Il lupo mannaro, simbolo delle paure umane, viene correlato - da Carlo Levi, confinato dal fascismo in Basilicata - alla mostruosità dello stato autoritario.
Post di Rosario Grillo.
Mont Subdury, Illustrazione raffigurante un lupo mannaro nel bosco, 1941 |
La leggenda è molto
diffusa nelle contrade dell’Italia meridionale, a partire dal Molise, ed ha il
suo ascendente nella mitologia greca, dove si parla del castigo comminato da
Zeus a causa del pasto, con carni di bambino, che gli era stato preparato da
Licaone, re d’Arcadia. (1)
Dal Meridione
arrivò all’orecchio e ad una “raccolta di tradizioni” di Carlo Levi, che, come
noto, fu mandato dal fascismo al confino nella Lucania.
Non fu solo curiosità
pseudosociologica la sua e, difatti, come acutamente analizzato da Giorgio
Agamben (2), l’interesse del noto torinese fu mosso dalla sua propensione per
la filosofia, la sociologia e la psicologia, discipline che egli aveva studiato
a fondo. (3)
Da esse pensava,
infatti, di ricavare maggior fama anziché dal romanzo Cristo si è fermato a Eboli, per il quale è più conosciuto.
C’è una precisa
consonanza, a badare bene, tra la professione di medico di Carlo Levi e gli
interessi, marcati epistemologicamente, orientati verso il taglio scientifico
delle discipline su accennate.
Lucas Cranach il Vecchio, Lupo mannaro, xilografia, 1512 |
La “curiosità” per
la tradizione del lupo mannaro fu allora un pendant di una azzeccata indagine
sulle paure umane e introduzione alla disamina del nefasto effetto sociale: la idolatria dello Stato.
Non ci si può
dimenticare che, nel volgere del primo ‘900, avevano fortuna le dottrine “elitiste”
e quelle “autoritarie”, le seconde soprattutto inneggianti alla supremazia
dello Stato, emanazione diretta di una tradizione tedesca che risaliva allo
“Stato hegeliano” e aggrumate attorno alla figura di Leopold Ranke attorniata
dai suoi estimatori. (4)
Dalla Germania
guglielmina ad alcuni membri immischiati con la repubblica di Weimar al
führerprinzip corre una sostanziale continuità.
Nella nostra
Italia, il retroterra del Fascismo evidenzia lo stesso asset culturale. (5)
Il frutto degli
studi di Carlo Levi si condensò nell’opera Paura
della libertà pubblicata
nel 1946, ma scritta ancor prima, e passata inosservata.
Johannes Geiler von Kaysersberg, Attacco di lupo mannaro, incisione su legno, 1517 |
A far da guida è
infatti la definizione dell’individuo “luogo di tutti i
rapporti”: c’è un’insistenza quindi sulla “relazione”.
Anche se bisogna
dire che Carlo Levi radicalizzava il suo ateismo, scavando sulle radici
totemiche di certi tabù, quindi sul nesso tra la genesi delle religioni e il
culto sacrificale. (6)
Nella argomentazione
di Carlo Levi, il sacro è tutt’uno con
l’inesprimibilità (“il contatto dell’individuo con
l’universale indifferenziato”) e la religione, forte di pratica
istituzionale, lo fa decadere in regolamentazione idolatrica. (7)
Maurice Sand, Lupi mannari appoggiati al muro di un cimitero, litografia, 1858. |
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Note.
1. Molto diffusa, comunque, la tradizione folkloristica
del licantropo, con numerose costanti, tra cui la notte del plenilunio (in
genere nel mese di marzo) favorevole alla trasformazione dell’uomo in lupo
feroce. Aggiungo quella della connessione con i nati nella notte di Natale,
spiegabile sullo sfondo della contesa Dio-Satana. Vinicio Capossela ha raccolto
nelle Canzoni della lupa canti legati a questa tradizione (video di
Pummiminale).
2. Lo spunto a scrivere mi è venuto da un articolo su alfabeta2, che
richiama l’introduzione che Giorgio Agamben scrisse a Paura della libertà,
dove mette in luce la vicinanza delle considerazioni di Carlo Levi alla
dottrina della biopolitica.
3. La sociologia: quella francese soprattutto, a partire
da Durkheim per finire a Mauss, letta in contrapposizione a quella tedesca che
andava per la maggiore. La psicologia: conoscendo egli di sicuro gli scritti
dei maggiori psicanalisti da Freud a Jung.
4. In Hegel lo Stato è definito “sostanza consapevole di
sé”; nella Filosofia
del diritto Hegel esplicita: “il fine della corporazione rimane limitato e
finito. La sua verità […] nel fine universale in sé e per sé e nella realtà
assoluta di esso; la sfera della società trapassa pertanto nello stato”.
5. Giovanni Gentile definisce: “Il volere come volere
comune e universale è Stato […] La Nazione non è data dal suolo, né dalla vita
comune e conseguente comunanza di tradizioni, di costumi, linguaggio, religione
ecc. Tutto ciò è la materia della nazione […] la quale volontà, nella sua
concreta attitudine è lo Stato”. Sintomatico lo scontro tra Croce, fautore di
‘una religione della libertà’ che sottende lo Stato e Gentile, prestatosi al
ruolo di teorico dello Stato fascista.
6. Da Totem e tabù a Mosè e la religione
monoteista, Freud indagò l’origine storico-sociale di certe nevrosi e così,
per ultimo, formulò l’ipotesi che l’uccisione del padre ha il suo fondamento
originario nella “vittima sacrificale” offerta per placare la divinità. Si
conosce la teoria svolta da René Girard che catalizzò su Gesù la “vittima
sacrificale” per una definitiva liberazione dal peccato del genere umano.
7. Alfabeta2 invita
a cogliere la simultaneità nel 1939, data di completamento dell’opera di Levi,
tra la Paura della
libertà e l’opera di Roger Callois, L’uomo e il sacro.
Due flash sul tuo molto interessante ed inquietante post, sulla tua analisi ed il riferimento alle riflessioni di Carlo Levi. IL primo: la licantropia come metaforica patologia sociale ed oserei dire metafisica può contaminare e tentare chi oggi governa (uno stato appunto affetto da licantropia, uno stato di perenne luna piena…) non credo possa farci semplicemente sorridere, ma ci fa paura. Il secondo: “presso alcuni popoli primitivi la credenza che ogni individuo abbia un proprio “doppio” in forma animale” (Treccani) dovrebbe metterci in guardia perché ognuno di noi , in quanto “luogo di tutti i rapporti“ non contribuisca a diffondere nelle relazioni il morbo metafisico della licantropia. Grazie, caro Rosario.....
RispondiEliminaCaro Gian Maria, le suggestioni che hanno accompagnato la mia riflessione sono state molteplici. La singolarità della figura di Carlo Levi, spianando il mio terreno, ha recuperato paure ancestrali, che , evidentemente, non sono solo infantili, ma “costante “antropologica” e rappresentano condizione di “infantilismo socio-politico“, artatamente ricreato dal Potere onnivoro. In essa si atrofizza “la danza” “di tutti i rapporti“ che l’uomo , libero, riuscirebbe a sostenere.
RispondiEliminaMi sembra che il post abbia riscontrato pochi lettori ed è un segno “dell’epoca di oscurantismo“. Un abbraccio