutamento del paradigma scientifico, che andò sotto il
nome di “rivoluzione scientifica”.
Andreas Cellarius, Harmonia Macrocosmica, 1660, (Sistema copernicano) |
Koyré, collocato dentro l’equipe di una grande
scuola (allievo di Husserl) e dietro la scia di una storiografia di avanguardia
(Febvre, Annales), mette sotto osservazione il mutamento culturale che va dagli
antichi greci alla modernità (Cartesio).
Non va dimenticato, infatti, che Euclide e, più in
là, la scuola alessandrina, furono particolarmente geniali nella astronomia
matematica. E poi, dai greci discendeva Archimede, di cui si ricordano il
principio fisico e l'invenzione di importanti macchinari.
In più, fu proprio la diffusione dei classici greci
a fecondare l'umanesimo.
Purtroppo i greci restavano legati alla
tecnica come arte (techne) e non possedevano il senso e il calcolo numerico:
per essi la matematica si poteva applicare ai corpi astronomici e non ai corpi
fisici.
Andreas Cellarius, Harmonia Macrocosmica, 1661 (La grandezza dei corpi celesti) |
Si compie così il salto da Cusano Campanella a
Galilei Newton: nei primi due esiste ancora un nesso frenante metafisica
fisica, che negli altri è troncato.
Topico l’enunciato di Galilei, che attribuisce un linguaggio
matematico all'universo.
Al calcolo infinitesimale il compito di
concentrare dentro di sé la nuova apertura mentale.
Ad esso contribuirono Leibniz e Newton e tra i due
chi trasmise il suo sistema di notazione fu il primo.
A lui risalgono fattori determinanti per la nascita dell'informatica,
collocati nel De combinatoria, ovvero entro una tecnica legata in buona parte
alla rinascimentale mnemotecnica.
Andreas Cellarius, Harmonia Macrocosmica, 1661, (Orbite planetarie comprendenti la Terra) |
Siamo nella cifra del differenziale.
Lo spunto a riflettere su questi personaggi culturali
mi è venuto da P. Odifreddi, grande divulgatore della scienza, in ispecie
matematica. Solitamente figura indisponente, soprattutto per la sua
onnipresenza.
Mi disturba particolarmente il suo sbandierato
e, debbo confessare, pregiudiziale ateismo.
In quest'occasione, invece, egli è stato misurato e
fecondo nella problematica proposta.
Dell'ateismo, invece…
Nell’excursus si sono incontrati vari personaggi,
molti dei quali hanno saputo unire alla ricerca scientifica una testimonianza
di fede.
Il problema ragione fede è millenario e andrebbe
tenuto lontano dalla scelta, di ordine pratico, della fede. Ricorderei per
questo la basica dichiarazione del cardinale Martini: c'è più fede in un
ateo che in un credente!
Proviamo a dire che la fede non è una inerte
contemplazione del dogma.
🔵🔵🔵🔵🔵🔵🔵🔵🔵🔵🔵🔵Andreas Cellarius, Harmonia Macrocosmica, 1661 (Primo emisfero con il firmamento cristiano). |
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Sembrerà piaggeria la mia, non è così, un immenso Grazie a Rossana.
RispondiEliminaDev'essere esplicito che l'opera di ricerca iconografica e di corredo coreografico in ogni post è opera Sua.
In questo caso ha arricchito e completato le mie parole, trascendendole con il video finale, in cui un accompagnamento musicale ci conduce veramente sui sentieri dell'infinito.
Potrei mettermi ancora a scrivere perché mi ha suscitato altre suggestioni. Mi limito!
Ma voglio invitare alla lettura del commento di Silvia Ronchey apparso ieri su Repubblica. Riguarda Santa Caterina da Siena e ritrova una consuetudine sua verso l'alchimia.... Appunto, quelle scienze o pseudoscienze erano cariche di misticismo, di ansia d'Infinito!
Caro Rosario, riprendendo la tua chiusa con buona pace di Odifreddi, da povero filosofo quale sono, vorrei citare Florenskij, il cui pensiero conosco sicuramente in modo superficiale ma abbastanza per esserne conquistato. Per Florenskij “noi portiamo dentro il transfinito, al di là del finito; noi — kosmos — non siamo qualcosa di finito, direttamente in contraddizione con il Divino, noi siamo trans-finiti, il centro tra il tutto e il niente”. La teoria del numero “tansfinito”, simbolo della relazione logica e ontologica tra i “due mondi”, il relativo e l'assoluto, ci riporta al luogo stesso della nostra esistenza. Per Florenskij la verità del dogma si presenta sempre in termini di antinomia,sempre come frutto di tensione tra opposti (viva Cusano che so che tu ami...), tensione che è l’essenza di tutte le esperienze vitali, compresa l’esperienza religiosa e dogmatica, “mistero di preghiera e di amore”. Anzi al limite con ci può essere fede se non c’è antinomia che scomparirà solo quando fede e speranza verranno meno e rimarrà soltanto l’amore (1Cor 13,1-13).
EliminaGrazie Gian Maria! Prezioso ed integrante, come sempre il tuo commento 🕊
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