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domenica 21 luglio 2019

Discorrendo del background culturale di Carlo Levi.

Il lupo mannaro, simbolo delle paure umane, viene correlato - da Carlo Levi, confinato dal fascismo in Basilicata - alla mostruosità dello stato autoritario.
Post di Rosario Grillo.

Mont Subdury, Illustrazione raffigurante 
un lupo mannaro nel bosco, 1941
Nel retaggio delle mie paure infantili c’era posto per il lupo mannaro, figura classica di uomo mutato in lupo, al plenilunio.
La leggenda è molto diffusa nelle contrade dell’Italia meridionale, a partire dal Molise, ed ha il suo ascendente nella mitologia greca, dove si parla del castigo comminato da Zeus a causa del pasto, con carni di bambino, che gli era stato preparato da Licaone, re d’Arcadia. (1)
Dal Meridione arrivò all’orecchio e ad una “raccolta di tradizioni” di Carlo Levi, che, come noto, fu mandato dal fascismo al confino nella Lucania.
Non fu solo curiosità pseudosociologica la sua e, difatti, come acutamente analizzato da Giorgio Agamben (2), l’interesse del noto torinese fu mosso dalla sua propensione per la filosofia, la sociologia e la psicologia, discipline che egli aveva studiato a fondo. (3)
Da esse pensava, infatti, di ricavare maggior fama anziché dal romanzo Cristo si è fermato a Eboli, per il quale è più conosciuto.
C’è una precisa consonanza, a badare bene, tra la professione di medico di Carlo Levi e gli interessi, marcati epistemologicamente, orientati verso il taglio scientifico delle discipline su accennate.
Lucas Cranach il Vecchio, Lupo mannaro, 
xilografia, 1512
Indagando nella sua biografia, si viene a sapere infatti della sua propensione per il social-liberalismo, fondato e meditato. Coltivato attraverso amicizie, che andavano da Piero Gobetti ad Antonio Gramsci e che lo avrebbero portato successivamente ad essere tra i membri del Partito d’Azione.
La “curiosità” per la tradizione del lupo mannaro fu allora un pendant di una azzeccata indagine sulle paure umane e introduzione alla disamina del nefasto effetto sociale: la idolatria dello Stato.
Non ci si può dimenticare che, nel volgere del primo ‘900, avevano fortuna le dottrine “elitiste” e quelle “autoritarie”, le seconde soprattutto inneggianti alla supremazia dello Stato, emanazione diretta di una tradizione tedesca che risaliva allo “Stato hegeliano” e aggrumate attorno alla figura di Leopold Ranke attorniata dai suoi estimatori. (4)
Dalla Germania guglielmina ad alcuni membri immischiati con la repubblica di Weimar al führerprinzip corre una sostanziale continuità.
Nella nostra Italia, il retroterra del Fascismo evidenzia lo stesso asset culturale. (5)
Il frutto degli studi di Carlo Levi si condensò nell’opera  Paura della libertà  pubblicata nel 1946, ma scritta ancor prima, e passata inosservata.
Johannes Geiler von Kaysersberg, Attacco 
di lupo mannaro, incisione su legno, 1517
L’oggetto precipuo è dunque la libertà nella latitudine razional-illuminista, in quanto strettamente correlata con la autonomia umana. Di questa ultima si deve nutrire l’individuo, non considerato, da Carlo Levi, nell’angustia del liberalismo paternalista e/o autoritario, cioè rigorosamente attento a tutelare l’ordine del successo capitalista.
A far da guida è infatti la definizione dell’individuo “luogo di tutti i rapporti”: c’è un’insistenza quindi sulla “relazione”.
Anche se bisogna dire che Carlo Levi radicalizzava il suo ateismo, scavando sulle radici totemiche di certi tabù, quindi sul nesso tra la genesi delle religioni e il culto sacrificale. (6)
Nella argomentazione di Carlo Levi, il sacro è tutt’uno con l’inesprimibilità (“il contatto dell’individuo con l’universale indifferenziato”) e la religione, forte di pratica istituzionale, lo fa decadere in regolamentazione idolatrica. (7)
Maurice Sand, Lupi mannari 
appoggiati al muro di un cimitero, litografia, 1858.
Concludendo, quindi, l’orizzonte del nostro Carlo Levi era quello di una completa emancipazione dell’uomo. Nella sua sfera rientrava, direttamente o indirettamente, la scottante questione che aveva dibattuto il Grande Inquisitore di Dostoevskij, inerente il confronto tra uomo e libertà ed egli ne proponeva la soluzione difendendo, con coraggio civile e convinzione ideologica, la libertà.

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Note.
1. Molto diffusa, comunque, la tradizione folkloristica del licantropo, con numerose costanti, tra cui la notte del plenilunio (in genere nel mese di marzo) favorevole alla trasformazione dell’uomo in lupo feroce. Aggiungo quella della connessione con i nati nella notte di Natale, spiegabile sullo sfondo della contesa Dio-Satana. Vinicio Capossela ha raccolto nelle Canzoni della lupa canti legati a questa tradizione (video di Pummiminale).
2. Lo spunto a scrivere mi è venuto da un articolo su alfabeta2, che richiama l’introduzione che Giorgio Agamben scrisse a Paura della libertà, dove mette in luce la vicinanza delle considerazioni di Carlo Levi alla dottrina della biopolitica.
3. La sociologia: quella francese soprattutto, a partire da Durkheim per finire a Mauss, letta in contrapposizione a quella tedesca che andava per la maggiore. La psicologia: conoscendo egli di sicuro gli scritti dei maggiori psicanalisti da Freud a Jung.
4. In Hegel lo Stato è definito “sostanza consapevole di sé”; nella Filosofia del diritto Hegel esplicita: “il fine della corporazione rimane limitato e finito. La sua verità […] nel fine universale in sé e per sé e nella realtà assoluta di esso; la sfera della società trapassa pertanto nello stato”.
5. Giovanni Gentile definisce: “Il volere come volere comune e universale è Stato […] La Nazione non è data dal suolo, né dalla vita comune e conseguente comunanza di tradizioni, di costumi, linguaggio, religione ecc. Tutto ciò è la materia della nazione […] la quale volontà, nella sua concreta attitudine è lo Stato”. Sintomatico lo scontro tra Croce, fautore di ‘una religione della libertà’ che sottende lo Stato e Gentile, prestatosi al ruolo di teorico dello Stato fascista.
6. Da Totem e tabù a Mosè e la religione monoteista, Freud indagò l’origine storico-sociale di certe nevrosi e così, per ultimo, formulò l’ipotesi che l’uccisione del padre ha il suo fondamento originario nella “vittima sacrificale” offerta per placare la divinità. Si conosce la teoria svolta da René Girard che catalizzò su Gesù la “vittima sacrificale” per una definitiva liberazione dal peccato del genere umano.
7. Alfabeta2 invita a cogliere la simultaneità nel 1939, data di completamento dell’opera di Levi, tra la Paura della libertà e l’opera di Roger Callois, L’uomo e il sacro.

2 commenti:

  1. Due flash sul tuo molto interessante ed inquietante post, sulla tua analisi ed il riferimento alle riflessioni di Carlo Levi. IL primo: la licantropia come metaforica patologia sociale ed oserei dire metafisica può contaminare e tentare chi oggi governa (uno stato appunto affetto da licantropia, uno stato di perenne luna piena…) non credo possa farci semplicemente sorridere, ma ci fa paura. Il secondo: “presso alcuni popoli primitivi la credenza che ogni individuo abbia un proprio “doppio” in forma animale” (Treccani) dovrebbe metterci in guardia perché ognuno di noi , in quanto “luogo di tutti i rapporti“ non contribuisca a diffondere nelle relazioni il morbo metafisico della licantropia. Grazie, caro Rosario.....

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  2. Caro Gian Maria, le suggestioni che hanno accompagnato la mia riflessione sono state molteplici. La singolarità della figura di Carlo Levi, spianando il mio terreno, ha recuperato paure ancestrali, che , evidentemente, non sono solo infantili, ma “costante “antropologica” e rappresentano condizione di “infantilismo socio-politico“, artatamente ricreato dal Potere onnivoro. In essa si atrofizza “la danza” “di tutti i rapporti“ che l’uomo , libero, riuscirebbe a sostenere.
    Mi sembra che il post abbia riscontrato pochi lettori ed è un segno “dell’epoca di oscurantismo“. Un abbraccio

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