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domenica 7 maggio 2023

Salvo il nome.

Nome di Dio e teologia negativa.
 Post di Rosario Grillo.
 
Derrida, Salvo il nome
La difficoltà del ‘senza’ si propaga in ciò che si chiama ancora la politica, la morale o il diritto, i quali sono tanto minacciati che promessi attraverso l’apofasi” (Derrida).
 
💥 Testimonio.
Una parola che, salvata dalla massificazione, attira la nostra attenzione, a partire soprattutto dal suo codice giuridico. Anche al diritto ne viene - bisogna riconoscerlo - un rispetto, oggi molto compromesso, integrandolo in quella ontologia con cui gli antichi romani lo avevano inteso.
Allora al testimone bisogna associare - vincolo consustanziale - il “moto d’essere”, comprensivo di essenza e di azione, che dice la verità, in qualche modo la comunica; e, nell’atto di comunicare, la sancisce: la fa essere (i latini direbbero: ad-firmat). (1) (2)
Mi sono imbattuto in un testo di una trilogia dedicata da Derrida ad una sorta di Saggio sul nome: Salvo il nome. Nell’opera Derrida prende ad oggetto la “apofasi” riconducendola alle movenze della teologia negativa, cioè dell’assenza di Dio o del dire Dio in via negativa. In questa forma l’apofasi è “una dichiarazione senza (3)” e potremmo subito concludere: senza soggetto e senza oggetto.
Rarefazione; in cui si confrontano (e si confondono) l’ “io sono” di Dio (che in altro modo diciamo: rivelazione) e il complementare “dire di Dio, su Dio” (teologia).
Derrida ci (si) spinge in un luogo-non luogo (magari sarebbe utile servirsi della metafora cusaniana del centro/circonferenza) mentre cuce la tela imbastita con versetti tolti dalla mistica (Meister Eickhart, maestro di Angelus Silesius)  rivisitanti le Confessioni agostiniane.
Spazio del vuoto, deserto in qualità di indeterminato, estrema “impossibilità del più che impossibile”, codice della decostruzione (4), cominciamento del linguaggio sotto forma di pre-condizione che si contiene necessariamente in se stesso per salvarsi da ogni esaurimento/distorsione, il formale, per antonomasia. (5)
Emiliano Bruzzone, Caricatura di Derrida
Nella sua cifra: la sede dell’amicizia e dell’ospitalità. Trovo - la possibilità è data dal solco della teologia negativa - assonanze con Jabes, che nel Libro del dialogo scrive: “Dio è aldilà dell’amore/ è il suo aldilà/ assenza: alba dei sensi./ La realtà della luce è l’ombra, rispose, e noi non ce ne accorgiamo” (6).
 
💥Traccia frequentata / frequentabile è Angelus Silesius, Il pellegrino cherubico, un testo qualificabile come “pietra miliare” della mistica nel solco della teologia negativa. Opera che Leibniz classificava così “Negli scritti di questi mistici vi sono alcuni passi straordinariamente audaci, colmi di metafore difficili e tendenti quasi all’ateismo, come talvolta mi è capitato di osservare nelle poesie tedesche - tra l’altro molto belle di un tale che si chiamava Angelo Silesio…”(7)
Da essa cito: “Va dove non puoi, vedi dove non vedi:/ ascolta dove niente stormisce né risuona, così sei là dove Dio parla”. (8)
Citazione che crea uno scenario di sublime suggestione teologica. Ancor più confermata dal rimando continuo che Derrida fa alla riflessione di Martin Heidegger, in specie alla connotazione del Dasein (“essere per la morte“) in quanto attesta la pre-posizione (pre- condizione) dell’essere: il Nulla.
Tutte le mistiche apofatiche possono anche leggersi come potenti discorsi sulla morte, sulla possibilità (impossibile) della morte propria dell’essere che parla e che parla di ciò che porta via, interrompe, nega o annichilisce la sua parola tanto bene quanto il suo Dasein” (9)
In definitiva si delinea un crocevia senza diramazioni (la definizione è rigorosamente mia, e come tale, può essere accettata o meno) nel quale confluiscono: a- l’incontro con l’altro (e quindi l’empatia ovvero l’afflato comunicante), b - il venire al mondo (ovvero nascita/ svelamento), c - coincidentia oppositorum (vita/morte, immanenza/trascendenza, finito/infinito), d- sorgenza ed evanescenza del principio ontologico (Essere).
Di esso però, in fedeltà alla sup-posizione, bisogna confermare il connotato della desertificazione: deserto che svela una natura ambigua: di segretezza e di apertura, di fine (annientamento) ed inizio.
Angelus Silesius, Il pellegrino cherubico
Coerente con il post-scriptum, la teologia negativa archivia ed insieme annulla.
Qui Derrida fa ricorso al concetto di “resto” e lega in simbiosi teologia negativa - discorso apofatico - linguaggio, in modo tale che l’inessenziale determini una conditio sine qua non in un turnover (andare-venire) che bruci ogni parola superflua (blasfema), che dica la “parola” in quanto tale.
Intricatamente Derrida rimanda alla preghiera: nella sua qualità essenziale, liberata da ogni “ottativo”, coincidente con la “nominazione di Dio”.
Seguendo Silesius, continua con l’abitazione del luogo (“chora”): luogo non fisico, spazio vuoto nel quale è Dio, Dio è, respiro e soffio.
Il luogo è la parola./ È tutt’uno il luogo e la parola, e non vi fosse il luogo,/ di ogni eterna eternità! /La parola non sarebbe”. (10)
Il luogo è esso stesso in te./ Non sei tu che sei nel luogo, il luogo è in te:/ rigettalo, ed ecco già l’eternità”. (11)
 
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Qui io mi fermo. Il mio animo è colmo. Credo di essermi affacciato, con questa lettura, alla soglia di un mistero: il Mistero. (12) (13)
 
💥 Note.
(1) La trilogia: Salvo il nome, Passioni, Chora, ediz. Jaca Book.
(2) Si discute della natura, soprattutto dell’origine, del nome, argomentandola come condizione di “a priori incluso” (voglio dire di implicito che richiede manifestazione perché di essa e in essa vive)
(3) Derrida, Salvo il nome, p.33
(4) Derrida è,c on Deleuze, un teorico della “decostruzione”.
(5) Nell’op. cit. si leggano pp.55-61.
(6) Jabes, Il libro del dialogo, p. 90.
(7) Si trova in ediz. Paoline.
(8) Il pellegrino…, I, 199.
(9) Riportato da Derrida, pp. 33-34 (10) Il pellegrino…, I, 205.
(11) Ib ., I, 185.
(12) N. B. A proposito del “resto” mi richiamo ad articolo su Avvenire che considera il profondo significato che l’idea di “resto” ha nelle Sacre Scritture, spiegando la crisi odierna della Chiesa, che chiama in causa non la di-sperazione ma l’elezione. Nel caso di Derrida, il “resto” è, in forza della sua impronunciabilità, il Grund della nominazione, la distruzione della “torre di Babele” come la lingua universale della traduzione (traducibilità)
(13) Veramente mi forzo a chiudere per interrompere il fascino - c’è facondia? - di un continuo andare dello scritto di Derrida, al seguito dei versi del Pellegrino cherubico: aggiungere e togliere, nominare e silenziare, appropriare e denudare Dio, nelle pieghe della teologia negativa. All’apice: Dio gioca con la creazione ed io, creatura, gioisco partecipando del gioco di Dio. “ Dio gioca con la creatura./ Tutto ciò è un gioco che la divinità si dà:/ essa ha immaginato la creatura per il Suo piacere. (Silesio, II,198)
 
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